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gianmarcocapecci

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Su gianmarcocapecci

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  1. prescìndere v. intr. [dal lat. praescindĕre, che però aveva solo il sign. proprio di «tagliare davanti», comp. di prae- «pre-» e scindĕre «dividere, lacerare»] (pass. rem. io prescindéi, non com. prescissi, tu prescindésti, ecc.; rari i tempi composti con il part. pass. prescisso, anch’esso poco com.). – Tralasciare, lasciare da parte, non prendere in considerazione: prescindo da opinioni personali e vengo al punto centrale della questione; spec. usate le locuz. a prescindere da, prescindendo da, facendo astrazione da, non tenendo conto di: a p. da ogni valutazione personale, riconosco che il suo intervento è stato utile; prescindendo dal fatto che non ne ho i mezzi, è un appartamento che non acquisterei mai.
  2. gianmarcocapecci

    Lippi: ”La Juve tornerà a vincere. Quando? Con i grandi giocatori“

    È ovvio che per vincere servono i grandi giocatori. Com’è vero che servono anche i grandi allenatori e i grandi dirigenti. Attualmente nella Juventus sono presenti queste tre fondamentali componenti? Premetto che non nutro alcun tipo di livore verso l’attuale allenatore della Juventus, anzi lo ringrazio per il suo lungo ciclo vincente. Tuttavia leggo molto spesso che, anche nel momento attuale, lo stesso mister sia la chiave di volta di una squadra composta essenzialmente da brocchi; i quali navigherebbero sì e no a metà classifica senza il coach livornese. Analizziamo la rosa più e più volte definita come “scadente” (limitando il lavoro esclusivamente a 11 possibili titolari; sarebbe interessante estenderlo all’intero organigramma, ma per motivi di tempo non mi è stato possibile). Wojciech Szczęsny: 402 presenze nei campionati di massima divisione, 23 presenze nelle coppe nazionali, 83 presenze nelle coppe europee, 8 presenze in Under 21, 79 presenze nella nazionale polacca (31° ranking FIFA) di cui 5 agli europei e 5 ai mondiali; palmares: 2 FA Cup, 1 Community Shield, 3 Scudetti, 2 Coppe Italia, 2 Supercoppe italiane, 1 volta miglior portiere della Premier, 1 volta miglior portiere della Serie A. Danilo Luiz da Silva: 391 presenze nei campionati di massima divisione con 33 gol, 60 presenze nelle coppe nazionali con 1 gol, 93 presenze nelle coppe continentali con 5 gol, 4 presenze alle Olimpiadi, 54 presenze nella nazionale brasiliana (5° ranking FIFA) con 1 gol, di cui 4 ai mondiali e 7 in Coppa America; palmares: 2 Primiera Liga, 2 Supercoppe di Portogallo, 1 Liga, 2 Premier, 2 Coppe di Lega, 1 FA Cup, 1 Community Shield, 1 Scudetto, 1 Coppa Italia, 1 Supercoppa italiana, 1 Libertadores, 2 Champions, 1 Supercoppa UEFA, 1 mondiale per club, 1 Argento Coppa America, 1 Argento olimpico. Gleison Bremer: 178 presenze nei campionati di massima divisione con 18 gol, 14 presenze nelle coppe nazionali con 3 gol, 19 presenze nelle coppe continentali, 3 presenze nella nazionale brasiliana di cui 2 ai mondiali; palmares: 1 Mineirao, 1 volta miglior difensore della Serie A, 1 volta calciatore della Squadra dell’anno AIC. Daniele Rugani: 168 presenze nei campionati di massima divisione con 16 gol, 16 presenze in Coppa Italia con 2 gol, 17 presenze nelle coppe europee con 1 gol, 19 presenze in Under 21 con 2 gol, 7 presenze nella nazionale italiana (9° ranking FIFA); palmares: 6 Scudetti, 3 Coppe Italia e 2 Supercoppe italiane, 1 volta calciatore della Squadra dell’anno AIC. Andrea Cambiaso: 78 presenze in Serie A con 2 gol, 8 presenze in Coppa Italia con 1 gol, 8 presenze in Under 21. Weston McKennie: 189 presenze nei campionati di massima divisione con 13 gol, 18 presenze nelle coppe nazionali, 24 presenze nelle coppe europee con 4 gol, 2 presenze in Supercoppa italiana con 1 gol, 49 presenze nella nazionale statunitense (12° ranking FIFA) con 11 gol, di cui 5 in Gold Cup con 2 gol e 4 presenze ai mondiali; palmares: 1 Coppa Italia, 1 Supercoppa italiana, 2 CONCACAF Nations League, 1 Argento Gold Cup, 1 U.S. Soccer Athlete of the Year, 1 volta Miglior giocatore della CONCACAF Nations League. Manuel Locatelli: 232 presenze in Serie A con 12 gol, 18 presenze in Coppa Italia con 1 gol, 29 presenze nelle coppe europee, 23 presenze in under 21 con 2 gol, 26 presenze nella nazionale italiana con 3 gol, di cui 5 agli europei con 2 gol; palmares: 1 Supercoppa italiana, 1 Campionato europeo, 1 Bronzo Europeo Under 21, 1 Bronzo UEFA Nations League, 1 premio Bulgarelli Number 8. Adrien Rabiot: 311 presenze nei campionati di massima divisione con 31 gol, 56 presenze nelle coppe nazionali con 6 gol, 68 presenze nelle coppe europee con 8 gol, 5 presenze nelle supercoppe con 1 gol, 17 presenze in Under 21 con 1 gol, 42 presenze nella nazionale francese (2° ranking FIFA) con 4 gol, di cui 4 agli europei e 6 ai mondiali con 1 gol; palmares: 6 Ligue 1, 4 Coppe di Francia, 6 supercoppe e 5 Coppe di Lega francesi, 1 Scudetto, 1 Coppa Italia, 1 Supercoppa italiana, 1 UEFA Nations League, 1 Argento Mondiale. Filip Kostić: 381 presenze nei campionati di massima divisione con 52 gol, 22 presenze nelle coppe nazionali con 4 gol, 55 presenze nelle coppe europee con 12 gol, 8 presenze in Under 21 con 2 gol, 60 presenze nella nazionale serba (29° ranking FIFA) con 3 gol, di cui 5 ai mondiali; palmares: 1 Europa League, 2 volte calciatore della Squadra della stagione della UEFA Europa League, 1 volta Calciatore della stagione della UEFA Europa League. Dušan Vlahović: 184 presenze nei campionati di massima divisione con 77 gol, 23 presenze nelle coppe nazionali con 8 gol, 16 presenze nelle coppe europee con 5 gol, 3 presenze in Under 21, 25 presenze nella nazionale serba con 13 gol, di cui 2 ai mondiali con 1 gol; palmares: 1 campionato serbo e 2 Coppe di Serbia, 1 miglior giovane Serie A, 1 capocannoniere della Coppa Italia, 1 volta calciatore della Squadra dell’anno AIC. Federico Chiesa: 223 presenze in Serie A con 44 gol, 20 presenze in Coppa Italia con 10 gol, 25 presenze nelle coppe europee con 8 gol, 12 presenze in Under 21 con 6 gol, 44 presenze nella nazionale italiana con 7 gol, di cui 7 agli europei con 2 gol; palmares: 1 Coppa Italia, 1 Supercoppa italiana, 1 Campionato europeo, 2 Bronzi Nations League, 1 Bronzo Europeo Under 21, 1 premio Andrea Fortunato, 1 XI All Star Team campionato d’Europa, 1 Pallone Azzurro, 1 volta calciatore della Squadra dell’anno AIC. Se non ho sbagliato i conti, in totale fanno 2.737 presenze nei campionati di massima divisione (per una media di 248,81 a testa) con 298 gol, 429 presenze nelle coppe continentali (39 a testa) con 43 gol, 389 presenze nelle nazionali maggiori, 6 top 10 ranking FIFA, (35,36 a testa) con 42 gol (di cui 61 presenze nelle fasi finali dei campionati continentali o mondiali con 8 gol). Ci sono 23 vittorie nei campionati e 44 nelle varie coppe e supercoppe nazionali, 6 vittorie nelle coppe internazionali. Tra i nazionali, che non di rado hanno indossato la fascia di capitano, ci sono 2 ori continentali con 1 argento, 3 ori nelle Nations League con 3 bronzi, 1 argento olimpico. I principali premi individuali sono 14, tra nazionali e internazionali. Alla luce di questi dati ritengo di poter collocare questi calciatori senza troppa difficoltà entro le prime 2, massimo 3 forze del campionato. Il vero limite di questa squadra forse è la media gol, che a occhio non mi pare altissima. Per questo motivo le carenze individuali, specialmente quelle offensive, potrebbero essere compensate dalla coordinazione collettiva della squadra.
  3. gianmarcocapecci

    Questa Juventus può giocare solo così

    L’assoluta dicotomia fra pensieri estremi e opposti (o almeno tali in apparenza) è il fondamento di uno schema cognitivo assolutamente efficace e conveniente per il pensiero umano. Se non è freddo, è caldo. O è bianco o è nero. Noi contro di loro. Lo schema cognitivo però, ahimè, è un prodotto della mente stabile ma soggettivo, tuttavia influenza in maniera decisiva la nostra percezione della realtà. La quale è molto più complessa di come vorremmo. Dunque per alcuni “giocare bene” vuol dire un calcio necessariamente votato all’attacco; per altri tale proposta implica il perdere di frequente molte partite. Di contro, c’è chi sostiene che stare rinserrati in difesa sia la tattica che produca più punti in assoluto, in contrasto col pensiero di altri che lo reputano un atteggiamento limitante e controproducente. Leggo che l’allenatore non soltanto non rappresenta un valore aggiunto, ma addirittura dovrebbe essere stipendiato con il solo compito di non arrecare danno alla squadra; l’opinione divergente è che unicamente da esso dipenda il destino di un team e l’esito del campionato. Qualcuno considera la rosa bianconera talmente scadente da non valere neanche un agevole quarto posto in classifica; ma è in polemica con chi reputa assolutamente valido un parco giocatori depotenziato dal trainer. Non mancano coloro che sono convinti che senza i campionissimi nessun traguardo potrà essere raggiunto, in conflitto coi sostenitori della bontà di una squadra operaia e votata al sacrificio. È, questo, uno scontro di opinioni molto ben alimentato da media compiacenti, che sanno bene come incentivare l’interesse nei confronti di una tematica polarizzando gli opposti a priori. Ma, se in medio stat virtus, allora forse siamo ben lontani dalla veritas. Chi ha stabilito quali sono i parametri estetici del calcio? Vorrei citare uno scrittore di calcio che personalmente stimo moltissimo, Fabio Barcellona: In una partita di calcio la bellezza si esprime attraverso due strade che formalmente, sempre con la finalità di semplificare il ragionamento, possiamo distinguere, ma che in realtà sono più connesse di quanto pensiamo. La prima strada è quella del gesto tecnico. Un dribbling, un tiro, un lancio, persino un tackle, ogni gesto tecnico, esprime le doti di forza, coordinazione, destrezza e fantasia motoria dell’atleta e appaga in qualche maniera il piacere estetico dello spettatore. Tutti, o meglio, la maggior parte di noi appassionati di calcio, apprezziamo un tiro all’incrocio, un lancio millimetrico, una giocata inaspettata, una parata acrobatica. La seconda strada è quella corale, più legata alla tattica, e comprende quindi il movimento collettivo e coordinato di tutti i giocatori, che definisce, in qualche maniera, lo stile di gioco della squadra. Una squadra disposta il campo in maniera armoniosa (un termine spesso legato alla bellezza), in cui i giocatori si muovono seguendo tempi corretti, creando e occupando spazi, restituisce nell’osservatore l’appagamento estetico che spesso ricerchiamo quando guardiamo una partita di calcio. Ecco, se il piacere legato all’ammirazione del gesto tecnico è forse più univoco, suppongo che quello legato alle trame di gioco della squadra sia più soggettivo. (www.ultimouomo.com; 24/02/2018) È inutile sottolineare quanto entrambe le strade siano finalizzate alla vittoria e non debbano intendersi come azioni meramente fini a sé stesse. Per il primo canone di bellezza armonica, quello del gesto tecnico individuale, possiamo essere più o meno tutti d’accordo che la squadra juventina sia al momento relativamente carente. Potrebbe sorgere la domanda se tali qualità siano necessariamente intrinseche alla natura del calciatore o possano essere anche, almeno in parte, imparate e sviluppate attraverso un adeguato esercizio quotidiano. E anche qui, probabilmente sono vere entrambe le possibilità. Al contrario, nel caso del secondo canone legato all’aspetto corale e di squadra, è altrettanto facile riconoscere serenamente che proprio perché deficitari di creatività e bagaglio tecnico individuali, sia ancor più necessario attivare e implementare una coordinazione collettiva che sappia colmare le singole lacune, ponendo ciascuno all’interno di un sistema che ne limiti i difetti ed evidenzi i pregi. Ciò per evitare che siano soltanto l’improvvisazione e la fortuna a determinare i risultati, così che questi possano esser ottenuti più agevolmente e per lungo tempo. L’optimum sarebbe avere un’equipe piena di fenomeni perfettamente integrati in un contesto collettivo organizzato. Di contro, ciò che si dovrebbe evitare al massimo, potrebbe essere il ritrovarsi con un pugno di giocatori, già di per sé singolarmente modesti, che non sappiano quasi mai cosa fare del pallone nelle rare volte che ne vengono in possesso. I risultati potrebbero però arrivare o meno, nel periodo momentaneo, in entrambi i casi. Questo perché il gioco del calcio è, per l’appunto, un “gioco” e come tale soggetto alle più imprevedibili bizze dell’aleatorietà.
  4. Sei una persona meravigliosa 

    1. 29 MAGGIO 1985

      29 MAGGIO 1985

      Carissimo, buongiorno.

      Troppo, veramente troppo munifico nei miei confronti,

      non merito, assolutamente non merito tanta pregiata

      e generosa considerazione.

      Se la signora che da illo tempore si .lazy corica con me

      passasse da queste parti e dovesse leggere ciò che hai scritto,

      ne son certo così come sono certo del quotidiano sorgere del

      sole, non ho dubbio alcuno nell'affermare che sporgerebbe

      immediata " Denuncia/Querela " nei tuoi confronti per mistificatoria

      e fraudolenta manipolazione della obiettiva ed oggettiva realtà .

      Insomma, tradotto, rischiamo grosso .chebotta entrambi ... :upss:

      Ciò detto e premesso, nel porgerti il mio dovuto e sincero

      Ringraziamento, colgo altresì al volo l'occasione per ribadire 

      e confermare che questa virtuale " Agorà a Tinte Bianconere ",

      al di là dei rispettivi ed opinabili punti di vista inerenti il tale 

      o talaltro " motivo del contendere ", ha assolutamente bisogno

      di " Juventini/Persone " come te ! 

      Buon proseguimento di giornata a te e famiglia,

      cordialmente .salveStefano !

       

  5. gianmarcocapecci

    Perdere la vita giocando a calcio

    Caro Stefano Mi ero ripromesso di non scrivere più su questo forum, che purtroppo negli ultimi tempi sembra essere diventato un ricettacolo di commenti che trasudano ignoranza e livore. Ma questo tuo contributo mi ha provocato un moto del cuore. Io sono tifoso ascolano, ma ho lungamente abitato a San Benedetto dove ho seguito tutto il mio percorso scolastico. Dunque capisci come la storia che tu hai qui ricordato rappresenti per me un drammatico archetipo della mia duplice e contrastante identità sportiva. Anche Carletto Mazzone, che era il capitano del povero Strulli, anni dopo e sempre in un derby piceno ci rimise una gamba e la sua carriera di calciatore. «Uno che ha giocato Ascoli-Sambenedettese credo che, sul piano dell’intensità emozionale, abbia provato tutto...» dichiarerà in seguito il focoso mister prima di un Roma-Lazio. Ma purtroppo, come tu saprai, non si tratta dell’unico episodio doloroso accaduto quello stadio amatissimo e maledetto, nel quale io ho avuto il piacere e l’onore sia di giocare che di arbitrare nel mio, ancora una volta duplice e contrastante, percorso sportivo giovanile. Del resto la stessa intitolazione dell’impianto ai fratelli Aldo e Dino Ballarin portava con sé, in nuce, tutta l’amarezza e la fatalità di giovani vite perdute a corollario di una partita di calcio. Tutti conoscono la storia del “Rogo del Ballarin” in cui rimasero ustionate decine di persone, due delle quali, Carla Bisirri e Maria Teresa Napoleoni, persero poi la vita dopo giorni di agonia. In questa immagine, a pochi istanti dall’avvio della gara, Zenga si gira verso la Curva Sud dove già sono divampate le prime fiamme Ben pochi sanno che nel 1975 l’incontro di calcio per beneficenza tra la Nazionale Italiana Artisti e una squadra di vecchie glorie della Sambenedettese, disputato sempre su quel campo glorioso e funesto, fu l’ultima occasione che il destino concesse a Pier Paolo Pasolini di poter calzare gli scarpini e correre felice dietro a un pallone, poche settimane prima della tragica notte di Ostia. Oggi quegli spalti che tanto timore incutevano ai giovani avversari (come ricordavano Tardelli e anche i nostri angeli Paolo Rossi e Luca Vialli) e rappresentavano uno dei segreti delle miracolose salvezze rossoblù sono parzialmente in rovina. Il comune, proprietario della struttura, ha avviato un’ambiziosa ma incompleta ristrutturazione della stessa, demolendo la vecchia tribuna e restaurando il muro alla base, decorato con un murale dedicato a Carla e Maria Teresa.
  6. Forse temeva che gli stakeholder coinvolti nel deal con Volkswagen non avrebbero compreso la citazione in lingua originale...
  7. gianmarcocapecci

    Mondiale 1982: quarantesimo anniversario

    Quella fu un’estate magica. Ero piccolo e ancora non capivo molto del gioco. Mi bastava tifare e gridare a squarciagola ad ogni gol. Poi, crescendo, appassionandomi, studiando, ho arricchito quel bagaglio fatto di sole emozioni e teneri ricordi. Ho scoperto le vicende sportive e quelle umane che si nascondevano nelle pieghe di quei giorni, ho compreso al meglio gesti tecnici di immenso valore. E così il Mundial è diventato un’esperienza globale che ha arricchito la mia vita. Ma ogni immagine di quelle giornate spagnole rappresenta per me una piccola Madeleine che mi permette di rivivere intatte le stesse sensazioni, via via più mature e consapevoli nel corso degli (ahimè, molti) anni. Uno degli argomenti di maggior interesse fu, senza dubbio, la questione del silenzio stampa e di tutte le polemiche, le critiche e le accuse cattive e gratuite verso gli azzurri. In particolare, oltre alla Gazzetta e a Tuttosport, Il Messaggero fu decisamente schierato contro Bearzot, anche a livello personale, specialmente attraverso una delle sue più prestigiose firme dell’epoca come Gianni Melidoni. Già nel ’78, quello che si autodefinisce “Il giornale di Roma, da sempre”, ci andava giù pesante prima e dopo una brutta amichevole pre-mondiale pareggiata in casa contro la Jugoslavia: «Ma restiamocene a casa!»; «Bearzot accetta i fischi ma dà i numeri»; «A 15 giorni dal Mundial argentino è d’obbligo chiedersi se è il caso di affrontare l’avventura. Il regolamento internazionale non concede forfait […] ma sarebbe sicuramente più opportuno restarcene a casa» (19/05/1978). Sappiamo tutti come andò a finire… Nell’82, alla luce delle opache prove del primo turno, prima del secondo girone in cui avremmo affrontato Brasile e Argentina, si sprecarono i pronostici catastrofici e nei commenti si passò direttamente agli insulti: «All’Italia il terribile compito di far da pallottoliere ai titani, nel senso che, in caso di pareggio tra i sudamericani, varranno i gol segnati o da segnare e per costoro non ci sarà altra possibilità di sfogo che la porta di Zoff» (Gianni Melidoni, Il Messaggero, 24/06/1982). «Il gioco italiano è il più brutto al Mundial […], un gioco stracco e sanguisuga fondato sul marcamento a uomo che ha il potere di deprimere perfino la buona volontà degli avversari. Il nulla rappresentato su un campo di calcio» (Gianni Melidoni, Il Messaggero, 25/06/1982). «La nostra gloria si regge sui “se” di una qualificazione ridicola» (Gianni Melidoni, Il Messaggero, 04/07/1982). «L’armata Brancazot è ambasciatrice di un calcio comodo e noioso» (Gianni Melidoni, Il Messaggero, 05/07/1982). «Bearzot sta già predisponendo la ritirata. È un ventriloquo. Fa del proprio ombelico il centro del mondo. Vuole fare il protagonista, gli piace la scena, gli applausi da circhi […]. Tardelli non intende marcare nessuno. Non ce la fa proprio. È in coma atletico. (Lino Cascioli, Il Messaggero, 10/06/1982). Maurizio Mosca e i suoi colleghi dalle pagine del Corriere della Sera lanciavano i loro strali contro il C.T.: «Nel vedere l’Inghilterra aumenta la nostra rabbia nei confronti della Nazionale italiana» (Maurizio Mosca, Il Corriere della Sera, 21/06/1982). «L’Italia già pensa al dopo-Mundial» (Titolo de Il Corriere della Sera, 28/06/1982). «Siamo al calcio del coitus inerruptus» (Carlo Grandini, Il Corriere della Sera, 28/06/1982). «Bearzot figurerebbe intorno al ventesimo posto in una classifica ideale dei migliori allenatori italiani […]. I suoi errori tattici sono macroscopici […]. È probabilmente sprofondato in un preoccupante stato confusionale» (Mario Gherarducci, Il Corriere della Sera, 28/06/1982). «Basterebbe saper perdere. Non c’è tecnico preparato e in buona fede che in partenza non dia l’Italia sconfitta, magari vistosamente» (Titolo de Il Corriere della Sera, 29/06/1982). «Alcuni dei più brillanti fra i nostri allenatori, quali Pace, De Sisti, Fascetti, Agroppi, Catuzzi e Corso […] considerano Bearzot molto superato […], obsoleto, vecchio, non più competitivo» (Enrico Arcelli, Il Corriere della Sera, 29/06/1982). Salvo, poi, vedere ciascuno rimangiarsi tutto dopo la notte di Madrid: «Grazie azzurri […]. Avete fatto una cosa immensa, avete dato agli italiani dei giorni incredibili, emozioni e palpiti che ci hanno unito nel vostro trionfo» (Maurizio Mosca, Il Corriere della Sera, 12/07/1982). «Enzo Bearzot è il condottiero più brillante della storia azzurra dopo Vittorio Pozzo» (Carlo Grandini, Il Corriere della Sera, 13/07/1982). «Dopo essersi imposta sulla scuola sudamericana, più spettacolare che pratica, gli azzurri hanno puntato su quella europea e l’hanno egualmente travolta portando nel firmamento l’esclusiva novità del gioco all’italiana» (Gianni Melidoni, Il Messaggero, 13/07/1982). «Il miglior tecnico dei campionati del mondo: Bearzot» (Lino Cascioli, Il Messaggero, 13/07/1982).
  8. Che bello, mi mancava un topic dove insultare o denigrare la figura di un tesserato della Juventus, in questo caso un calciatore che ha dato (letteralmente) il sangue per la propria squadra di club. Colpevole di aver parlato con amore della propria nazionale, dopo che da capitano ha alzato un trofeo che mancava da più di 50 anni, senza avere chiesto prima il permesso ai veri tifosi juventini. Tifosi che, come risaputo, per essere davvero tali, dovrebbero odiare o quantomeno ignorare la nazionale. Del resto la nazionale è emanazione della FIGC, la nota associazione antijuventina che è la sola e unica colpevole dei noti fatti del 2006, e dunque deve essere oggetto di rifiuto. Come del resto vengono rifiutati gli scudetti, le Coppe Italia e le relative supercoppe, tutti trofei targati FIGC e pertanto emblema del potere da combattere. Il vero tifoso juventino, infatti, apprezza chi si batte per la maglia e non è un mercenario che lo fa soltanto per lo stipendio. E dunque, coerentemente, chi si batte gratis in nazionale deve essere contestato perché sennò si stanca troppo e non si impegna per il club che gli paga lo stipendio. Del resto chi fa il calciatore, come sanno bene per esperienza personale i veri tifosi, non deve coltivare il sogno di giocare e magari vincere competizioni insignificanti quali europei e mondiali, perché non sono certamente questi i sogni di un bambino che inizia a calciare il pallone da piccolo. Questo deve sognare di giocare esclusivamente per il proprio club, possibilmente sempre lo stesso, sennò abbiamo detto che è un mercenario, e condividere ogni pensiero dei propri tifosi, specialmente quelli veri.
  9. Giorgì, ti leggo sempre con piacere, ti stimo e mi stai proprio simpatico. Ma ti posso fa' na domanda? Perché devi mettere sempre quegli antipatici puntini di sospensione al posto delle virgole?!? 

    P.S. Pozza i bbè

    1. Giorgino

      Giorgino

      Perchè tempo fa presi questa abitudine e m'è rimasta appiccicata... :d

       

       

      Pozza ì sempre bbè! :d

    2. gianmarcocapecci
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