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bidescu

Nicolò Napoli

Post in rilievo

Napoli veste la maglia bianconera durante gli anni bui della storia juventina, a cavallo fra gli anni ottanta e novanta, riuscendo a ritagliarsi un piccolo posto da protagonista e facendosi apprezzare dai suoi allenatori, da Marchesi a Zoff, per arrivare a Maifredi.

Veste il bianconero a venticinque anni; ex bambino prodigio del pallone (a 15 anni già capace di giocare 17 partite in un campionato regionale di prima categoria, in Sicilia), una carriera costruita al Sud ed un soprannome a dir poco impegnativo di “Cabrini del Sud”.

«Nasce in modo scherzoso, naturalmente. A Messina avevo preso la bella abitudine, pur giocando da marcatore sulla seconda punta avversaria, di segnare, spesso e sempre, goals importanti. L’accostamento a Cabrini è anche dovuto al fatto che tutti conoscevano le mie simpatie, fin da bambino, per i colori juventini. Una volta che la Juventus ha cominciato a interessarsi a me, è stato fin troppo facile appiccicarmi questa etichetta».

Napoli diventa professionista a 17 anni, nel Messina. Primo anno in C1, sette presenze e quattro goals. Niente male per un difensore.

«Niente male davvero, anche perché il mio ruolo è sempre stato di terzino marcatore, impiegato sulla seconda punta. Naturalmente le mie caratteristiche fisiche e tecniche mi portano spesso ad avanzare, a partecipare al gioco e questo favorisce la mia presenza in zona-goal».

Dopo Messina.

«Sono finito alla Cavese e poi al Benevento, prima di tornare al Messina, con Scoglio che mi ha valorizzato. Tre stagioni con i colori messinesi e poi la Juventus».

A Torino si ambienta immediatamente.

«Ero chiaramente un po’ spaesato, ma tutti, dai dirigenti ai giocatori, mi hanno dato una grossa mano. E poi, ho un certo carattere che si adatta sempre. Non mi è stato difficile, insomma, trovarmi presto a mio agio».

Il debutto al “Comunale” è degno di un campione; il primo pallone che tocca è un invito al bacio per Ian Rush, che va a segnare uno dei suoi goal più belli e perentori.

«È un caso, di sicuro, però mi ha fatto immensamente piacere, perché è importante, in un ambiente che non conosci e che, soprattutto, non ti conosce, iniziare bene. Certe opportunità bisogna saperle sfruttare al volo, perché non è detto che ne capitino poi molte altre».

Nicolò rimane alla Juventus dal 1987 al 1991, riuscendo a totalizzare 93 presenze e 6 goals, conditi con la conquista della Coppa Uefa e della Coppa Italia.

 

Il ritratto di Vladimiro Caminiti, su “Hurrà Juventus” del giugno 1989:

«L’eco delle sue prodezze messinesi non era bastato a farlo apprezzare da Marchesi, non soltanto perché il ragazzo era chiuso dal forte Favero, quanto e soprattutto perché una nuvola di ricordi e di nostalgie stava in quei giorni sulla difesa. E certamente l’imbattibile difesa juventina di tutti i primati, andava ad essere riveduta e corretta. Però Nicolò Napoli avrebbe meritato di essere scoperto prima, lui, allievo di quel tecnico scorbutico e geniale che ha il destino nel nome, cioè Scoglio, il quale lo aveva valorizzato nel Messina, e che aveva ripagato a suon di goals, sei nel campionato 1986-87, in 36 partite.

Cosa aggiungere se non una scheda tecnica che faccia capire il repertorio di questo difensore eclettico ??? Sa marcare ma soprattutto sa salpare; Zoff lo ha rilanciato in occasione della trasferta di campionato a “Fuorigrotta”, e lui lo ricompensò con un goal di bellissima fattura, di testa, da quel momento proponendosi come titolare.

“Sente” il goal, è la sua caratteristica primaria come difensore, un difensore che “sente” il goal è merce rara. Mi ha colpito anche per la sua corsa snella, la sua attitudine all’anticipo senza sprecare, anzi ignorando i colpi proibiti. Un giocatore lindo, di grossa semplicità psicologica, un professionista adamantino, se è vero che ha subìto ogni parte della malasorte, senza mai lamentarsi. Soltanto di recente ha cercato di farsi sentire: almeno provatemi, per vedere se valgo ancora qualcosa. Infatti, a non giocare ci si inaridisce, soprattutto psicologicamente.

Ecco Nicolò Napoli, dunque, alla conquista della squadra più bella, lui che è palermitano purosangue, di una città calcisticamente negata al vivaio e dove ogni fiore spesso è appassito per colpevole negligenza dell’ambiente. Napoli sta dimostrando, in questo finale di stagione (una stagione; la prima “zoffiana”, secondo me positiva) il suo talento di calciatore. Calciatore di difesa, ma concepito strutturalmente per la costruzione del gioco; giocatore di difesa con uno squisito senso tattico, che può disimpegnarsi con buoni risultati anche impiegato da “half”.

Lo definirei l’erede spaccato di Antonello Cuccureddu, con un destro meno possente, quello del sardo era proverbiale, ma non meno eclettico nella disponibilità a più ruoli.

Il futuro dirà ancora molte cose su questo giovane troppo trascurato nell’epoca di Marchesi tecnico, quasi snobbato, prima di accorgersi di avere in casa un puledro che sa azzeccare le traiettorie volanti e che dispone di ottimi fondamentali tecnici».

 

 

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Io sono di Messina e ricordo molto bene non solo Napoli nella Juve ma anche nel Messina di Franco Scoglio, Schillaci e Beppe Catalano (che a molti di voi, se non tutti, non dirà nulla). Giocatore a cui sono molto affezionato, uno di quelli che più ho amato.

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