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house20

House of Cards

Post in rilievo

House of Cards – Stagione 1

 

 

house-of-cards-stagione-1.jpg

«Look like the innocent flower but be the serpent under it».

Lady Macbeth, Macbeth (Atto I, scena V)

House of Cards è Shakespeare.

Ho attirato la vostra attenzione? State tutti guardando verso di me imbracciando una lancia puntata al mio cuore? Bene, cominciamo.

No, House of Cards non “è” Shakespeare, ma le influenze del sommo drammaturgo inglese sulla serie di Beau Willimon sono più del naturale e-grazie!-è-uno-dei-padri-della-narrativa, oltretutto dichiarate sin dal romanzo di Michael Dobbs e dal primo adattamento televisivo britannico del 1990 di cui la serie Netflix è una trasposizione. Fate attenzione, quando parlo di influenze non mi riferisco alle tematiche più profonde, alla rivisitazione di quella o quell’altra opera (per esempio, trovo molto più puntuale la prospettiva secondo la quale molti hanno visto in The Sopranos e nel personaggio di Tony Soprano una rilettura dell’Amleto), ma parlo di un approccio narrativo e politico, l’immagine dell’uomo che da solo tiene in pugno una nazione con l’intelligenza e l’inganno come uniche armi, di un’epica che si fa racconto morale, di una teatralità assolutamente spettacolare. Di conseguenza House of Cards si presenta come un prodotto classico nella sua migliore accezione (il classico che è sempre attuale, che non invecchia mai) e d’intrattenimento allo stesso modo in cui lo sono le opere di Shakespeare, kolossal apoca-politici quando ancora non esisteva la CGI.

Frank Underwood è un novello (e di gran lunga più piacente) Riccardo III, assetato di vendetta nei confronti del re presidente degli Stati Uniti d’America che dopo essere stato eletto non ha mantenuto la parola data: affidargli la carica di Segretario di Stato. Frank allora mette in atto un piano di conquista in 13 parti che scopriamo portare dritto alla vicepresidenza. E da lì? Scacco al re?

Proprio come davanti a una partita a scacchi, Frank insegna al pubblico che per vincere bisogna avere tattica, calcolo e lungimiranza, ma soprattutto nessuna pietà nemmeno per le proprie pedine (sì, Peter Russo, mi riferisco a te). Il personaggio di Frank è magnetico, la sua sete di potere galvanizzante, ma sin da subito il coinvolgimento che lega lo spettatore al protagonista è cerebrale, ludico. Perché quando Frank ci guarda e si rivolge direttamente a noi, ci ricorda che c’è un “noi” e un “loro”: se il voice over è lo strumento che più facilmente permette la compenetrazione spettatore-protagonista, l’interpellazione è la mossa cinematografica che spezza per sempre qualunque possibile empatia, alzando un muro tra il “di qua” e “di là” dello schermo. Frank non ha cuore, anzi se ne sbarazza due volte uccidendo il “cuore” (emotivo) della serie stessa, Peter Russo. A compensare la totale assenza di sentimento nei confronti del personaggio (e furbescamente a proteggerci dal male commesso senza doverlo ipocritamente giustificare) c’è il desiderio di rivincita nei confronti del potere istituito, fantasia di cui subiamo sempre il fascino. Di conseguenza più che identificarci con la storia di Frank è come se giocassimo la partita con lui: di Frank a noi non interessa nulla, desideriamo soltanto vederlo vincere. E c’è una purezza fanciullesca nell’intima malvagità di Frank, nella sua ambizione, che si rivela specialmente in due momenti: prima di tutto nello splendido Chapter 8, in cui ci rendiamo conto che in fondo l’uomo non è mai davvero maturato da quando frequentava il college, quindi nella venatura infantile e smaniosa con cui si sviluppa il rapporto con la reporter Zoe Barnes. D’altronde il male è immaturo, è sincero, onesto e sorridente, si diverte con la PS3 e gioca per vincere.

La complessità e il grigiore sembrano invece essere riservate alla consorte di Frank (o dovrei dire Francis?): Claire Underwood è il personaggio senza dubbio più interessante di tutto House of Cards. Presentataci come algida lady Macbeth, nel corso delle puntate la figura della donna si rivela poco a poco più sfaccettata, fino a essere simboleggiata dall’immagine dell’origami, sinonimo di costruzione, architettura, verticalità, proprio come un “castello di carte”. Se Frank Underwood è animato dal movimento orizzontale che segue le pedine sulla scacchiera, Claire tende verso l’alto, foglio steso e immacolato che si fa cigno dal collo allungato. Se quello di Frank è un gioco che pretende un premio, la prospettiva di Claire è superiore. Come lei stessa ammette, l’affinità elettiva con Frank non nasce dalla possibilità di un beneficio materiale (soldi, potere), ma dal raggiungimento di una condizione esistenziale: l’uomo le ha promesso che non si sarebbe mai annoiata. Di conseguenza Claire si pone nei confronti di Frank quasi nello stesso modo in cui lo spettatore si pone nei confronti del protagonista, cioè ne condivide il gioco da un punto di vista esclusivamente intellettuale. Ma bisogna stare attenti a chi, come Claire, gioca soltanto per il gusto di giocare, perché non ama sentirsi usato: è infatti il suo tradimento, conseguenza dell’essersi sentita messa da parte e sfruttata dal marito alla stregua di una delle sue pedine, il colpo più duro inferto al protagonista, che non solo provoca la crisi che Frank risolve in maniera brutale nell’ultima parte di stagione, ma che apre la possibilità dell’incombente disfatta.

Come Lady Macbeth anche Claire è perseguitata da visioni di morte (l’incontro al cimitero, il sogno della figlia di Peter Russo), ma al contrario della regina di Scozia la risposta scelta dalla donna non è il suicidio, ma la messa in discussione delle scelte del marito in quella scintilla di contestazione esplosa nel tradimento e nella fuga dalla sua ex fiamma: un desiderio di maternità. E allora non pare più un caso che la possibile futura sconfitta di Frank sia opera di altre tre donne, Zoe, Janine Skorsky e Christina Gallagher (le tre Parche?), che chi minacci Claire, Gillian Cole, sia una futura madre. Che alla fine dei giochi la partita a scacchi tra bianchi e neri venga ricondotta a quella tra maschile e femminile? Che il conflitto interno al personaggio di Claire sia tra questi due universi?

Ok, dopo questa lunghissima analisi dei due protagonisti cerchiamo di dire un paio di cose più “pratiche”.

Non mi dilungherò sulla questione Netflix, perché l’hanno già fatto altri e molto meglio di quanto potrei fare io. È indubbio però che Netflix debutti nel mondo della serialità con un prodotto eccellente.

Beau Willimon, già autore della sceneggiatura di quella perla che è The Ides of March, realizza una serie potente e significativa, un thriller politico che abbraccia completamente la nuova tipologia di fruizione e si fa esperienza di visione, un prodotto da divorare in fretta. Nel dirigere i primi due episodi David Fincher, già executive producer, setta uno stile visivo freddo, geometrico e claustrofobico, in linea col lavoro svolto negli ultimi The Social Network e The Girl with the Dragon Tatoo. Kevin Spacey fa il lavoro che gli viene richiesto in maniera convincente, ma è Robin Wright a spaccare lo schermo grazie alla sua interpretazione contenuta e “soffocata”. Insomma, la serie potrebbe facilmente sbancare ai prossimi Emmy e mettere in difficoltà il sistema tv, in special modo cable, su un piano centrale, ossia quello culturale.

www.serialmente.com

 

 

Serie, a mio parere, godibilissima e molto ben fatta, con attori d'eccezione. Consigliata, non certo solo a chi segue con interesse politica ed affini...

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Insomma, la serie potrebbe facilmente sbancare ai prossimi Emmy e mettere in difficoltà il sistema tv, in special modo cable, su un piano centrale, ossia quello culturale.

www.serialmente.com

 

 

Serie, a mio parere, godibilissima e molto ben fatta, con attori d'eccezione. Consigliata, non certo solo a chi segue con interesse politica ed affini...

 

Io più che godibilissima direi capolavorissimo.

Non a caso la lobby del sopravvalutato Homeland sta facendo di tutto per renderla ineligibile per gli Emmy.

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In Italia quando la vedremo?

Dubito fortemente che qualcuno la acquisti. E' un prodotto che qui non tira.

Boss, per dire, lo hanno cancellato dopo i primi episodi su Rai3, che aveva anche comprato Game Change (ma essendo un film tv era meno impegnativo da piazzare).

Sky ormai compra solo serie di largo consumo.

Da non sottovalutare il fatto che sia Netflix a produrre e trasmettere la serie, quindi non un semplice network tv. Un provider di contenuti via streaming che offre i propri servizi già in Europa (ovviamente non in Italia). Non so quanto sia interessata a cedere i diritti a una tv.

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Io volevo seguirla, ma se mi metto a sequirle tutte il tempo per coltivare hobbies va a farsi benedire...

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Io più che godibilissima direi capolavorissimo.

Non a caso la lobby del sopravvalutato Homeland sta facendo di tutto per renderla ineligibile per gli Emmy.

Finalmente una serie top...era ora...cast eccezionale...regista eccezionale....intrighi/potere/media.....stupendo

 

Miglior serie dell'anno .allah

Kevin Spacey .allah

Per distacco....

 

Kevin idolo...Fincher fantastico...ma LEI, la Wright, esagerata....la donna dei miei sogni sotto il profilo affiatamento...la colonna portante su cui grava il peso....

 

P.S. Ho paura che alla fine Kevin gli pianti le corna con la giornalista :d

 

In questo periodo sto seguendo talmente tante cose insieme che a volte mi perdo .ghgh

si ma questa vince su tutte .....man bassa....

 

10253868_858313764184734_6148526099085110519_n.png

 

.allah

quando parla con lobbista....fantastico...." a te non piace rischiare"..."come si mangia una balena? un morso alla volta"..."amo questa donna come lo squalo ama il sangue"...ed altre perle

 

 

Notevole anche il suo porta borse

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questo telefilm me ne parlano tutti benissimo

 

pero sono un po combattuto perche il politichese non lo amo troppo nei telefilm

 

potrebbe risultare piuttosto lento e noioso?

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questo telefilm me ne parlano tutti benissimo

 

pero sono un po combattuto perche il politichese non lo amo troppo nei telefilm

 

potrebbe risultare piuttosto lento e noioso?

Se ami le grandi recitazioni no.

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Se ami le grandi recitazioni no.

amo le grandi recitazioni pero il politichese non mi affascina...questo è il problema

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