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Rhyme

Occhio allo schermo!

Post in rilievo

Un affare di famiglia, di K. Hirokazu, 2018.

 

Premetto che non guardo praticamente mai film asiatici. 

 

Il film ha come protagonista una famiglia composta da nonna, figlia con marito, figlia nubile, bambino e bambina raccattata per strada nella prima scena. Nulla di troppo particolare, ma pian piano si scoprirà qual è il vero legame tra i sei. E uno dei pregi della sceneggiatura starà proprio nel farci comprendere i vari pezzi della situazione senza che mai si alzi il tono, senza che mai ci sia il uhau del colpo di scena. Questa famiglia, lo si vede fin da subito, vive al limite dell'indigenza sopravvivendo con mezzi sempre al limite, ma anche oltre, la legalità; in una città che è asiatica ma potrebbe essere una città qualsiasi.

 

Hirokazu, che mi dicono abbia già trattato temi simili in altri film, sul piano dell'immagine attinge alla grande tradizione del cinema giapponese. Costruisce immagini e scene dove l'azione o comunque il focus narrativo si sviluppa non in primo piano ma in secondo o in terzo. Spesso ci sono elementi, mobili, spigoli o altri personaggi che si frappongo tra l'occhio della cinepresa il centro del suo interesse. Così sia nelle scene a camera fissa sia nelle bellissime carrellate.

Ma è proprio quando narrativamente si rompe il legame che regge la famiglia, dando una svolta alla trama, ecco che si rompe anche lo stile visivo appena detto. Nessun elemento tra il protagonista e noi che guardiamo, bensì un primo piano che, banale dirlo, si direbbe a dir poco bergmaniano con il lunghissimo piano sequenza statico su quel volto per farci misurare ogni parola e lineamento del viso. Scena straordinaria per semplicità, intensità, ed efficacia.

 

Il film lascia sospeso non solo il giudizio sui fatti, e noi che siamo chiamati a darcelo come se si trattasse di un'operetta morale, ma anche i risvolti ultimi della trama; anche se, a meno di non volersi illudere, c'è ben poco da sperare per la sorte dei nostri familiari.

 

Palma d'oro all'ultimo Cannes.

 

At Berkeley, F. Wiseman, 2013.

 

Documentario in tipico stile Wiseman, visto in più momenti data la lunghezza non troppo agevole. Siamo come mosche nel prestigioso, ma pubblico, campus californiano dove nacque il movimento del free speech. E la cosa che forse più mostra il documentario non è tanto il funzionamento dell'università, ma l'evoluzione che hanno avuto i movimenti di protesta dagli anni '60-70 ad oggi.

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Salve a tutti ragazzi. Quando ero a mare scrissi che tempo una settimana e sarei tornata a scrivere sul topic, e invece, come al solito, mi sono presa una vacanza più sostanziosa :d Devo dire che non ho visto tantissimo questa estate, né avevo particolarmente voglia di scrivere, ma vi ho abbastanza leggiucchiato. Comunque, nonostante la mia non sia stata un'estate molto all'insegna delle cinefilia, ho comunque parecchie visioni in arretrato di cui parlare e quindi non mi perdo in chiacchiere. Cominciamo da qualche film a caso.

 

Allora, 7 psicopatici. Ricorderete forse che io ero tra i meno entusiasti su questo topic riguardo a "tre manifesti". Non che non mi fosse piaciuto, ma non mi sono lanciata in lodi sperticate come molti qui dentro e fuori. Che volete, datemi pure della becera, ma a me questo film è piaciuto non 1, ma dieci volte in più dell'ultimo lavoro di McDonagh. Questo sì che è un film cazzuto, divertente, metacinematografico, pulp, enormemente stupido eppure riflessivo in alcuni momenti. Film davvero riuscitissimo a mio parere. Narra la storia di uno sceneggiatore, interpretato da Colin Farrel, in crisi creativa (uno dei tanti omaggi a (8 1/2 di Fellini), il quale si è prefissato di dover scrivere una sceneggiatura dal titolo "7 psicopatici", ma il problema è che lui non ha nessuna voglia di scrivere di gente psicopatica, di violenza e di vendetta. Vorrebbe scrivere di pace, di personaggi positivi e blablabla. Ma allora perché ha intitolato la sua sceneggiatura "7 psicopatici"? Vabbè, fatto sta che a dargli una mano sarà il suo migliore amico (Sam Rockwell), il quale insieme ad un suo socio più anziano (un magnifico, MAGNIFICO Christopher Walken) ha messo su un sistema di truffe incentrato su rapimenti di cani per poi riscuotere le ricompense. Le cose precipiteranno quando Rocwell e Walken rapiranno il cagnolino di un boss mafioso, interpretato, anche qui magnificamente, da Woody Harrelson. Casini a non finire, metacinema a gogò, e finirà che tutto questo materiale e questi pazzi psicopatici che scateneranno una vera e propria guerra per un cagnolino rapito, sarà ovviamente di aiuto a Farrell per scrivere la sua sceneggiatura. Film veramente delizioso, adrenalinico, divertentissimo, non stupido come potrebbe sembrare. Uno dei pochi film chiaramente di impronta tarantiniana (nella ricerca di personaggi totalmente sopra le righe, di situazioni al limite, di dialoghi no-sense, di quel tipo di violenza stilizzata) che non mi hanno irritato, ma anzi, mi hanno fatto ridere come una scema. Sceneggiatura perfetta, regia brillante, attori tutti in parte, con una nota di merito davvero all'eterno Walken, e anche a Tom Waits in una particina memorabile.

Da vedere. Film che non si prende sul serio e per questo l'ho apprezzato moltissimo a differenza di "Tre, manifesti". O meglio, questo "7 psicopatici" in alcuni frangenti si prende anche sul serio, ma proprio in quelle situazioni fa ridere ancora di più. Assolutamente da vedere.

 

Piccolo grande uomo e Il Laureato. Questi film li ho visti una vita fa, credo almeno un paio di mesetti, perché se ricordate ne avevamo parlato qui sul topic, e "piccolo grande uomo" in particolar modo lo aveva consigliato Rhyme. Aveva consigliato anche "Il laureato", ma vabbè, quello era già nella mia lista.

Partiamo da Piccolo grande uomo. Questo film l'ho letteralmente adorato. E ringrazio veramente Rhyme per averlo citato e averne parlato bene, perché altrimenti non so quando lo avrei recuperato. Ora non ho la memoria freschissima, perché come ho detto l'ho visto diverso tempo fa, ma posso dire con tranquillità che questo film ha conquistato di diritto un posticino nei miei film preferiti di tutti i tempi. E' un lungo racconto, dai toni picareschi, in cui si narra la storia di Jack Grabb, allevato fin da bambino dagli indiani, dopo che tutta la sua famiglia (ad eccezione di una sorella) era stata sterminata dai Pawnees, un'altra tribù indiana, meno amichevole di quella che si prenderà cura del piccolo Jack. Da qui partiranno una serie di avventure, che vedranno Jack abbandonare la tribù che lo ha salvato e cresciuto, per avviarsi nel mondo dei bianchi, salvo ritornare ogni volta, ciclicamente, proprio alla tribù, dove ad ogni suo ritorno, il suo "nonno adottivo", Cotenna di Bisonte (Chief Dan George, bravissimo), sarà li ad aspettarlo, accogliendolo sempre con la stessa, bellissima frase, "il mio cuore vola in alto come un falco".

Che dire di questo film? Che è stato un puro godimento per gli occhi e per il cuore guardarlo, in realtà mi aspettavo un film di tutt'altro tipo, molto più drammatico e serio nei toni. E invece gran parte del film è una splendida commedia come ho detto dai toni picareschi, in cui un "piccolo grande uomo" si avventura da solo in un mondo enorme, sconfinato, dove fa la conoscenza di personaggi tra i più strani che si possano trovare, e si imbatte praticamente in tutte le figure "simbolo" del west: dal venditore truffaldino, al pastore che cerca di conventirlo ma che ha una moglie erotomane (grandissima Faye Dunaway in una parte piccola ma memorabile), a Wild Bill Hicock, fino ad arrivare al generale Custer. I momenti spassosi, che sono la maggioranza (fantastiche tantissime scene, ma mi viene da citare su tutte quella di Hoffman nella tenda con le sorelle della moglie, vergognosamente censurata nella versione italiana) si alternano a momenti di alta drammaticità, che riportano alla storia vera della tragedia del popolo indiano. Il finale è uno dei più commoventi e poetici che abbia mai visto. Un Hoffman mostruoso, e proprio a Hoffman mi riallaccio per parlare de Il laureato. Anche "Il laureato" mi ha sorpreso, perché anche qui mi aspettavo un film diverso nei toni, e invece ancora una volta mi son ritrovato di fronte quella che è quasi una commedia, seppure atipica. Il personaggio di Ben, in un certo senso, è anch'esso un piccolo uomo alle prese con un affare, seppur di dimensioni ridotte, più grande di lui. Un uomo allo sbando, insicuro, fragile, insoddisfatto della sua vita, alle prese con tutti i problemi che affliggono noi ragazzi di quella età, la paura del futuro incombente, di una strada che non è stata ancora tracciata, le pressioni dei genitori, della società, del mondo. In questo senso possiamo definire Jack Grabb, secondo me, un vero anti-eroe. Un uomo privo di eroismo, la cui unica azione eroica che compie, quando nel finale, 

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irrompe nella chiesa e poi blocca l'uscita a tutti bloccando la porta con il crocifisso

è così comica da sfociare nel ridicolo, stemperando tutto l'eroismo appunto, e la sacralità del gesto.

Quando l'ho visto ho avuto l'impressione di ritrovarmi di fronte a un film molto meno di facile lettura di quello che potrebbe sembrare. Un film in cui i caratteri non sono così netti e definiti come molti ritengono. Non ci ho visto, almeno non totalmente, la vittoria dei buoni (i giovani puri) che sconfiggono finalmente i cattivi (gli adulti corrotti) e si avviano verso un futuro felice e libero. Non ci ho visto questo, perché in questo film i giovani non sono già più puri, e se gli adulti sono corrotti, la colpa non è tutta loro. Quindi sì un film generazionale, ma io non l'ho trovato un inno cieco alla nuova generazione che stava nascendo, e che veniva dipinta senza macchie, a differenza di quella precedente. Molti vedono in ciò il messaggio del film, ma secondo me il film è molto ma molto più profondo e sfaccettato. Alcuni mettono Mrs Robinson addirittura nelle liste dei cattivi migliori della storia del cinema. Mi viene da ridere, il suo personaggio non è certo peggiore di quello di Ben.

Film molto ma molto interessante, e con sequenza che da sole valgono la visione.

Ci sono davvero delle scene splendide in questo film, come quella magnifica della piscina, anzi LE scene della piscina (sia quella famosa in cui Ben è sul materassino e si sente "the sound of silence", sia quella dell'immersione, stupenda e simbolica), o quella in cui Ben porta Elaine al night, il finale ovviamente, ma più di tutte probabilmente la lunga scena della seduzione, ossia i primi 15 minuti del film. Roba da manuale del cinema.

Inutile parlare degli attori, Hoffman, anche qui, è mostruoso. Ovviamente conoscevo Hoffman, e lo apprezzavo molto, ma dopo aver visto queste due interpretazioni è inutile dire che il mio giudizio su di lui è salito tantissimo. Perfetto per questo tipo di ruoli, ha quella bravura tale da riuscire ad apparire persino bello in alcuni frangenti, lui che certo un adone non è :d Non so cosa avete capito cosa intendo. Veramente splendida anche Anne Bancroft, che crea, a mio parere, e lo dico da donna, uno dei personaggi femminili più seducenti, oltre che iconici, che si siano mai visti su schermo. Curioso come lei e Dustin Hoffman avessero solo 6 anni di differenza. E infatti si vede che lei è ancora giovane (non aveva neanche 40 anni), ma nonostante questo Dustin sembra proprio un ragazzetto alle prime armi di fronte a lei. E questo è merito proprio nella straordinaria bravura degli attori nell'entrare nei rispettivi ruoli.

Ah, ho letto che l'anno scorso l'autore de "Il laureato" (perché il film è tratto da un romanzo di successo) ha fatto uscire, dopo più di 50 anni, il seguito della storia, che si intitola "Bentornata, Mrs Robinson". Quasi quasi ci faccio un pensierino, perché da un lato mi sa molto di commercialata, dall'altro mi intriga. Credo che se avesse voluto farci i soldoni veri avrebbe scritto questo seguito qualche decennio fa :d

Comunque, grazie ancora Rhyme per i consigli di questi due capolavori, e finalmente è tornata questa cavolo di stagione autunnale in cui posso rompere le palle con le mie recensioni chilometriche .ghgh 

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4 ore fa, Juve stile di vita ha scritto:

Piccolo grande uomo e Il Laureato. Questi film li ho visti una vita fa, credo almeno un paio di mesetti, perché se ricordate ne avevamo parlato qui sul topic, e "piccolo grande uomo" in particolar modo lo aveva consigliato Rhyme. Aveva consigliato anche "Il laureato", ma vabbè, quello era già nella mia lista.

Partiamo da Piccolo grande uomo. Questo film l'ho letteralmente adorato. E ringrazio veramente Rhyme per averlo citato e averne parlato bene, perché altrimenti non so quando lo avrei recuperato. Ora non ho la memoria freschissima, perché come ho detto l'ho visto diverso tempo fa, ma posso dire con tranquillità che questo film ha conquistato di diritto un posticino nei miei film preferiti di tutti i tempi. E' un lungo racconto, dai toni picareschi, in cui si narra la storia di Jack Grabb, allevato fin da bambino dagli indiani, dopo che tutta la sua famiglia (ad eccezione di una sorella) era stata sterminata dai Pawnees, un'altra tribù indiana, meno amichevole di quella che si prenderà cura del piccolo Jack. Da qui partiranno una serie di avventure, che vedranno Jack abbandonare la tribù che lo ha salvato e cresciuto, per avviarsi nel mondo dei bianchi, salvo ritornare ogni volta, ciclicamente, proprio alla tribù, dove ad ogni suo ritorno, il suo "nonno adottivo", Cotenna di Bisonte (Chief Dan George, bravissimo), sarà li ad aspettarlo, accogliendolo sempre con la stessa, bellissima frase, "il mio cuore vola in alto come un falco".

Che dire di questo film? Che è stato un puro godimento per gli occhi e per il cuore guardarlo, in realtà mi aspettavo un film di tutt'altro tipo, molto più drammatico e serio nei toni. E invece gran parte del film è una splendida commedia come ho detto dai toni picareschi, in cui un "piccolo grande uomo" si avventura da solo in un mondo enorme, sconfinato, dove fa la conoscenza di personaggi tra i più strani che si possano trovare, e si imbatte praticamente in tutte le figure "simbolo" del west: dal venditore truffaldino, al pastore che cerca di conventirlo ma che ha una moglie erotomane (grandissima Faye Dunaway in una parte piccola ma memorabile), a Wild Bill Hicock, fino ad arrivare al generale Custer. I momenti spassosi, che sono la maggioranza (fantastiche tantissime scene, ma mi viene da citare su tutte quella di Hoffman nella tenda con le sorelle della moglie, vergognosamente censurata nella versione italiana) si alternano a momenti di alta drammaticità, che riportano alla storia vera della tragedia del popolo indiano. Il finale è uno dei più commoventi e poetici che abbia mai visto. Un Hoffman mostruoso, e proprio a Hoffman mi riallaccio per parlare de Il laureato. Anche "Il laureato" mi ha sorpreso, perché anche qui mi aspettavo un film diverso nei toni, e invece ancora una volta mi son ritrovato di fronte quella che è quasi una commedia, seppure atipica. Il personaggio di Ben, in un certo senso, è anch'esso un piccolo uomo alle prese con un affare, seppur di dimensioni ridotte, più grande di lui. Un uomo allo sbando, insicuro, fragile, insoddisfatto della sua vita, alle prese con tutti i problemi che affliggono noi ragazzi di quella età, la paura del futuro incombente, di una strada che non è stata ancora tracciata, le pressioni dei genitori, della società, del mondo. In questo senso possiamo definire Jack Grabb, secondo me, un vero anti-eroe. Un uomo privo di eroismo, la cui unica azione eroica che compie, quando nel finale, 

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è così comica da sfociare nel ridicolo, stemperando tutto l'eroismo appunto, e la sacralità del gesto.

Quando l'ho visto ho avuto l'impressione di ritrovarmi di fronte a un film molto meno di facile lettura di quello che potrebbe sembrare. Un film in cui i caratteri non sono così netti e definiti come molti ritengono. Non ci ho visto, almeno non totalmente, la vittoria dei buoni (i giovani puri) che sconfiggono finalmente i cattivi (gli adulti corrotti) e si avviano verso un futuro felice e libero. Non ci ho visto questo, perché in questo film i giovani non sono già più puri, e se gli adulti sono corrotti, la colpa non è tutta loro. Quindi sì un film generazionale, ma io non l'ho trovato un inno cieco alla nuova generazione che stava nascendo, e che veniva dipinta senza macchie, a differenza di quella precedente. Molti vedono in ciò il messaggio del film, ma secondo me il film è molto ma molto più profondo e sfaccettato. Alcuni mettono Mrs Robinson addirittura nelle liste dei cattivi migliori della storia del cinema. Mi viene da ridere, il suo personaggio non è certo peggiore di quello di Ben.

Film molto ma molto interessante, e con sequenza che da sole valgono la visione.

Ci sono davvero delle scene splendide in questo film, come quella magnifica della piscina, anzi LE scene della piscina (sia quella famosa in cui Ben è sul materassino e si sente "the sound of silence", sia quella dell'immersione, stupenda e simbolica), o quella in cui Ben porta Elaine al night, il finale ovviamente, ma più di tutte probabilmente la lunga scena della seduzione, ossia i primi 15 minuti del film. Roba da manuale del cinema.

Inutile parlare degli attori, Hoffman, anche qui, è mostruoso. Ovviamente conoscevo Hoffman, e lo apprezzavo molto, ma dopo aver visto queste due interpretazioni è inutile dire che il mio giudizio su di lui è salito tantissimo. Perfetto per questo tipo di ruoli, ha quella bravura tale da riuscire ad apparire persino bello in alcuni frangenti, lui che certo un adone non è :d Non so cosa avete capito cosa intendo. Veramente splendida anche Anne Bancroft, che crea, a mio parere, e lo dico da donna, uno dei personaggi femminili più seducenti, oltre che iconici, che si siano mai visti su schermo. Curioso come lei e Dustin Hoffman avessero solo 6 anni di differenza. E infatti si vede che lei è ancora giovane (non aveva neanche 40 anni), ma nonostante questo Dustin sembra proprio un ragazzetto alle prime armi di fronte a lei. E questo è merito proprio nella straordinaria bravura degli attori nell'entrare nei rispettivi ruoli.

Ah, ho letto che l'anno scorso l'autore de "Il laureato" (perché il film è tratto da un romanzo di successo) ha fatto uscire, dopo più di 50 anni, il seguito della storia, che si intitola "Bentornata, Mrs Robinson". Quasi quasi ci faccio un pensierino, perché da un lato mi sa molto di commercialata, dall'altro mi intriga. Credo che se avesse voluto farci i soldoni veri avrebbe scritto questo seguito qualche decennio fa :d

Comunque, grazie ancora Rhyme per i consigli di questi due capolavori, e finalmente è tornata questa cavolo di stagione autunnale in cui posso rompere le palle con le mie recensioni chilometriche .ghgh 

Mi fa molto piacere che ti siano piaciuti.

Anche io ho seguito il tuo consiglio recuperando Paper Moon, ne ho parlato qualche pagina addietro.

Per quanto riguarda la non facile lettura de Il laureato, questo fatto si concretizza in particolare nel finale.

Può sembrare un lieto fine, ma è uno dei finali più amari della storia del cinema.

Il sorriso che si stampa sulle loro facce nella scena finale che pian piano va spegnendosi sempre più, fino a lasciare nei loro volti espressioni vacue ed incerte...paura, amarezza che si ripresentano.

Hanno compiuto la loro "ribellione", il loro gesto rivoluzionario, ma adesso? Era davvero quello che volevano? Cosa destinerà loro il futuro?

Con la meravigliosa Sound of Silence che parte proprio quando inizia a cambiare la loro espressione.

Uno dei finali più belli e più forti per me del cinema, mi vengono i brividi solo a pensarci. Uno schiaffo in pieno volto.

Ma è una caratteristica che caratterizza l'intero film...commedia anche divertente in alcuni punti ma che nasconde una grandissima amarezza, grandissime incertezze e paure, film che indaga una generazione di giovani che sta cambiando in modo profondo e che smonta le false morali di una parte di America troppo puritana.

Fanno piacere le tue recensioni chilometriche...così torniamo ad animare questo topic dopo la pausa estiva :d

 

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55 minuti fa, Rhyme ha scritto:

Mi fa molto piacere che ti siano piaciuti.

Anche io ho seguito il tuo consiglio recuperando Paper Moon, ne ho parlato qualche pagina addietro.

Per quanto riguarda la non facile lettura de Il laureato, questo fatto si concretizza in particolare nel finale.

Può sembrare un lieto fine, ma è uno dei finali più amari della storia del cinema.

Il sorriso che si stampa sulle loro facce nella scena finale che pian piano va spegnendosi sempre più, fino a lasciare nei loro volti espressioni vacue ed incerte...paura, amarezza che si ripresentano.

Hanno compiuto la loro "ribellione", il loro gesto rivoluzionario, ma adesso? Era davvero quello che volevano? Cosa destinerà loro il futuro?

Con la meravigliosa Sound of Silence che parte proprio quando inizia a cambiare la loro espressione.

Uno dei finali più belli e più forti per me del cinema, mi vengono i brividi solo a pensarci. Uno schiaffo in pieno volto.

Ma è una caratteristica che caratterizza l'intero film...commedia anche divertente in alcuni punti ma che nasconde una grandissima amarezza, grandissime incertezze e paure, film che indaga una generazione di giovani che sta cambiando in modo profondo e che smonta le false morali di una parte di America troppo puritana.

Fanno piacere le tue recensioni chilometriche...così torniamo ad animare questo topic dopo la pausa estiva :d

 

Esatto, il finale non l'ho citato ma è proprio una delle cose più ambigue del film. Anche se devo rivedere la scena, mi sembra loro passino da un sorriso vero e proprio a un'espressione appunto di smarrimento, quasi persa, per finire in un'espressione più calma, rilassata, quasi rassegnata in un certo senso. Mah, se ne potrebbe discutere davvero tanto, sul film come sul finale. Film importantissimo comunque. Forse ho amato ancora di più "Piccolo grande uomo", ma quando ho visto "Il laureato" ho avuto l'impressione di star vedendo una di quelle opere che cambiano la storia del cinema per sempre, e cogliendone bene le motivazioni.

 

Invece la tua recensione di Paper Moon me la sono persa, vado a recuperarla.

 

P.S. Sulla colonna sonora pure mi sembra di non aver detto nulla, ma è perfetta. Non solo "The sound of silence", ma tutte i brani di Simon & Garfunkel sono perfetti per le immagini alle quali sono abbinati. Poi la scena iniziale mi ha ricordato tantissimo, proprio appena vista, la scena iniziale di "Jackie Brown". Ma lì credo sia proprio un'omaggio palesissimo da parte di Tarantino.

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2 ore fa, Juve stile di vita ha scritto:

Esatto, il finale non l'ho citato ma è proprio una delle cose più ambigue del film. Anche se devo rivedere la scena, mi sembra loro passino da un sorriso vero e proprio a un'espressione appunto di smarrimento, quasi persa, per finire in un'espressione più calma, rilassata, quasi rassegnata in un certo senso. Mah, se ne potrebbe discutere davvero tanto, sul film come sul finale. Film importantissimo comunque. Forse ho amato ancora di più "Piccolo grande uomo", ma quando ho visto "Il laureato" ho avuto l'impressione di star vedendo una di quelle opere che cambiano la storia del cinema per sempre, e cogliendone bene le motivazioni.

 

Invece la tua recensione di Paper Moon me la sono persa, vado a recuperarla.

 

P.S. Sulla colonna sonora pure mi sembra di non aver detto nulla, ma è perfetta. Non solo "The sound of silence", ma tutte i brani di Simon & Garfunkel sono perfetti per le immagini alle quali sono abbinati. Poi la scena iniziale mi ha ricordato tantissimo, proprio appena vista, la scena iniziale di "Jackie Brown". Ma lì credo sia proprio un'omaggio palesissimo da parte di Tarantino.

Il finale può essere ambiguo nell'effettivo pensiero dei personaggi, ma è chiaro nella sua amarezza e nella vacuità, incertezza e timore dei loro sguardi persi nel vuoto.

Passano da risate fragorose, al guardarsi sorridendo, al tentare sorrisi sempre più brevi e isolati, senza riuscire più ad incrociare lo sguardo e finendo con lo sguardo perso davanti a loro...si crea tra loro quasi un imbarazzo, una sorta di risveglio.

E' proprio quella la caratteristica principe per il quale viene ricordato e studiato. Ma comunque è un film influente per diversi motivi, sia socialmente che cinematograficamente.

La scena dei titoli di testa di Jackie Brown è un omaggio a Il laureato, sì.

 

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Una prima parentesi francese.

 

I quattrocento colpi (1959), Tirate sul pianista (1960) e Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut.

Ero rimasto innamorato di Jules e Jim, ho aggiunto questi 3 film del regista francese.

E' il regista più intellettuale della Nouvelle Vague, grande amante dei libri e del racconto e lo si vede perfettamente nei suoi film. In un certo senso, quello che penso di Herzog vale per Truffaut però non dal punto di vista visivo ma narrativo. Ha uno stile di narrazione straordinario e unico.

Riesce a rendere magico l'ordinario; un bambino o due persone che passeggiano, una classe a scuola, due persone che parlano, una famiglia a tavola. Azioni ordinarie, semplici, banali rese straordinarie, rese magiche ma al tempo stesso le sentiamo intime e "nostre". Ha un modo straordinario di scrivere, descrivere, mostrare, inquadrare e dirigere i personaggi...le loro figure ci avvolgono e diventano a noi familiari nel giro di pochissime scene.

In un'intervista ha detto che cercava di non fare film con sceneggiature originali perché tendeva sempre a normalizzare i film, togliendo azione, quindi se il soggetto lo scriveva lui portava l'azione quasi a 0, fin quasi a non far accadere niente, invece partendo da libri o racconti molto dinamici e animati la sua indole "normalizzante" avrebbe avuto meno effetto. Io, come dicevo, ritengo che la sua straordinarietà riguardi proprio le azioni più ordinarie e normali.

"I quattrocento colpi" è il suo film più intimo, una sorta di autobiografia con al centro gli anni difficili della sua infanzia. E' un forte esempio di narrazione soggettiva, con la camera che segue costantemente il ragazzo protagonista, noi vediamo e viviamo attraverso di lui e quindi direttamente dagli occhi di Truffaut. E' un film magnifico, un esempio maestoso della sua capacità narrativa; il bambino è di fianco a noi, camminiamo ed agiamo di fianco a lui, ci troviamo in quegli stessi ambienti, i suoi problemi e le sue preoccupazioni sono anche le nostre. La celebre scena finale poi è una tra le più belle del cinema, con la corsa del bambino verso il mare, simbolo di estrema libertà ma al tempo stesso massima barriera e ostacolo insormontabile, con lo sguardo finale catturato in fermo immagine, uno sguardo che sembra rivolgersi allo stesso spettatore per chiedere un appiglio...che poi è stato ripreso, concettualmente, tantissime volte in altri film, vedi appunto Il laureato.

Approfittando dell'occasione ho rivisto anche "Jules e Jim" ed è un film che mi sbalordisce sempre...trovo la parte finale un po' appesantita, altrimenti lo troverei un film perfetto. Non so quale tra questi due preferisca, sono due capolavori inimmaginabili e due tra i miei film preferiti in assoluto.

"Tirate sul pianista", tratto da un romanzo, è un omaggio di Truffaut al cinema americano. A fianco di un amore tra un pianista timido e una ragazza, c'è una storia di gangster. Per sua stessa ammissione, Truffaut odia il genere gangster e se n'è accorto maggiormente girando questo film, perciò lo ha alleggerito rendendo goffi e quasi comici i due gangster. Film che mi è piaciuto, meno la parte del malviventi ma molto di più quella della vita del pianista, del locale in cui suona ogni sera, della casa in cui abita, dell'amore che nasce tra lui e la cameriera di quel locale, della passeggiata tra i due...in quei frangenti emerge il Truffaut che adoro.

"Fahrenheit 451" è un altro film tratto da un romanzo, girato in Gran Bretagna in lingua inglese (credo sia l'unico) e a colori. Mostra una società del futuro dominata dalla televisione, in cui è vietato leggere e possedere libri, che vengono bruciati dai pompieri. E' una storia che definisce, per me molto bene e in modo molto brillante, la deriva della società occidentale nel secolo scorso; il ruolo sempre più marginale e sempre più negativo dato alla cultura, la formazione di modelli di comportamento, di aspetto, di vita sempre più rigidi e stereotipati, una borghesia sempre più attratta dalla forma e dal vacuo, il ruolo sempre più dominante della televisione.

Questo film mi è piaciuto meno, ho visto meno la brillantezza e la magia di Truffaut, la sua capacità narrativa; lui chiaramente è rimasto affascinato da questo film per la componente legata ai libri e ha detto di aver voluto renderli protagonisti, più delle azioni e dei personaggi. E secondo me non ci è riuscito. E' chiaramente un buon/ottimo film, ma per me mancano gli elementi migliori del suo stile, è un lavoro più britannico inteso nell'accezione negativa. Ha sicuramente influito il fatto che lui non conoscesse bene l'inglese e quindi si sia limitato a seguire alla perfezione la sceneggiatura, mentre invece lui, come in generale gli autori della Nouvelle Vague, tendeva a non seguire la sceneggiature in modo fisso (alla Hitchcock, per intendersi) quanto invece a seguire l'ispirazione del momento.

Generalmente comunque adoro Truffaut e voglio continuare a scoprirlo.

 

Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (1965) di Godard, Orso d'oro a Berlino.

Film noir/fantascienza che parla di un agente che si reca nella capitale di un'altra galassia, Alphaville, dominata e controllata da un supercomputer. E' una storia anche molto interessante e visivamente è spesso anche straordinario, con lavori eccellenti soprattutto sull'illuminazione; per questi due motivi ho anche un buon ricordo di questo film. Ma continua il mio rapporto di amore/odio con Godard. E' un film che mi ha confuso e ogni scena mi confondeva sempre di più; straniante, incomprensibile, irrazionale, assurdo. Non che non si capisca in senso stretto, ma non si capisce il perché di certi avvenimenti, di certe scene, è una narrazione controcorrente, non si riesce a seguire lo sviluppo. Proverò a riguardarlo.

 

L'anno scorso a Marienbad (1961) di Alain Resnais, Leone d'oro a Venezia.

Per quanto riguarda Resnais non siamo proprio nella Nouvelle Vague, appartiene più al movimento della "Rive Gauche", composto da registi meno cinefili e più intellettuali rispetto a quelli della Nouvelle Vague...è un movimento molto sperimentale soprattutto per quanto riguarda gli intrecci narrativi e temporali, quasi labirintici.

E "L'anno scorso a Marienbad" ne è l'emblema perfetto ed è uno tra i film più sperimentali che abbia visto. E' ambientato in un sontuoso hotel, una reggia con giardini immensi, barocca, con mille corridoi, sale, specchi, statue, con i ricchi ospiti che passano il tempo in balli, dialogando, facendo passeggiate all'interno e nei giardini, incontrandosi nelle sale anche per fare giochi di carte. Ma non sembra di essere nella realtà, ma in un sogno o in un incubo, in una dimensione parallela...i camerieri e gli ospiti spesso rimangono immobili come congelati e ci perdiamo nelle ambientazioni labiritintiche e geometriche dei corridoi, delle sale, del giardino. Per alcuni aspetti la situazione mi ha ricordato Shining. Soprattutto l'aspetto geometrico e labirintico delle ambientazioni e per i personaggi immaginari di Shining, i fantasmi che sembrano popolare entrambi gli hotel. Tornando a Marienbad, un uomo e una donna ballano insieme, lui sembra conoscerla, lei no; l'uomo le dice che si sono incontrati ed amati in quegli stessi luoghi l'anno precedente e si erano salutati con la promessa di aspettare un anno per rivedersi e per andar via insieme, lei invece non ricorda niente di tutto ciò e insiste nel negare. A quel punto l'uomo le racconta i loro incontri e inizia una serie infinita di flashback con la voce narratrice dell'uomo permanente. Tutto il film si svolge così, con questi racconti, ma non c'è riferimento cronologico o narrativo; si fondono sempre più realtà ed immaginazione, passato e presente. Inoltre molto spesso ai racconti dell'uomo non viene associata la giusta scena, lui racconta delle azioni e noi ne vediamo altre, accadute in luoghi e periodo diversi. Un labirinto fisico, narrativo e temporale fino a che non si arriva alla confusione degli stessi ricordi e pensieri dell'uomo. Il tutto ripreso tramite sinuosi, lunghi e continui movimenti di macchina, che sembra fluttuare continuamente; così come sembra incorporea anche l'immagine stessa, che spesso cambia al proprio interno con lo spostamento della camera. Una regia immensa. Il montaggio inoltre, come si può intuire, svolge un ruolo fondamentale e probabilmente è proprio il lato maggiormente sperimentale e affascinante; con i continui salti temporali e narrativi ma salti anche non spiegabili o definibili, con dialoghi che iniziano in una sala e con i personaggi vestiti in determinato modo e che continuano all'improssivo con uno stacco di montaggio in una sala completamente diversa e con i personaggi vestiti in maniera differente, senza però nessuno stacco vocale e labiale. La bellissima fotografia va ad esaltare gli interni del palazzo e l'utilizzo del grandangolo rende ancora più onirica e deformata l'ambientazione. E' un film difficile da seguire, ma che affascina e calamita in modo incredibile. Il magnifico turbinio visivo e lo straniante, oscuro, incerto e affascinante intreccio narrativo tengono calamitato lo sguardo e ci perdiamo anche noi in questa dimensione. C'è anche la figura di un secondo uomo, quello che pare essere il marito della donna, ma non lo sappiamo con certezza...figura oscura, quasi minacciosa anche se non lo è, imbattibile in un gioco con i fiammiferi. Appare sempre più spesso e, non so bene perché, ma mi ha ricordato l'uomo misterioso di Lost Highway di Lynch. Complessivamente l'Overlook Hotel di Kubrick e certe atmosfere lynchiane sembrano nate proprio nell'albergo di Marienbad. E' difficile descrivere in maniera accurata questo film, consiglio a chi è interessato di guardarlo e di farsi anche la propria idea sul tema e sul significato. Principalmente si muove nella rappresentazione del linguaggio della coscienza, il pensiero, il ricordo, il sogno...che non hanno limiti, non hanno strutture fisiche, dove il tempo ha un'altra concezione. E in più sembra essere anche una critica all'alta borghesia, persa nel vuoto, incastrata in un labirinto senza tempo e senza forma, quasi congelata in una forma da fantasma. Veramente un film affascinante e bellissimo.

 

Infine Giochi proibiti (1952) di René Clément, anch'esso Leone d'oro a Venezia.

Film sulla seconda guerra mondiale, sulla guerra vista dai bambini, sulla guerra che diffonde brutalità e diffonde l'aura di morte finanche nei giochi dei bambini..."giochi proibiti", appunto. E' un film comunque dove la guerra rimane nello sfondo; una famiglia scappa da Parigi e durante un bombardamento un padre e una madre rimangono uccisi, la loro piccola figlia rimane sola e viene trovata da un suo coetaneo nei campi, perciò va a vivere con una famiglia di campagna. Da quel momento di sviluppa un film con toni più leggeri, viene mostrato il legame sempre più forte che si crea tra il bambino e la bambina, i loro passatempi e i loro giochi. Ma l'alone della morte è presente e porta alla morte del fratello più grande del bambino, ucciso da un calcio di un asino ed è presente anche nei macabri passatempi dei bambini, che creano un loro cimitero seppellendo alcuni animali...questo loro gioco li spingerà (il bambino, soprattutto) anche a rubare delle croci nel cimitero del paese, a tentare anche di rubare la croce in chiesa e ad uccidere uno scarafaggio per aggiungerlo alle loro sepolture. Il dramma della morte dei genitori, della bambina rimasta orfana e del suo adattamento in un contesto nuovo unito a momenti divertenti come alcuni legati ai giochi dei bambini ma anche alla rivalità della famiglia protagonista con la famiglia che abita vicino a loro, un po' come Totò con Mezzacapa. Il tutto rappresentato con realismo. Film molto bello, delicato ma, per la tipologia di film, mantiene per me un'atmosfera troppo confezionata e una patina di finzione cinematografica leggermente eccessiva, soprattutto nel creare il sentimento in alcuni punti. Manca quello sguardo totalmente immersivo e quella carica di perfetto realismo che contraddistingueva i film del neorealismo, ad esempio.

 

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7 ore fa, Rhyme ha scritto:

Una prima parentesi francese.

 

I quattrocento colpi (1959), Tirate sul pianista (1960) e Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut.

Ero rimasto innamorato di Jules e Jim, ho aggiunto questi 3 film del regista francese.

E' il regista più intellettuale della Nouvelle Vague, grande amante dei libri e del racconto e lo si vede perfettamente nei suoi film. In un certo senso, quello che penso di Herzog vale per Truffaut però non dal punto di vista visivo ma narrativo. Ha uno stile di narrazione straordinario e unico.

Riesce a rendere magico l'ordinario; un bambino o due persone che passeggiano, una classe a scuola, due persone che parlano, una famiglia a tavola. Azioni ordinarie, semplici, banali rese straordinarie, rese magiche ma al tempo stesso le sentiamo intime e "nostre". Ha un modo straordinario di scrivere, descrivere, mostrare, inquadrare e dirigere i personaggi...le loro figure ci avvolgono e diventano a noi familiari nel giro di pochissime scene.

In un'intervista ha detto che cercava di non fare film con sceneggiature originali perché tendeva sempre a normalizzare i film, togliendo azione, quindi se il soggetto lo scriveva lui portava l'azione quasi a 0, fin quasi a non far accadere niente, invece partendo da libri o racconti molto dinamici e animati la sua indole "normalizzante" avrebbe avuto meno effetto. Io, come dicevo, ritengo che la sua straordinarietà riguardi proprio le azioni più ordinarie e normali.

"I quattrocento colpi" è il suo film più intimo, una sorta di autobiografia con al centro gli anni difficili della sua infanzia. E' un forte esempio di narrazione soggettiva, con la camera che segue costantemente il ragazzo protagonista, noi vediamo e viviamo attraverso di lui e quindi direttamente dagli occhi di Truffaut. E' un film magnifico, un esempio maestoso della sua capacità narrativa; il bambino è di fianco a noi, camminiamo ed agiamo di fianco a lui, ci troviamo in quegli stessi ambienti, i suoi problemi e le sue preoccupazioni sono anche le nostre. La celebre scena finale poi è una tra le più belle del cinema, con la corsa del bambino verso il mare, simbolo di estrema libertà ma al tempo stesso massima barriera e ostacolo insormontabile, con lo sguardo finale catturato in fermo immagine, uno sguardo che sembra rivolgersi allo stesso spettatore per chiedere un appiglio...che poi è stato ripreso, concettualmente, tantissime volte in altri film, vedi appunto Il laureato.

Approfittando dell'occasione ho rivisto anche "Jules e Jim" ed è un film che mi sbalordisce sempre...trovo la parte finale un po' appesantita, altrimenti lo troverei un film perfetto. Non so quale tra questi due preferisca, sono due capolavori inimmaginabili e due tra i miei film preferiti in assoluto.

"Tirate sul pianista", tratto da un romanzo, è un omaggio di Truffaut al cinema americano. A fianco di un amore tra un pianista timido e una ragazza, c'è una storia di gangster. Per sua stessa ammissione, Truffaut odia il genere gangster e se n'è accorto maggiormente girando questo film, perciò lo ha alleggerito rendendo goffi e quasi comici i due gangster. Film che mi è piaciuto, meno la parte del malviventi ma molto di più quella della vita del pianista, del locale in cui suona ogni sera, della casa in cui abita, dell'amore che nasce tra lui e la cameriera di quel locale, della passeggiata tra i due...in quei frangenti emerge il Truffaut che adoro.

"Fahrenheit 451" è un altro film tratto da un romanzo, girato in Gran Bretagna in lingua inglese (credo sia l'unico) e a colori. Mostra una società del futuro dominata dalla televisione, in cui è vietato leggere e possedere libri, che vengono bruciati dai pompieri. E' una storia che definisce, per me molto bene e in modo molto brillante, la deriva della società occidentale nel secolo scorso; il ruolo sempre più marginale e sempre più negativo dato alla cultura, la formazione di modelli di comportamento, di aspetto, di vita sempre più rigidi e stereotipati, una borghesia sempre più attratta dalla forma e dal vacuo, il ruolo sempre più dominante della televisione.

Questo film mi è piaciuto meno, ho visto meno la brillantezza e la magia di Truffaut, la sua capacità narrativa; lui chiaramente è rimasto affascinato da questo film per la componente legata ai libri e ha detto di aver voluto renderli protagonisti, più delle azioni e dei personaggi. E secondo me non ci è riuscito. E' chiaramente un buon/ottimo film, ma per me mancano gli elementi migliori del suo stile, è un lavoro più britannico inteso nell'accezione negativa. Ha sicuramente influito il fatto che lui non conoscesse bene l'inglese e quindi si sia limitato a seguire alla perfezione la sceneggiatura, mentre invece lui, come in generale gli autori della Nouvelle Vague, tendeva a non seguire la sceneggiature in modo fisso (alla Hitchcock, per intendersi) quanto invece a seguire l'ispirazione del momento.

Generalmente comunque adoro Truffaut e voglio continuare a scoprirlo.

 

Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (1965) di Godard, Orso d'oro a Berlino.

Film noir/fantascienza che parla di un agente che si reca nella capitale di un'altra galassia, Alphaville, dominata e controllata da un supercomputer. E' una storia anche molto interessante e visivamente è spesso anche straordinario, con lavori eccellenti soprattutto sull'illuminazione; per questi due motivi ho anche un buon ricordo di questo film. Ma continua il mio rapporto di amore/odio con Godard. E' un film che mi ha confuso e ogni scena mi confondeva sempre di più; straniante, incomprensibile, irrazionale, assurdo. Non che non si capisca in senso stretto, ma non si capisce il perché di certi avvenimenti, di certe scene, è una narrazione controcorrente, non si riesce a seguire lo sviluppo. Proverò a riguardarlo.

 

L'anno scorso a Marienbad (1961) di Alain Resnais, Leone d'oro a Venezia.

Per quanto riguarda Resnais non siamo proprio nella Nouvelle Vague, appartiene più al movimento della "Rive Gauche", composto da registi meno cinefili e più intellettuali rispetto a quelli della Nouvelle Vague...è un movimento molto sperimentale soprattutto per quanto riguarda gli intrecci narrativi e temporali, quasi labirintici.

E "L'anno scorso a Marienbad" ne è l'emblema perfetto ed è uno tra i film più sperimentali che abbia visto. E' ambientato in un sontuoso hotel, una reggia con giardini immensi, barocca, con mille corridoi, sale, specchi, statue, con i ricchi ospiti che passano il tempo in balli, dialogando, facendo passeggiate all'interno e nei giardini, incontrandosi nelle sale anche per fare giochi di carte. Ma non sembra di essere nella realtà, ma in un sogno o in un incubo, in una dimensione parallela...i camerieri e gli ospiti spesso rimangono immobili come congelati e ci perdiamo nelle ambientazioni labiritintiche e geometriche dei corridoi, delle sale, del giardino. Per alcuni aspetti la situazione mi ha ricordato Shining. Soprattutto l'aspetto geometrico e labirintico delle ambientazioni e per i personaggi immaginari di Shining, i fantasmi che sembrano popolare entrambi gli hotel. Tornando a Marienbad, un uomo e una donna ballano insieme, lui sembra conoscerla, lei no; l'uomo le dice che si sono incontrati ed amati in quegli stessi luoghi l'anno precedente e si erano salutati con la promessa di aspettare un anno per rivedersi e per andar via insieme, lei invece non ricorda niente di tutto ciò e insiste nel negare. A quel punto l'uomo le racconta i loro incontri e inizia una serie infinita di flashback con la voce narratrice dell'uomo permanente. Tutto il film si svolge così, con questi racconti, ma non c'è riferimento cronologico o narrativo; si fondono sempre più realtà ed immaginazione, passato e presente. Inoltre molto spesso ai racconti dell'uomo non viene associata la giusta scena, lui racconta delle azioni e noi ne vediamo altre, accadute in luoghi e periodo diversi. Un labirinto fisico, narrativo e temporale fino a che non si arriva alla confusione degli stessi ricordi e pensieri dell'uomo. Il tutto ripreso tramite sinuosi, lunghi e continui movimenti di macchina, che sembra fluttuare continuamente; così come sembra incorporea anche l'immagine stessa, che spesso cambia al proprio interno con lo spostamento della camera. Una regia immensa. Il montaggio inoltre, come si può intuire, svolge un ruolo fondamentale e probabilmente è proprio il lato maggiormente sperimentale e affascinante; con i continui salti temporali e narrativi ma salti anche non spiegabili o definibili, con dialoghi che iniziano in una sala e con i personaggi vestiti in determinato modo e che continuano all'improssivo con uno stacco di montaggio in una sala completamente diversa e con i personaggi vestiti in maniera differente, senza però nessuno stacco vocale e labiale. La bellissima fotografia va ad esaltare gli interni del palazzo e l'utilizzo del grandangolo rende ancora più onirica e deformata l'ambientazione. E' un film difficile da seguire, ma che affascina e calamita in modo incredibile. Il magnifico turbinio visivo e lo straniante, oscuro, incerto e affascinante intreccio narrativo tengono calamitato lo sguardo e ci perdiamo anche noi in questa dimensione. C'è anche la figura di un secondo uomo, quello che pare essere il marito della donna, ma non lo sappiamo con certezza...figura oscura, quasi minacciosa anche se non lo è, imbattibile in un gioco con i fiammiferi. Appare sempre più spesso e, non so bene perché, ma mi ha ricordato l'uomo misterioso di Lost Highway di Lynch. Complessivamente l'Overlook Hotel di Kubrick e certe atmosfere lynchiane sembrano nate proprio nell'albergo di Marienbad. E' difficile descrivere in maniera accurata questo film, consiglio a chi è interessato di guardarlo e di farsi anche la propria idea sul tema e sul significato. Principalmente si muove nella rappresentazione del linguaggio della coscienza, il pensiero, il ricordo, il sogno...che non hanno limiti, non hanno strutture fisiche, dove il tempo ha un'altra concezione. E in più sembra essere anche una critica all'alta borghesia, persa nel vuoto, incastrata in un labirinto senza tempo e senza forma, quasi congelata in una forma da fantasma. Veramente un film affascinante e bellissimo.

 

Infine Giochi proibiti (1952) di René Clément, anch'esso Leone d'oro a Venezia.

Film sulla seconda guerra mondiale, sulla guerra vista dai bambini, sulla guerra che diffonde brutalità e diffonde l'aura di morte finanche nei giochi dei bambini..."giochi proibiti", appunto. E' un film comunque dove la guerra rimane nello sfondo; una famiglia scappa da Parigi e durante un bombardamento un padre e una madre rimangono uccisi, la loro piccola figlia rimane sola e viene trovata da un suo coetaneo nei campi, perciò va a vivere con una famiglia di campagna. Da quel momento di sviluppa un film con toni più leggeri, viene mostrato il legame sempre più forte che si crea tra il bambino e la bambina, i loro passatempi e i loro giochi. Ma l'alone della morte è presente e porta alla morte del fratello più grande del bambino, ucciso da un calcio di un asino ed è presente anche nei macabri passatempi dei bambini, che creano un loro cimitero seppellendo alcuni animali...questo loro gioco li spingerà (il bambino, soprattutto) anche a rubare delle croci nel cimitero del paese, a tentare anche di rubare la croce in chiesa e ad uccidere uno scarafaggio per aggiungerlo alle loro sepolture. Il dramma della morte dei genitori, della bambina rimasta orfana e del suo adattamento in un contesto nuovo unito a momenti divertenti come alcuni legati ai giochi dei bambini ma anche alla rivalità della famiglia protagonista con la famiglia che abita vicino a loro, un po' come Totò con Mezzacapa. Il tutto rappresentato con realismo. Film molto bello, delicato ma, per la tipologia di film, mantiene per me un'atmosfera troppo confezionata e una patina di finzione cinematografica leggermente eccessiva, soprattutto nel creare il sentimento in alcuni punti. Manca quello sguardo totalmente immersivo e quella carica di perfetto realismo che contraddistingueva i film del neorealismo, ad esempio.

 

Hai ragione, il finale de "I 400 colpi" con lo sguardo perso di Antoine ricorda molto il finale de "Il laureato", ma a me ricorda moltissimo anche il finale di "Giù la testa". Entrambi finiscono con questi due personaggi, un bambino e un vecchio, con gli sguardi persi nel vuoto, a chiedersi che cosa riserverà loro il futuro, terrorizzati. Leone fa parlare il suo personaggio, che infatti sussurra: "e adesso, io?", mentre Truffaut non gli fa dire una parola, ma lo stato d'animo è lo stesso. 

Davvero comunque il finale di quel film è tra i più belli che io ricordi, forse proprio tra quelli fuori concorso. La musica è perfetta, e quella spiaggia per arrivare al mare sembra non finire mai. 

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3 ore fa, Juve stile di vita ha scritto:

Hai ragione, il finale de "I 400 colpi" con lo sguardo perso di Antoine ricorda molto il finale de "Il laureato", ma a me ricorda moltissimo anche il finale di "Giù la testa". Entrambi finiscono con questi due personaggi, un bambino e un vecchio, con gli sguardi persi nel vuoto, a chiedersi che cosa riserverà loro il futuro, terrorizzati. Leone fa parlare il suo personaggio, che infatti sussurra: "e adesso, io?", mentre Truffaut non gli fa dire una parola, ma lo stato d'animo è lo stesso. 

Davvero comunque il finale di quel film è tra i più belli che io ricordi, forse proprio tra quelli fuori concorso. La musica è perfetta, e quella spiaggia per arrivare al mare sembra non finire mai. 

Giù la testa è l'unico film di Sergio Leone che non ho visto (anche Il colosso di Rodi, a dire il vero), ma lo recupererò.

Per il finale teoricamente Truffaut ha preso molto da un film di Bergman che comunque non ho visto, quindi non saprei direi...ma è un film che è stato apprezzato e ripreso sia da Godard che Truffaut.

Però è davvero una scena sontuosa.

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7 ore fa, Rhyme ha scritto:

Giù la testa è l'unico film di Sergio Leone che non ho visto (anche Il colosso di Rodi, a dire il vero), ma lo recupererò.

Per il finale teoricamente Truffaut ha preso molto da un film di Bergman che comunque non ho visto, quindi non saprei direi...ma è un film che è stato apprezzato e ripreso sia da Godard che Truffaut.

Però è davvero una scena sontuosa.

Giu' la testa.bello, crepuscolare, solita fotografia e colonna sonora da urlo...

Ma...

Personalmente lo ritengo lontano anni luce dai fratellini, ovvero la trilogia del dollaro e c'era una volta il west.

 

E leggendo la tua recensione di farenheit 451....non buono/ottimo.io direi fantastico😊....film tanto agrodolce quanto malinconico, il finale ne e' il simbolo.

Vedere un protagonista perennemente affranto da l'inizio alla fine non e' per tutti i film, anche se la palma di miglior interprete, senza dubbio va a julie christie nel doppio ruolo 

Poi se vuoi farti male, guarda il remake che hanno confezionato....ne parlai tempo fa......orrendo😅😕

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9 ore fa, Rhyme ha scritto:

Giù la testa è l'unico film di Sergio Leone che non ho visto (anche Il colosso di Rodi, a dire il vero), ma lo recupererò.

Per il finale teoricamente Truffaut ha preso molto da un film di Bergman che comunque non ho visto, quindi non saprei direi...ma è un film che è stato apprezzato e ripreso sia da Godard che Truffaut.

Però è davvero una scena sontuosa.

Non sapevo questo fatto del film di Bergman. Quale?

1 ora fa, Wallaby ha scritto:

Giu' la testa.bello, crepuscolare, solita fotografia e colonna sonora da urlo...

Ma...

Personalmente lo ritengo lontano anni luce dai fratellini, ovvero la trilogia del dollaro e c'era una volta il west.

Beh, forse sì, però... Sean Sean .@@

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19 minuti fa, Juve stile di vita ha scritto:

Non sapevo questo fatto del filrm di Bergman. Quale?

Beh, forse sì, però... Sean Sean .@@

Beh si.....come detto, colonna sonora da urlo😊.morricone non ne toppava una, siamo nell'olimpo della musica

 

Modificato da Wallaby
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18 ore fa, Wallaby ha scritto:

Giu' la testa.bello, crepuscolare, solita fotografia e colonna sonora da urlo...

Ma...

Personalmente lo ritengo lontano anni luce dai fratellini, ovvero la trilogia del dollaro e c'era una volta il west.

 

E leggendo la tua recensione di farenheit 451....non buono/ottimo.io direi fantastico😊....film tanto agrodolce quanto malinconico, il finale ne e' il simbolo.

Vedere un protagonista perennemente affranto da l'inizio alla fine non e' per tutti i film, anche se la palma di miglior interprete, senza dubbio va a julie christie nel doppio ruolo 

Poi se vuoi farti male, guarda il remake che hanno confezionato....ne parlai tempo fa......orrendo😅😕

Indubbiamente non è un brutto film. La scena finale è molto bella ed è ottima anche la ricostruzione sociale, così come sono molto belle anche alcune scene di falò.

Come dicevo, ha un argomento molto forte e che non invecchia con il tempo, rappresentato in modo vivido e brillante.

Il protagonista, più che essere affranto, rimane folgorato dall'incontro con la ragazza...che rappresenta un po' la rottura di tutti i canoni, a partire dall'aspetto fisico (più avanti viene detto "Tutte le ragazze dovrebbero avere i capelli lunghi"). Lui viene contagiato dal suo spirito, dalla sua essenza e il fuoco divampa in lui sempre più forte.

Non è comunque raro trovare film con l'aspetto così agrodolce o malinconico, così come personaggi di questo tipo...anzi, ci sono tanti tanti casi in cui questi elementi sono più integrati, più accentuati e più puri, a partire da altri film di Truffaut stesso, ma anche moltri altri film del periodo e non solo.

Questo l'ho trovato, viceversa, più distaccato, più freddo, molto lontano dall'immersione intima ed umana che si ha per esempio in un Jules e Jim o in un I quattrocento colpi, lontano dalla poesia di altri film del genere...è un ottimo film che però per me non può essere di più perché si ferma alla costruzione sociale e degli ambienti, si ferma al messaggio generale, non sfonda la barriera dell'irrealtà, non penetra e non indaga nell'essenza sociale e umana. Le caratteristiche rivoluzionarie del cinema francese e non di quegli anni, in questo film sono meno presenti.

In parte, come dicevo, è un fatto obbligato dalla barriera linguistica...perché appunto la maggior caratteristica di cineasti come Truffaut era quella di allontanare la sceneggiatura, di "ripudiarla", di creare sul momento, solo così potevano cogliere l'attimo, la scintilla, la poesia del reale e dell'animo che tanto ha elevato determinati film. Se invece un regista del genere è costretto a seguire passo per passo la sceneggiatura, la struttura crolla....è come prendere Cristiano Ronaldo ed impedirgli di calciare in porta.

Ma si parla comunque di mancanze per raggiungere i massimi livelli, perché comunque per me rimane un buon/ottimo film di uno dei migliori autori della storia...Julie Christie è meravigliosamente brava, interpreta due ruoli opposti e lo fa in modo eccelso, inizialmente non l'avevo nemmeno riconosciuta.

Tra l'altro ho scoperto adesso che ha fatto anche il ruolo di Madama Rosmerta in Harry Potter 3, ma pensa te :d

Il remake invece non ha nessun motivo per essere visto, se non la curiosità...ma ne ho talmente tanti da vedere che ne faccio tranquillamente a meno sefz

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20 minuti fa, Juve stile di vita ha scritto:

Non sapevo questo fatto del film di Bergman. Quale?

Monica e il desiderio, del 1953.

Questo film non lo conoscevo nemmeno, tra l'altro e l'aneddoto l'ho letto proprio oggi.

Sembra che questo film alla sua uscita abbia diviso molto la critica, ma che abbia affascinato i critici francesi tra cui proprio Godard e Truffaut che ne sono stati influenzati per alcuni loro film, tra cui proprio la scena finale con lo sguardo del bambino ne I quattrocento colpi che riprende quella del finale del film di Bergman.

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5 minuti fa, Rhyme ha scritto:

Indubbiamente non è un brutto film, assolutamente. La scena finale è molto bella ed è ottima anche la ricostruzione sociale, così come sono molto belle anche alcune scene di falò.

Come dicevo, ha un argomento molto forte e che non invecchia con il tempo, rappresentato in modo vivido e brillante.

Il protagonista, più che essere affranto, rimane folgorato dall'incontro con la ragazza...che rappresenta un po' la rottura di tutti i canoni, a partire dall'aspetto fisico (più avanti viene detto "Tutte le ragazze dovrebbero avere i capelli lunghi"). Lui viene contagiato dal suo spirito, dalla sua essenza e il fuoco divampa in lui sempre più forte.

Non è comunque raro trovare film con l'aspetto così agrodolce o malinconico, così come personaggi di questo tipo...anzi, ci sono tanti tanti casi in cui questi elementi sono più integrati, più accentuati e più puri, a partire da altri film di Truffaut stesso, ma anche moltri altri film del periodo e non solo.

Questo l'ho trovato, viceversa, più distaccato, più freddo, molto lontano dall'immersione intima ed umana che si ha per esempio in un Jules e Jim o in un I quattrocento colpi, lontano dalla poesia di altri film del genere...è un ottimo film che però per me non può essere di più perché si ferma alla costruzione sociale e degli ambienti, si ferma al messaggio generale, non sfonda la barriera dell'irrealtà, non penetra e non indaga nell'essenza sociale e umana. Le caratteristiche rivoluzionarie del cinema francese e non di quegli anni, in questo film sono meno presenti.

In parte, come dicevo, è un fatto obbligato dalla barriera linguistica...perché appunto la maggior caratteristica di cineasti come Truffaut era quella di allontanare la sceneggiatura, di "ripudiarla", di creare sul momento, solo così potevano cogliere l'attimo, la scintilla, la poesia del reale e dell'animo che tanto ha elevato determinati film. Se invece un regista del genere è costretto a seguire passo per passo la sceneggiatura, la struttura crolla....è come prendere Cristiano Ronaldo ed impedirgli di calciare in porta.

Ma si parla comunque di mancanze per raggiungere i massimi livelli, perché comunque per me rimane un ottimo film di uno dei migliori autori della storia...Julie Christie è meravigliosamente brava, interpreta due ruoli opposti e lo fa in modo eccelso, inizialmente non l'avevo nemmeno riconosciuta.

Tra l'altro ho scoperto adesso che ha fatto anche il ruolo di Madama Rosmerta in Harry Potter 3, ma pensa te :d

Il remake invece non ha nessun motivo per essere visto, se non la curiosità...ma ne ho talmente tanti da vedere che ne faccio tranquillamente a meno sefz

Sintetizzando...e' un bel cr7😅

Non invecchia nonostante l'eta'...

La christie ha fatto un bel, anzi un gran lavoro, pure io non mi ero accorto che era la stessa attrice quando lo vidi la prima volta😅

Il remake.....mi domando solo il perche' di certe robacce....

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2 minuti fa, Rhyme ha scritto:

Monica e il desiderio, del 1953.

Questo film non lo conoscevo nemmeno, tra l'altro e l'aneddoto l'ho letto proprio oggi.

Sembra che questo film alla sua uscita abbia diviso molto la critica, ma che abbia affascinato i critici francesi tra cui proprio Godard e Truffaut che ne sono stati influenzati per alcuni loro film, tra cui proprio la scena finale con lo sguardo del bambino ne I quattrocento colpi che riprende quella del finale del film di Bergman.

Io sentito nominare, ma mai visto. D'altronde di Bergman ne ho visti solo 2.

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1 ora fa, perfX ha scritto:

Puoi recuperare i tuoi ultimi due messaggi sul cinema francese che non sono riuscito a leggerli?

@Rhyme

Ho messo direttamente qui sopra parte della discussione degli ultimi 2-3 giorni, così almeno gli ultimi messaggi del vecchio topic non vengono eliminati

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Il 18 settembre 2018 Alle 02:53, Rhyme ha scritto:

Una prima parentesi francese.

 

I quattrocento colpi (1959), Tirate sul pianista (1960) e Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut.

 

 

Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (1965) di Godard, Orso d'oro a Berlino.

 

 

L'anno scorso a Marienbad (1961) di Alain Resnais, Leone d'oro a Venezia.

 

 

Infine Giochi proibiti (1952) di René Clément, anch'esso Leone d'oro a Venezia.

 

 

 

Tutti film molti importanti di una stagione decisamente densa di titoli e autori.

 

Di Resnais volevo proprio vederlo L'anno scorso a Marienbad, che è stato tra l'altro restaurato da poco. Quindi non escludo possa fare un giro nei cinema. Comunque quelle atmosfere che descrivi nel film lei puoi ritrovare anche in un altro grande film di Resnais che è Hiroshima mon amour. Molto criptico.

 

Mentre per Truffaut, devo sottolineare come il libro stesso di Bradbury è bellissimo, leggetelo se potete. Tra l'altro scritto in meno di un mese.

Di Truffaut dovresti vedere il metacinematografico Effetto notte, oltre a L'uomo che amava le donne. Belissimo. E in fondo le tre passioni di Truffaut erano il cinema, i libri, e le donne. Come dargli torto...

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4 ore fa, perfX ha scritto:

 

Tutti film molti importanti di una stagione decisamente densa di titoli e autori.

 

Di Resnais volevo proprio vederlo L'anno scorso a Marienbad, che è stato tra l'altro restaurato da poco. Quindi non escludo possa fare un giro nei cinema. Comunque quelle atmosfere che descrivi nel film lei puoi ritrovare anche in un altro grande film di Resnais che è Hiroshima mon amour. Molto criptico.

 

Mentre per Truffaut, devo sottolineare come il libro stesso di Bradbury è bellissimo, leggetelo se potete. Tra l'altro scritto in meno di un mese.

Di Truffaut dovresti vedere il metacinematografico Effetto notte, oltre a L'uomo che amava le donne. Belissimo. E in fondo le tre passioni di Truffaut erano il cinema, i libri, e le donne. Come dargli torto...

Non sapevo che L'anno scorso a Marienbad fosse stato restaurato da poco. Se va in sala torno a vederlo.

Hiroshima mon amour è l'altro capolavoro di Resnais e ho intenzione di recuperarlo così come altri di questo periodo...qualcosa di Rivette, Rohmer, Chabrol e qualcos'altro anche di Godard e Truffaut, Effetto notte l'ho in programma da molto e inserisco anche L'uomo che amava le donne.

Pian piano cerco di recuperare un po' tutto, ma non è semplice :d

Truffaut comunque è davvero un autore che mi è entrato nel cuore.

 

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32 minuti fa, Rhyme ha scritto:

Truffaut comunque è davvero un autore che mi è entrato nel cuore.

 

Penso sia tra più difficili da non apprezzare se si è appassionati di cinema. 

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Seconda parentesi francese.

 

Playtime (1967) di quel genio di Jacques Tati.

E' il suo quarto e penultimo film cinematografico e senza dubbio il suo lavoro più complesso e ambizioso. In primis per il set; ha fatto costruire in pratica una piccola città, con una centrale energetica apposita, strade ed interi palazzoni. Il set fu chiamato Tativille e l'intezione di Tati era quella di donarlo alla città di Parigi per farne una "città del cinema" del tipo di Cinecittà, ma la sua idea non si realizzò e, se non sbaglio, parte delle strutture furono abbattute per farci passare un'autostrada; comunque per questo film furono spesi moltissimi soldi. Già in Mon Oncle aveva affrontato il tema del cambiamento sociale, della tecnologia dilagante e su come essa abbia influenzato non solo i compiti e le azioni dell'uomo ma anche i piccoli gesti, i comportamenti, i rapporti. In Playtime tutto ciò è reso in modo più colossale con questa città, che dovrebbe rappresentare la periferia di Parigi, formata da strade grige, auto grige, edifici tutti uguali, geometrici e grigi con all'interno labirinti di cuniculi, uffici e porte a vetri, lavoratori che vanno da una parte all'altra senza sosta, oggetti strani e buffi. Un mondo asettico, freddo, senz'anima. In tutto ciò, arriva un gruppo di turisti americani per visitare Parigi, ma di fatto Parigi non la vedono, vedono solo questi edifici e questo tram tram...le uniche viste di Parigi sono due riflessi in una porta a vetri, la Torre Eiffel prima e l'Arco di Trionfo poi. Tati ovviamente appare nei suoi classici panni, nel suo personaggio, ma di fatto è più uno spettatore. Il film tende quasi alle Sinfonie delle città degli anni '20-'30 ma in versione moderna e accentrata. Nella prima parte Tati entra in uno di quegli edifici per un appuntamento importante, ma si perde nel labirinto di cuniculi, uffici, stanze e non riesce ad incontrare la persona che cerca, che pure si trova sempre a pochi passi da lui...nonostante i sistemi di comunicazione più sofisticati, nonostante la trasparenza di contatto rappresentata dalle innumerevoli porte a vetri, trasparenti, c'è un'enorme incomunicabilità ed incapacità di contatto. Nella seconda parte viene mostrata la serata d'apertura di un ristorante di lusso e il film esplode con l'infinita serie di imprevisti che si verificano; dalla mattonella della pista da ballo che si stacca, ai contatti elettrici che non funzionano bene, alle difficoltà in cucina, ai camerieri poco professionali che si ubriacano, alla forma scomoda delle sedie che strappa gli abiti dei camerieri e si stampa sulle giacche o sulle schiene degli ospiti, al condizionatore d'aria che smette di funzionare e poi funziona troppo, alla porta (sempre a vetri) che va in frantumi e così via. E' tutta una serie di imprevisti che prende sempre più ritmo, una danza degli eventi che peggiora e aumenta di minuto in minuto fino a che una parte del soffitto crolla e allora crolla anche quel mondo asettico, standardizzato e freddo. Si forma, in un angolo del ristorante, un gruppo di ospiti, diversi di loro ubriachi, che fanno festa in modo informale, cantando canzoni popolari, facendo baccano, improvvisando al pianoforte, scherzando e ridendo. E questo calore contagia anche il mondo esterno, con al mattino questo gruppo di persone che va a fare colazione insieme, sempre con lo stesso atteggiamento solare e caloroso. Le strade poi iniziano ad essere popolate anche da auto colorate, che ruotano costantemente intorno alla rotonda come in una sorta di giostra, appaiono festoni colorati agli edifici, anche nei negozi le persone e gli atteggiamenti cambiano. Personalmente la interpreto proprio come netta rottura rispetto alla prima parte, come a voler significare che va bene la tecnologia e che ha senza dubbio vantaggi, ma non dev'essere modificato il nostro modo di vivere, i nostri piccoli gesti, la nostra vitalità, il comunicare e il rapportarsi con gli altri in modo confidenziale e caloroso, popolare...non deve quindi rendere i comportamenti umani freddi, asettici e standardizzati. Che appunto era un po' il concetto anche di Mon Oncle, con il passaggio dal mondo futuristico e tecnologico della famiglia della sorella di Tati, al borgo popolare in cui abitava lui. Playtime è un film più complesso da seguire, meno divertente degli altri, meno fluido nella narrazione...come dicevo, a me ricorda in un certo senso i film/sinfonie sulle città del cinema d'avanguardia. Ma è di una complessità enorme, ha delle gag visive e sonore assolutamente incredibili e geniali, ha tantissimi dettagli e in queste righe ho solo graffiato la superficie. E' veramente un'opera maestosa nel vero senso della parola. Cinematograficamente segue lo stile di Tati, con il sonoro che è protagonista (è uno degli autori che ha proprio rivoluzionato il sonoro); tutta la serie di gag è realizzata con piani lunghi, mai primi piani o piani ravvicinati, gag che nascono, si sviluppano e si compongono all'interno dell'inquadratura, come ad esempio la scena iniziale dove ogni dettaglio e aspetto ci porta a credere che siamo in un ospedale, invece nella scena seguente capiamo di trovarci in un aeroporto. Perciò le sue inquadrature chiedono massima attenzione, per cogliere tutto ciò che si svolge al loro interno.

Generalmente, tutti i film di Tati sono assolutamente da vedere...un genio del cinema che si affianca a pieno merito ai migliori autori comici e non solo.

 

La grande illusione (1937) di Jean Renoir.

Questo film di certo non ha bisogno di presentazioni o di tanti discorsi, è uno tra i massimi film della storia del cinema.

La straordinarietà pazzesca di due capolavori assoluti come questo e La regola del gioco è che sono al tempo stesso semplici e leggeri ma anche complessissimi. In questo Renoir è unico, riesce a fare film strutturati e densi di argomenti complessissimi in modo assolutamente leggero, con una tranquillità e una facilità disarmante.

La grande illusione è ambientato durante la prima guerra mondiale e mostra degli ufficiali francesi catturati dai tedeschi e messi nei loro campi di detenzione. In particolare vengono mostrati 2 francesi, uno più anziano ed uno più giovane. I francesi tentano di fuggire dalle varie prigioni, non per sopravvivere, in realtà, perché sono trattati in modo egregio, viene concessa grande libertà e grande rispetto. I due protagonisti vengono spostati da prigione in prigione fino a che non vengono portati nel castello comandato dall'ufficiale tedesco che li aveva catturati. Qui si rinsalda il rispetto che si era creato tra l'ufficiale tedesco (interpretato dal grandissimo Erich Von Stroheim) e il detenuto francese di più alto grado che sfocia quasi in amicizia. Per lunghi tratti è un film che ha toni da commedia, per tutta la prima parte in particolar modo, ma sa essere anche molto amaro.

La visione della guerra presente in questo film è disarmante, in tutti i sensi. Appare enorme la differenza tra generazioni, la guerra è stata voluta dalla generazione più vecchia, per porre rimedio ai fallimenti delle loro vite; i più anziani appaiono stanchi, logori, guardano alla morte quasi come sollievo per la loro vita e per i loro fallimenti. I più giovani invece si sono trovati incastrati nella guerra, non l'hanno voluta loro e lottano per la vita, non vogliono morire. Appare inoltre molto più netta la differenza tra persone di classe diversa piuttosto che tra persone di nazione diversa. I due francesi sono di classe diversa, hanno avuto educazioni diverse e sono molto distanti mentre tra l'ufficiale francese e quello tedesco, nonostante siano di nazioni diverse ed in guerra tra loro, si crea un'alchimia molto forte. Mentre invece l'altro francese, con un altro compagno, nella parte finale trova un forte rapporto con una contadina tedesca, che li ospita. Questi momenti, soprattutto il rapporto tra l'ufficiale francese e quello tedesco, sono tra i più belli nella storia del cinema. Ma in generale lo è tutto il film, di una bellezza disarmante. E quello che rimane impresso in modo indelebile appunto, è la facilità e la leggerezza con la quale si svolgono i film di Renoir nonostante i temi trattati. Uno tra i massimi poeti del cinema. Qualche volta ci poniamo la domanda su quali siano i film più importanti o più belli del cinema...pur avendo visto solo due suoi film, io credo che Jean Renoir debba sempre trovar posto.

 

Parigi brucia? (1966) di René Clément, produzione franco-americana.

Parla di un reale episodio della seconda guerra mondiale. Hitler nel 1944, ormai a fine guerra, ordinò al governatore nazista di Parigi di radere al suolo la città, visto l'arrivo degli alleati, distruggendola; il governatore, Choltitz, è passato alla storia per aver disobbedito all'ordine. Il film quindi mostra questo episodio, le azioni dei gruppi della resistenza francese che si adoperano per liberare la capitale e l'arrivo dell'esercito alleato.

E' indubbiamente tra le produzioni più grandi della storia: la regia è affidata a Clement (che comunque non ha grande libertà, più che altro mette a disposizione la sua capacità di mestiere), la sceneggiatura è stata scritta da Gore Vidal e Francis Ford Coppola, nel cast figurano attori come Kirk Douglas, Alain Delon, Belmondo, Orson Welles (e il bello è che lì per lì non lo avevo riconosciuto e pensavo "In questo ruolo ci vedrei Orson Welles" sefz), Trintignant ma anche Michel Piccoli, Anthony Perkins, Jean-Pierre Cassel ed altri. Cast mostruoso e la cosa curiosa è che hanno tutti ruoli abbastanza piccoli...è un film corale e quasi tutti compaiono per pochi minuti o addirittura secondi.

Ma come spesso accade in questi casi, il film è discutibile. Un'accozzaglia di scene, di azioni, di momenti scritti, realizzati e scelti male...in particolare legati con un pessimo, per me, montaggio. Generalmente è come se non si veda niente, i momenti drammatici vengono rappresentati in maniera insipida, i combattimenti ci sono ma sono caotici, confusionari, mal realizzati e mal montati, nessun personaggio rimane vivido, non c'è nessun tipo di tentativo di riflessione su quello che accade, vengono confusi anche i punti di vista. Se qualcuno era intenzionato a vedere questo film perché incuriosito dai nomi presenti o da altro, glielo sconsiglio :d

 

Passando a visioni contemporanee, ho visto anche io Un affare di famiglia di Kore'eda.

Bel film, ne ha già parlato sufficientemente PerfX.

A differenza di Ozu, che indagava con sguardo contemplativo la famiglia, Kore'eda in questo film colpisce direttamente con una visione alternativa della famiglia, va un po' a scuotere i cardini di quella che è un'istituzione sacra; argomento, tra l'altro, che è sempre all'ordine del giorno in ogni decennio ed anche da noi, per esempio. Come detto da PerfX però, lascia in sospeso...lascia al giudizio dello spettatore.

Se vogliamo può ricordare Captain Fantastic per certi versi, ovviamente con uno stile, dei toni e fondamenti cinematografici molto lontani...ma in questi film viene posta una visione differente della famiglia da una parte e dell'istruzione/famiglia dall'altra, andando un po' a sconvolgere quelle che sono le canoniche convinzioni. 

Il film di Kore'eda è realizzato con la classica dolcezza, leggerezza e sensibilità giapponesi.

Non mi ha convinto moltissimo il finale, secondo me si trascina un po' troppo con una serie di "falsi finali". A me sarebbe piaciuto maggiormente senza gli ultimi 15-20 minuti, che secondo me tolgono anche un po' di coraggio al film e servono per dare una maggior chiarezza che per me va un po' a rompere la poesia.

Complessivamente credevo mi colpisse maggiormente, ma è comunque un gran bel film.

 

Ho iniziato a vedere anche la serie tv Sharp Objects, con Amy Adams.

Lo sapete, io le serie tv non le guardo quasi mai, ma queste prime due puntate non mi sono dispiaciute...vedremo come andrà avanti.

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12 ore fa, Rhyme ha scritto:

Non mi ha convinto moltissimo il finale, secondo me si trascina un po' troppo con una serie di "falsi finali". A me sarebbe piaciuto maggiormente senza gli ultimi 15-20 minuti, che secondo me tolgono anche un po' di coraggio al film e servono per dare una maggior chiarezza che per me va un po' a rompere la poesia.

Concordo, anche per me il finale è la parte più debole.

 

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Sopratutto quando il ragazzino è in ospedale. 

Il problema che non risolve è che vorrebbe dare un finale quasi ad ogni personaggio ma per ognuno dev'essere un finale aperto. Se può funzionare per l'ultimo, choccante, gli altri sono tra il tirato via e il perché lo fa. Uno su tutti quello della sorella della moglie, che per me è il personaggio con più potenziale inespresso. Quando viene fuori la sua storia d'amore, che sembra una svolta, da lì in poi viene praticamente dimenticata. Per non parlare del suo legame con la nonna, e quello con la famiglia originaria e la vicenda attorno per nulla chiara.

 

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12 ore fa, perfX ha scritto:

Concordo, anche per me il finale è la parte più debole.

 

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Sopratutto quando il ragazzino è in ospedale. 

Il problema che non risolve è che vorrebbe dare un finale quasi ad ogni personaggio ma per ognuno dev'essere un finale aperto. Se può funzionare per l'ultimo, choccante, gli altri sono tra il tirato via e il perché lo fa. Uno su tutti quello della sorella della moglie, che per me è il personaggio con più potenziale inespresso. Quando viene fuori la sua storia d'amore, che sembra una svolta, da lì in poi viene praticamente dimenticata. Per non parlare del suo legame con la nonna, e quello con la famiglia originaria e la vicenda attorno per nulla chiara.

 

Esatto. E questo per me fa perdere un po' la magia di tutta la vicenda che per me è bellissima.

Il finale mi è suonato un po' come la classica frase "Non fatelo a casa", come un po' a voler rientrare in ambiti più convenzionali.

Secondo me non ce n'era bisogno o poteva essere ideato in modo più efficace.

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