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Friedrich der Große

Un referendum per serbi e croati di Bosnia

Post in rilievo

Che discorsi sono ? aLlora usando lo stesso ragionamento L Albania dovrebbe prendersi metà macedonia e parte del nord della Grecia !

 

.uhm in che senso? Non afferro la relazione...

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Sì, l'irredentismo albanese ok... Ma quello che non ho capito è il ragionamento alla base di quella frase... Nel senso che un eventuale referendum dei serbi di Bosnia è contemplabile solo nella misura in cui dovrebbero essere tutelate anche le istanze autonomiste degli albanesi etnici fuori dai confini dell'Albania (Macedonia, Montenegro, Ciamuria...)?

Perché se è così è un parallelismo che trovo piuttosto forzato.

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Sì, l'irredentismo albanese ok... Ma quello che non ho capito è il ragionamento alla base di quella frase... Nel senso che un eventuale referendum dei serbi di Bosnia è contemplabile solo nella misura in cui dovrebbero essere tutelate anche le istanze autonomiste degli albanesi etnici fuori dai confini dell'Albania (Macedonia, Montenegro, Ciamuria...)?

Perché se è così è un parallelismo che trovo piuttosto forzato.

 

Anche perché in Bosnia hanno la Republika Srpska e l'Herceg-Bosna da anni...

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Ieri, al Tribunale internazionale dell’Aia, uno degli imputati, l'ex generale croato Slobodan Praliak si è ucciso ingerendo del veleno in diretta TV alla lettura della sentenza che lo condannava in via definitiva a 20 anni di carcere (già in buona parte scontati) per crimini di guerra commessi durante il conflitto di Bosnia.

 

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Personalmente lo trovo un gesto tragico, ma a suo modo da ammirare, e immediato è stato il rimando a Mishima: una specie di ribellione estrema, atrocemente eroica ma estetizzante e simbolica, lo spregio finale di uno sconfitto che non accetta di dichiararsi vinto.

Sicuramente, questo tipo di morte non nobilita né riscatta quel tipo di uomo, ma gli regala quantomeno un'uscita degna, io credo, del massimo rispetto.

 

Interessante il pezzo di Emanuele Trevi apparso sul Corsera di oggi:

 

 

 

SOCRATE NON C’ENTRA

 

Quando il veleno è la via di fuga degli sconfitti

 

Il veleno letale evoca ricordi e immaginazioni tra i più disparati, tra memoria storica e immaginazione letteraria, fiaba e cronaca giudiziaria. È una minaccia, ma anche la più rapida ed efficace via di fuga. È un’ipotesi storica che si affaccia quando si riaprono i dossier di tante morti illustri, archiviate con fretta eccessiva. È uno degli accessori tipici del corredo delle spie, negli anni d’oro della Guerra Fredda: un finto dente pieno di cianuro, da ingoiare quando tutto è perduto, evitando così i rischi di un interrogatorio. In teatro, l’impiego più geniale di una boccetta di veleno è probabilmente quella del giovane Shakespeare, in quella commedia che all’improvviso si trasforma in tragedia che è Romeo e Giulietta. Perché un finto veleno, quando la sventura interviene nei fatti umani, può essere più micidiale di uno vero.

 

Tra le morti per veleno della storia del romanzo, la più straziante la scrisse Flaubert, nelle ultime pagine di Madame Bovary: una fine lenta e dolorosa, sproporzionata alle colpe dell’eroina. Negli stessi anni, in una delle poesie erotiche più celebri dei Fiori del male, Baudelaire trovava il veleno più letale nella «saliva che morde» dell’amata, più potente del vino e dell’oppio. Metafora o realtà, il veleno è un compagno costante delle vicende umane.

 

Non stupisce se quello del generale croato Slobodan Praljak è un gesto che ci turba per il suo sapore antico, da repertorio tragico, capace di evocare tutto ciò che, nell’esperienza umana del male e del dolore, è imperituro, come certe malattie fulminanti, o le catastrofi naturali. A metà degli anni Novanta fu proprio la guerra civile nella ex Jugoslavia a ricordarci, con la sua oscena brutalità, che gran parte dei progressi del genere umano, a esaminarli bene, non sono che leggere mutazioni del costume, smottamenti di superficie. Tutto ciò che di atroce e indicibile accadde in Bosnia, era ancora più atroce e indicibile perché sembrava uscire direttamente da un capitolo di un libro di storia o da un romanzo del passato. L’assedio di Sarajevo polverizzava, per la sua lunghezza, il terribile record di Leningrado. La gente moriva di fame e di freddo come durante la Guerra dei Trent’Anni. L’inverno stesso diventava un importante fattore strategico, come durante le campagne napoleoniche.

 

Ma il tragico andava a braccetto col pacchiano. I discorsi dei criminali di guerra, i vessilli, i giuramenti, i miracoli: era un massacro che assomigliava in maniera disgustosa all’involontaria parodia di un massacro. Mai la retorica del suolo e della stirpe aveva rivelato il suo volto criminale in maniera così evidente. I signori della guerra, anticipando i fasti medievali del Califfato, nutrivano un culto, insieme osceno e ridicolo, per tutti quegli atteggiamenti da sagra di paese che potessero richiamare le virtù del passato. È su questo sfondo che la boccetta di veleno ingerita da Praljak di fronte alla corte dell’Aia acquista una sua terribile coerenza. Praljak era un uomo notevole: un ingegnere, ma anche un regista, diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica di Zagabria. Ed ha scelto di morire evocando un archetipo memorabile. Ma gli archetipi sono complessi, e pericolosi da maneggiare. Significano sempre qualcosa di più di quello che, in una data occasione, vorremmo che significassero.

 

In ogni imitazione di un archetipo, si afferma qualcosa e spunta l’ombra del suo contrario. Ebbene, il mondo antico ci ha consegnato i fantasmi di due grandi avvelenati: Socrate e Cleopatra. La storia del primo è quella di chi accetta di bere la cicuta potendo sempre farne a meno, percorrendo lietamente il sentiero della sua sorte proprio perché fino all’ultimo esiste una via di scampo. Nella fine di Cleopatra, così come ce la racconta Plutarco, il veleno ha tutt’altro significato. Il celebre aspide è una via di scampo, una sfida, l’estrema affermazione di una volontà che non intende essere giudicata da altri che da se stessa. Non spetta a me giudicare come e quanto il generale Praljak abbia meditato su questa spinosa contraddizione. Sono portato a vedere un barlume di dignità in ogni atto di coraggio, per quanto disperato. Ma non posso evitare di pensare che il filosofo ateniese e la regina egiziana rappresentino due possibilità opposte e inconciliabili dell’agire umano. Il veleno di Socrate si è trasformato nella linfa di un’intera civiltà. Possiamo dire che ha cambiato il mondo. Proprio il contrario di quello di Cleopatra, che col mondo ha regolato solo una questione privata, un rapporto di forze.

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45% Islam sunnita

36% Ortodossi

15% Cattolici

1% Protestanti

3 % Altri

 

In verde i bosniaci (musulmani), in blu i serbi (ortodossi), in arancione i croati (cattolici).

 

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incredibile

grazie per questo post utile per capire

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Il 7/10/2017 Alle 21:29, JuventusOnly ha scritto:



P.S: i "pacifisti" in Bosnia casomai ci arrivarono proprio a causa dei massacri che stavano subendo i bosniaci mentre il mondo guardava, hai invertito il meccanismo di causa-effetto, con un intervento immediato (e non a cose fatte) non sarebbe arrivato nessun jihadista in quelle terre. E' lo stesso errore fatto in Siria, non intervieni subito, abbandoni la popolazione ai massacri del regime, finisce che interviene il jihadismo universale per fare "giustizia", con i suoi metodi chiaramente.

 

gli jihadisti entrano in bosnia perché negli anni ottanta, con il declino della jugoslavia, le connessioni, non solo economiche, tra bosnia ed arabia saudita si rafforzano progressivamente (lo stesso succede tra germania e croazia e slovenia) e perché c'erano da piazzare tutti i combattenti arabi in cassa integrazione dopo la guerra in afghanistan (e tra l'altro non sono sempre ben visti dai bosgnacchi)

 

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16 ore fa, nelnomedelpaolo ha scritto:

gli jihadisti entrano in bosnia perché negli anni ottanta, con il declino della jugoslavia, le connessioni, non solo economiche, tra bosnia ed arabia saudita si rafforzano progressivamente (lo stesso succede tra germania e croazia e slovenia) e perché c'erano da piazzare tutti i combattenti arabi in cassa integrazione dopo la guerra in afghanistan (e tra l'altro non sono sempre ben visti dai bosgnacchi)

 

Stai confondendo quella che è la "da'wa" (proselitismo) finanziata dai sauditi in tanti paesi "dove i musulmani ignorando la loro religione" (almeno dal punto di vista dei salafiti sauditi) con il jihadismo vero e proprio. 

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15 ore fa, nelnomedelpaolo ha scritto:

gli jihadisti entrano in bosnia perché negli anni ottanta, con il declino della jugoslavia, le connessioni, non solo economiche, tra bosnia ed arabia saudita si rafforzano progressivamente (lo stesso succede tra germania e croazia e slovenia) e perché c'erano da piazzare tutti i combattenti arabi in cassa integrazione dopo la guerra in afghanistan (e tra l'altro non sono sempre ben visti dai bosgnacchi)

 

C'è da dire una cosa.

Ad un certo punto durante la guerra di Bosnia, Izetbegovic si è trovato di fronte ad una situazione tipo "prendere o lasciare", nel senso che ha accettato l'aiuto "gentilmente offerto" dai paesi del Golfo e dall'Iran in mancanza di valide alternative.

 

In quel momento infatti,  Francia e Inghilterra (terrorizzate dalla prospettiva di una egemonia tedesca in centro Europa) tendevano a fare i pesci in barile, predicando dialogo e trattative tra le parti ma di fatto spingendo per una soluzione congelata alla situazione  sul terreno, che in quel momento essendo del tutto favorevole ai serbi, era ovviamente inaccettabile per i bosgnacchi. 

 

La Russia, era dichiaratamente dalla parte dei serbi sia per ragioni storiche  culturali sia  perché l'opposizione nazionalcomunista premeva pesantemente su Eltsin affinché non abbandonasse Belgrado. Ed Eltsin,  la cui posizione era vacillante,  non poteva permettersi un braccio di ferro con i suoi oppositori interni. Pertanto,  Russia, Inghilterra e Francia tendevano a fare blocco comune, sia in sede Onu che in sede di comunità europea: cosa che giocava a favore dei serbi.

 

Milosevic a Belgrado giocava solo per sé stesso,  ma anche se i suoi rapporti con i serbi di Pale  (Karadzic e Mladic) erano pessimi al punto da scambiarsi reciproche accuse di corruzione e tradimento nei confronti "del popolo serbo", non poteva ovviamente ovviamente scaricare i propri connazionali d'oltre Drina e quindi continuava di nascosto (ma neanche poi tanto), a fornire ai serbo-bosniaci di Pale, reparti regolari serbi, armi, milizie irregolari cosiddette "cetniche" (quelle di Draskovic e Seselj) e bande criminali come quelle di Arkan. Tutto questo supporto aveva il suo peso, ed almeno fino al 1993 aveva fatto pendere la bilancia del conflitto a favore di Pale.

 

La Germania, che teoricamente propendeva per Izetbegovic,  era in una situazione complicata,  perché da un lato si era legata da tempo al carro croato, dove Tudjman  però faceva un gioco molto sporco (trattava con Milosevic la spartizione della Bosnia ma si dichiarava favorevole ad Izetbegovic, mentre segretamente appoggiava i croato-bosniaci di Mostar, i quali un po' erano alleati dei musulmani contro i serbi di Pale ed un po' , a seconda delle circostanze, collaboravano con i serbi di Pale centro i musulmani), mentre dall'altro lato non poteva permettersi di schierarsi contro Francia e Inghilterra riconoscendo la Bosnia, così come aveva fatto con Slovenia e Croazia.  Di fatto, quindi, Berlino non poteva fare da sponda a Izetbegovic e dovette mantenere un profilo basso, anche per non inquietare la Russia. 

 

Gli Stati Uniti di Clinton propendevano decisamente per Izetbegovic,  ma almeno fino al 1994 per una serie di ragioni dovettero, rassegnarsi a lasciare la palla all'Onu ed alla Comunità Europea, fino a quando le inconcludenze dell'una e dell'altra non li convinsero a muoversi facendo perno su Zagabria.

Ed arriviamo alla questione. 

 

In una situazione del genere, trovandosi supportato a parole, ma isolato nei fatti, Izetbegovic ritenne di dover accettare aiuti di armi, volontari e denaro dai paesi arabi del Golfo e dall'Iran,  i quali, di fronte alla crisi dei musulmani bosgnacchi, facevano il diavolo  a quattro all'Onu ed alla Lega Araba (tanto che ad un certo punto la Turchia minacciò addirittura di inviare proprie truppe in appoggio a Izetbegovic, cosa che avrebbe provocato un terremoto nella Nato).

Detto ciò, il problema per Izetbegovic era come riuscire a fare arrivare questi aiuti a Sarajevo senza scatenare un putiferio internazionale (la Bosnia e i serbi erano sotto embargo), soprattutto da parte di Russia, Francia, Inghilterra e Grecia: problema che venne risolto da una complessa triangolazione che ebbe come vertici Zagabria,  Teheran (e i paesi arabi) e Sarajevo. In altre parole armi e volontari partivano dal Golfo ed arrivavano a Zagabria e da Zagabria passavano in Bosnia, il tutto con l'assenso silenzioso di Washington e la convenienza dei croati (che trattenevano una parte dei carichi di armi ed aiuti).

 

Questo giochetto, che vide per la seconda volta (dopo la faccenda Iran-Contras)  Washington e Teheran collaborare sottobanco, permise a Izetbegovic di recuperare una parte del territorio perduto ed ai croati di eliminare i serbi di Knin,  semplificando quindi  il quadro e consentendo ad ambedue (dopo i bombardamenti Nato sulla Bosnia) di presentarsi in posizione  di forza agli accordi di Dayton. 

In definitiva, Izetbegovic si è trovato tra il dover mangiare la  minestra araba oppure saltare giù dalla finestra del suo ufficio.

Credo che tutti avrebbero fatto la stessa cosa.

 

 

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6 ore fa, JuventusOnly ha scritto:

Stai confondendo quella che è la "da'wa" (proselitismo) finanziata dai sauditi in tanti paesi "dove i musulmani ignorando la loro religione" (almeno dal punto di vista dei salafiti sauditi) con il jihadismo vero e proprio. 

attività di proselitismo viene fatta prima e dopo la guerra

l'arrivo di guerriglieri, in buona parte veterani dell'afghanistan, inizia qualche mese dopo le ostilità e vengono accettati perché di armi dall'esterno ne entrano poche almeno all'inizio (e ovviamente gli sloveni si legano al dito il mancato intervento croato e bosniaco in loro sostegno rifiutandosi di vendere ciò che il JNA in ritirata aveva lasciato nei depositi)  

ma che ci siano è certo combattenti stranieri è certo, tanto che l'esercito bosniaco che ne guarda con sospetto l'eccessiva libertà li inquadra in un battaglione anche se con scarsi risultati. Alla fine in alcuni settori, come zenica, agiscono con grande autonomia

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Non credo che i referendum risolvano granché, specie in quelle terre. Nella sostanza comunque ha ragione.
Qualle ragione?
Bosnia e indipendente da 1992 da yugoslavia e esiste da 800 anni. Maggioranza di poppolo e bosniaco (musulmano). Nel 92 si divide a parte come area bosniaca e area serba per finire la guerra. Serbi hanno fatto massacri e gonocidio a srebrenica e pulizia etnica e alora vogliono essere parte di una grande Serbia. Questo mai succedera, questa ideologia vive ancora tra di loro ma non si rippetera la stessa storia

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9 ore fa, sol invictus ha scritto:

C'è da dire una cosa.

Ad un certo punto durante la guerra di Bosnia, Izetbegovic si è trovato di fronte ad una situazione tipo "prendere o lasciare", nel senso che ha accettato l'aiuto "gentilmente offerto" dai paesi del Golfo e dall'Iran in mancanza di valide alternative.

 

In quel momento infatti,  Francia e Inghilterra (terrorizzate dalla prospettiva di una egemonia tedesca in centro Europa) tendevano a fare i pesci in barile, predicando dialogo e trattative tra le parti ma di fatto spingendo per una soluzione congelata alla situazione  sul terreno, che in quel momento essendo del tutto favorevole ai serbi, era ovviamente inaccettabile per i bosgnacchi. 

 

La Russia, era dichiaratamente dalla parte dei serbi sia per ragioni storiche  culturali sia  perché l'opposizione nazionalcomunista premeva pesantemente su Eltsin affinché non abbandonasse Belgrado. Ed Eltsin,  la cui posizione era vacillante,  non poteva permettersi un braccio di ferro con i suoi oppositori interni. Pertanto,  Russia, Inghilterra e Francia tendevano a fare blocco comune, sia in sede Onu che in sede di comunità europea: cosa che giocava a favore dei serbi.

 

Milosevic a Belgrado giocava solo per sé stesso,  ma anche se i suoi rapporti con i serbi di Pale  (Karadzic e Mladic) erano pessimi al punto da scambiarsi reciproche accuse di corruzione e tradimento nei confronti "del popolo serbo", non poteva ovviamente ovviamente scaricare i propri connazionali d'oltre Drina e quindi continuava di nascosto (ma neanche poi tanto), a fornire ai serbo-bosniaci di Pale, reparti regolari serbi, armi, milizie irregolari cosiddette "cetniche" (quelle di Draskovic e Seselj) e bande criminali come quelle di Arkan. Tutto questo supporto aveva il suo peso, ed almeno fino al 1993 aveva fatto pendere la bilancia del conflitto a favore di Pale.

 

La Germania, che teoricamente propendeva per Izetbegovic,  era in una situazione complicata,  perché da un lato si era legata da tempo al carro croato, dove Tudjman  però faceva un gioco molto sporco (trattava con Milosevic la spartizione della Bosnia ma si dichiarava favorevole ad Izetbegovic, mentre segretamente appoggiava i croato-bosniaci di Mostar, i quali un po' erano alleati dei musulmani contro i serbi di Pale ed un po' , a seconda delle circostanze, collaboravano con i serbi di Pale centro i musulmani), mentre dall'altro lato non poteva permettersi di schierarsi contro Francia e Inghilterra riconoscendo la Bosnia, così come aveva fatto con Slovenia e Croazia.  Di fatto, quindi, Berlino non poteva fare da sponda a Izetbegovic e dovette mantenere un profilo basso, anche per non inquietare la Russia. 

 

Gli Stati Uniti di Clinton propendevano decisamente per Izetbegovic,  ma almeno fino al 1994 per una serie di ragioni dovettero, rassegnarsi a lasciare la palla all'Onu ed alla Comunità Europea, fino a quando le inconcludenze dell'una e dell'altra non li convinsero a muoversi facendo perno su Zagabria.

Ed arriviamo alla questione. 

 

In una situazione del genere, trovandosi supportato a parole, ma isolato nei fatti, Izetbegovic ritenne di dover accettare aiuti di armi, volontari e denaro dai paesi arabi del Golfo e dall'Iran,  i quali, di fronte alla crisi dei musulmani bosgnacchi, facevano il diavolo  a quattro all'Onu ed alla Lega Araba (tanto che ad un certo punto la Turchia minacciò addirittura di inviare proprie truppe in appoggio a Izetbegovic, cosa che avrebbe provocato un terremoto nella Nato).

Detto ciò, il problema per Izetbegovic era come riuscire a fare arrivare questi aiuti a Sarajevo senza scatenare un putiferio internazionale (la Bosnia e i serbi erano sotto embargo), soprattutto da parte di Russia, Francia, Inghilterra e Grecia: problema che venne risolto da una complessa triangolazione che ebbe come vertici Zagabria,  Teheran (e i paesi arabi) e Sarajevo. In altre parole armi e volontari partivano dal Golfo ed arrivavano a Zagabria e da Zagabria passavano in Bosnia, il tutto con l'assenso silenzioso di Washington e la convenienza dei croati (che trattenevano una parte dei carichi di armi ed aiuti).

 

Questo giochetto, che vide per la seconda volta (dopo la faccenda Iran-Contras)  Washington e Teheran collaborare sottobanco, permise a Izetbegovic di recuperare una parte del territorio perduto ed ai croati di eliminare i serbi di Knin,  semplificando quindi  il quadro e consentendo ad ambedue (dopo i bombardamenti Nato sulla Bosnia) di presentarsi in posizione  di forza agli accordi di Dayton. 

In definitiva, Izetbegovic si è trovato tra il dover mangiare la  minestra araba oppure saltare giù dalla finestra del suo ufficio.

Credo che tutti avrebbero fatto la stessa cosa.

 

 

Concordo in merito a Izetbegovic, alla posizione bosniaca, ai movimenti internazionali e i giochi sottobanco tra le parti. Sulla classe dirigente serba e sui suoi rapporti con mosca e, di conseguenza con vasintonia, mi permetto di fare un paio di considerazioni.

Innanzitutto il gruppo dirigente era effettivamente spaccato anche a causa di personali rivalità. Era inoltre fuori dalla realtà tra miti di grande serbia (i confini della Croazia? quello che vedi dal campanile del duomo di zagabria + fiume) e sottovalutazione delle controparti con mladic che dichiara nel 1993 che la guerra si sarebbe conclusa con la linea di fronte fissata sulla direttrice vienna trieste (definita città serba al pari di zara). Ed aveva anche dimostrato scarsa lungimiranza tagliando i ponti con le altre nazionalità della federazione e facendo precipitare le pubbliche relazioni all'estero (chi si muoverà di più nel concreto per parargli le spalle alla fine sarà la grecia che passerà informazioni su piani nato e movimenti dei caschi blu)

Nonostante ciò se si guardano le dichiarazioni internazionali al momento dell'indipendenza slovena e con il JNA in moto gli usa non escludono ancora a priori l'ipotesi dell'integrità jugoslava. Questo perché la Jugo era tradizionalmente il paese socialista europeo più coccolato dall'occidente in opposizione al modello sovietico, per quanto dalla fine degli anni settanta l'economia stesse crollando a pezzi, perché milosevic e compagnia erano ben noti (qualcuno dice foraggiati) e perché probabilmente si temeva che crollasse tutta l'area mandando a ramengo tutti i possibili investimenti nell'area.  Sta di fatto che il riassorbimento dell'indipendenza slovena sembra l'ultimo appello offerto alla jugo a trazione serba, quando questi falliscono vengono lasciati al loro destino e poi spinti giù dal dirupo.

Il perché il JNA abbia usato il guanto di velluto in slovenia poi  è stato chiarito da mamula nella sua autobiografia e getta luce sui rapporti mosca-belgrado e sulla lucidità dei capoccia serbi.  I vertici dell'esercito erano convinti che urss e italia avessero firmato un protocollo di intesa all'indomani della morte di tito che prevedeva, in caso di guerra interna alla jugo, l'intervento militare di mosca, il commissariamento della jugo e l'occupazione da parte dell'italia del territorio fino al confine sancito dopo la grande guerra, con l'impegno a non far passare aiuti militari ad una eventuale guerriglia partigiana. Insomma non si fidavano di mosca in ginocchio e temevano l'italia del pentapartito morente. Saltata la slovenia, salta il tappo e va come sappiamo

Tra l'altro, in merito ai limiti della classe dirigente serba va detto che durante il primo anno di guerra godevano di una superiorità militare schiacciante. Perché i croati erano pieni di soldi provenienti dai croati della diaspora (i voli germania-krk), ma la mossa slovena aveva precipitato gli eventi e non avevano potuto far fruttare la pecunia, mentre i bosniaci erano messi pure peggio. Così il primo anno trascorre quasi interamente con i croati che danno una mano di vernice alle golf e vanno in giro con un miliziano con ak che sporge dal tettuccio e che appena scorge un'unità serba ordina la ritirata. Nonostante ciò non riescono a dare un colpo decisivo

 

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14 ore fa, nelnomedelpaolo ha scritto:

Concordo in merito a Izetbegovic, alla posizione bosniaca, ai movimenti internazionali e i giochi sottobanco tra le parti. Sulla classe dirigente serba e sui suoi rapporti con mosca e, di conseguenza con vasintonia, mi permetto di fare un paio di considerazioni.

Innanzitutto il gruppo dirigente era effettivamente spaccato anche a causa di personali rivalità. Era inoltre fuori dalla realtà tra miti di grande serbia (i confini della Croazia? quello che vedi dal campanile del duomo di zagabria + fiume) e sottovalutazione delle controparti con mladic che dichiara nel 1993 che la guerra si sarebbe conclusa con la linea di fronte fissata sulla direttrice vienna trieste (definita città serba al pari di zara). Ed aveva anche dimostrato scarsa lungimiranza tagliando i ponti con le altre nazionalità della federazione e facendo precipitare le pubbliche relazioni all'estero (chi si muoverà di più nel concreto per parargli le spalle alla fine sarà la grecia che passerà informazioni su piani nato e movimenti dei caschi blu)

Nonostante ciò se si guardano le dichiarazioni internazionali al momento dell'indipendenza slovena e con il JNA in moto gli usa non escludono ancora a priori l'ipotesi dell'integrità jugoslava. Questo perché la Jugo era tradizionalmente il paese socialista europeo più coccolato dall'occidente in opposizione al modello sovietico, per quanto dalla fine degli anni settanta l'economia stesse crollando a pezzi, perché milosevic e compagnia erano ben noti (qualcuno dice foraggiati) e perché probabilmente si temeva che crollasse tutta l'area mandando a ramengo tutti i possibili investimenti nell'area.  Sta di fatto che il riassorbimento dell'indipendenza slovena sembra l'ultimo appello offerto alla jugo a trazione serba, quando questi falliscono vengono lasciati al loro destino e poi spinti giù dal dirupo.

Il perché il JNA abbia usato il guanto di velluto in slovenia poi  è stato chiarito da mamula nella sua autobiografia e getta luce sui rapporti mosca-belgrado e sulla lucidità dei capoccia serbi.  I vertici dell'esercito erano convinti che urss e italia avessero firmato un protocollo di intesa all'indomani della morte di tito che prevedeva, in caso di guerra interna alla jugo, l'intervento militare di mosca, il commissariamento della jugo e l'occupazione da parte dell'italia del territorio fino al confine sancito dopo la grande guerra, con l'impegno a non far passare aiuti militari ad una eventuale guerriglia partigiana. Insomma non si fidavano di mosca in ginocchio e temevano l'italia del pentapartito morente. Saltata la slovenia, salta il tappo e va come sappiamo

Tra l'altro, in merito ai limiti della classe dirigente serba va detto che durante il primo anno di guerra godevano di una superiorità militare schiacciante. Perché i croati erano pieni di soldi provenienti dai croati della diaspora (i voli germania-krk), ma la mossa slovena aveva precipitato gli eventi e non avevano potuto far fruttare la pecunia, mentre i bosniaci erano messi pure peggio. Così il primo anno trascorre quasi interamente con i croati che danno una mano di vernice alle golf e vanno in giro con un miliziano con ak che sporge dal tettuccio e che appena scorge un'unità serba ordina la ritirata. Nonostante ciò non riescono a dare un colpo decisivo

 

 Bel post su cui concordo completamente.  Molto interessante il retroscena su Mamula (presumo Branko Mamula) che non conoscevo e che contribuisce a spiegare la rinuncia quasi incruenta alla Slovenia da parte della JNA.  

 

È comunque abbastanza folle l'idea dei vertici dell'Armata,  che russi e italiani si fossero messi d'accordo per spartirsi la Jugo,  folle anche se non del tutto sorprendente, vista quella specie di ossessione che avevano, di diventare terra di invasione e campo di battaglia di schieramenti contrapposti. Ossessione che, come saprai, li aveva portati a trasformare la Bosnia e le Krajne nel ridotto difensivo centrale ed  il resto del paese in territorio di guerriglia secondo il principio della "difesa totale"; che poi è anche abbastanza paradossale che proprio uno dei cardini della difesa totale che avrebbe dovuto contribuire a salvare il paese in una eventuale invasione, vale a dire l'esercito territoriale, sia stato uno degli strumenti che alla fine lo ha distrutto. Ennesimo paradosso tra i mille paradossi jugoslavi.

 

 

I vertici serbi erano divisi, divisissimi,  anche se forse dall'esterno non lo si percepiva  molto. Ed anche qui, stringi stringi, tale divisione credo rifletteva in qualche modo quella avuta durante la 2gm,  con Milosevic e l'Armata in qualche modo "eredi spirituali" del NOVJ e i vari Draskovic, Seselj, Karadzic e compagnia più o meno riconducibili allo JVO del buon vecchio cica Draza...

 

Corsi e ricorsi eternamente uguali e ricorrenti. D'altra parte stiamo parlando di Balcania,  dove tutto si stratifica e nulla si perde, e tantomeno si dimentica. .ok

 

 

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5 ore fa, sol invictus ha scritto:

 Bel post su cui concordo completamente.  Molto interessante il retroscena su Mamula (presumo Branko Mamula) che non conoscevo e che contribuisce a spiegare la rinuncia quasi incruenta alla Slovenia da parte della JNA.  

 

È comunque abbastanza folle l'idea dei vertici dell'Armata,  che russi e italiani si fossero messi d'accordo per spartirsi la Jugo,  folle anche se non del tutto sorprendente, vista quella specie di ossessione che avevano, di diventare terra di invasione e campo di battaglia di schieramenti contrapposti. Ossessione che, come saprai, li aveva portati a trasformare la Bosnia e le Krajne nel ridotto difensivo centrale ed  il resto del paese in territorio di guerriglia secondo il principio della "difesa totale"; che poi è anche abbastanza paradossale che proprio uno dei cardini della difesa totale che avrebbe dovuto contribuire a salvare il paese in una eventuale invasione, vale a dire l'esercito territoriale, sia stato uno degli strumenti che alla fine lo ha distrutto. Ennesimo paradosso tra i mille paradossi jugoslavi.

 

 

I vertici serbi erano divisi, divisissimi,  anche se forse dall'esterno non lo si percepiva  molto. Ed anche qui, stringi stringi, tale divisione credo rifletteva in qualche modo quella avuta durante la 2gm,  con Milosevic e l'Armata in qualche modo "eredi spirituali" del NOVJ e i vari Draskovic, Seselj, Karadzic e compagnia più o meno riconducibili allo JVO del buon vecchio cica Draza...

 

Corsi e ricorsi eternamente uguali e ricorrenti. D'altra parte stiamo parlando di Balcania,  dove tutto si stratifica e nulla si perde, e tantomeno si dimentica. .ok

 

 

vero, anche se milosevic, a mio avviso, è il classico arruffapopoli: è stato comunista integerrimo fino a tito, da banchieri al fmi apriva alle liberalizzazioni, poi è diventato più nazionalista dei nazionalisti a seconda di come tirava il vento. oggi probabilmente sarebbe stato filo ue ...

 

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