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Rhyme

Occhio allo schermo!

Post in rilievo

Un po' in ritardo le visioni del mese di dicembre

Amores perros - 2000 - Alejandro González Iñárritu



Burning - 2018 - Lee Chang-dong

George Harrison: Living in the Material World - 2011 - Martin Scorsese

Io sono un autarchico - 1976 - Nanni Moretti

Ocean's Eleven - 2001 - Steven Soderbergh

Lo specchio - 1997 - Jafar Panahi

Vanilla Sky - 2001 - Cameron Crowe

Amores perros, debutto di Iñárritu, è l'intreccio di tre storie che si sviluppano in Città del Messico. Si intrecciano anche tre classi sociali: la povertà che porta alla criminalità, l'alta borghesia e i paria della società. Vengono usate queste storie per una rappresentazione universale dell'umanità, tema che Iñárritu riprende successivamente in Babel e forse lo sviluppa in maniera migliore. Il contrasto tra bellezza e violenza presente verrà poi riproposto in Biutiful, risultando quindi forse un'insoddisfazione per lo stesso Iñárritu che cercherà di esprimersi nuovamente sul tema.

Burning, film coreano di Lee Chang-dong, tratto da un racconto breve di Murakami. Di Lee Chang-dong ne parlai circa due anni fa (come passa il tempo) qui. Per me il suo debutto Peppermint Candy è uno dei film migliori non solo dell'industria coreana in sé, ma della cinematografia in generale, un melodramma fortissimo con tinte storiche. Il nuovo Burning, con tra gli attori Steven Yeun (già visto quest'anno in Sorry to Bother You), segue gli avvenimenti del giovane Lee Jong-su ritornato dal servizio di leva e l'incontro con una vecchia compagna di classe. Nonostante possa sembrare dalla trama un'opera con un'aria leggera, in realtà Burning è una affilatissima analisi della Corea moderna, con il contrasto tra la Corea rurale e quella metropolitana di Seoul, ma anche un contrasto tra due uomini diversi. In mezzo all'opera anche qualche vena thriller che i coreani come al solito sono maestri nel gestire. 

George Harrison: Living in the Material World, documentario di Scorsese sulla vita del terzo Beatles, indubbiamente affascinante per chi è un fan del gruppo, rivisitando l'intera vita di Hazza con un occhio particolare al periodo beatlesiano e alla successiva svolta spirituale. La mano del regista italoamericano non si vede per nulla, facendola quasi diventare un'opera che avrebbe potuto firmare qualsiasi regista.

La prima commedia di Moretti, Io sono un autarchico, è ancora acerba e si vede non solo dai mezzi tecnici scadenti, ma anche da una narrazione che non riesce a reggere tutti i 90 minuti del film e delle tematiche che sicuramente verranno sviluppate meglio in uno dei suoi capolavori Ecce bombo. Non mancano i colpi di genio però, come la scena dove gli esce la bile alla bocca parlando della Wertmuller.

 

Dalle stelle alle stalle: Ocean's Eleven è un ottimo film: dinamico, divertente e fumettoso, eccellente nella sua eccessività, d'altronde quando riunisci Clooney, Pitt, Damon e Andy Garcia, non fare un buon film sarebbe quasi impossibile. Stona soltanto che la pupa contesa sia Julia Roberts che per me ha sempre esercitato lo stesso fascino di un comodino. Vanilla Sky è invece orrendo, pacchiano, kitsch, con un Tom Cruise pessimo e Penélope Cruz che gli fa compagnia, una storia senza senso che non suscita né interesse né emoziona, un'estetica da videoclip. Il povero Kurt Russell sembra il mio professore di educazione fisica al liceo più che un personaggio di un film.

 

Per finire Lo specchio, non del mio amato Tarkovskij ma di Panahi, un esperimento cinematografico che descriverlo nel dettaglio rovinerebbe la visione, con al centro una bambina impegnata a tornare a casa. Il rimando a Close-up di Kiarostami è immediato, e forse rende quest'opera superflua quando esiste appunto il capolavoro di Kiarostami.

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Il 15/1/2019 Alle 11:19, Ronnie O'Sullivan ha scritto:

Va detto che sono diventato piuttosto esigente col passare degli anni, fin troppo

Non so quanto tu sia esigente, ma il film fa effettivamente abbastanza schifo sefz

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23 ore fa, Loz ha scritto:

Butto lì 2-3 cose sugli attori

Adoro Steve Carell, da fan di The Office. Ma la sua evoluzione un attore drammatico onestamente non funziona. Non ho ancora visto Vice, spero di farlo la prossima settimana, ma altre interpretazioni non mi hanno convinto. Ottimo in Foxcatcher, ma quanto è stato “mascherato dalla maschera”? Terribile il film sui veterani di guerra con Cranston, scialbo nel film di Allen (Café Society). Perfetto nelle commedie semi-demenziali, in cui la sua espressione, dal crudele al dolce, può emergere.

Adam Driver non è più in rampa di lancio da un quinquennio ormai. È un attore straripante. Da solo ha dato un senso a una saga che ha sempre sofferto la tara di attori mediocri...e l’ha fatto con una maschera addosso! Ogni film che ha fatto è reso un capolavoro da lui, anche film minori come Paterson, piccoli capolavori come Frances Ha o What if (va beh, capolavoro è eccessivo).
La truffa dei Logan è perfetto, per quello che deve essere.

Ça va sans dire che vedere un suo film (meglio: ogni film) doppiato è un insulto. La voce è una parte essenziale della sua recitazione. Nei Logan sia lui che gli altri fanno un lavoro pazzesco con la cadenza midwest.

Driver, con Tom Hardy, sono le colonne della recitazione maschile di oggi.

opinioni chiaramente

io tra i due citati, metto parecchi gradini sopra fastbender, ma di brutto eh...e poi ho un debole per goosling, come te adoro Hardy ma Driver imho ne deve mangiare ancora per arrivare a quel livello, ancora giovanissimo

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opinioni chiaramente
io tra i due citati, metto parecchi gradini sopra fastbender, ma di brutto eh...e poi ho un debole per goosling, come te adoro Hardy ma Driver imho ne deve mangiare ancora per arrivare a quel livello, ancora giovanissimo


Chiaramente opinioni, le mie!

Fassbender per me troppo “oltre”.
Ti aspetti qualcosa di violentissimo o completamente folle ad ogni inquadratura
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20 ore fa, Andrej Rublëv ha scritto:

Un po' in ritardo le visioni del mese di dicembre

 

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Amores perros - 2000 - Alejandro González Iñárritu

 


Burning - 2018 - Lee Chang-dong

George Harrison: Living in the Material World - 2011 - Martin Scorsese

Io sono un autarchico - 1976 - Nanni Moretti

Ocean's Eleven - 2001 - Steven Soderbergh

Lo specchio - 1997 - Jafar Panahi

Vanilla Sky - 2001 - Cameron Crowe
 

 

Amores perros, debutto di Iñárritu, è l'intreccio di tre storie che si sviluppano in Città del Messico. Si intrecciano anche tre classi sociali: la povertà che porta alla criminalità, l'alta borghesia e i paria della società. Vengono usate queste storie per una rappresentazione universale dell'umanità, tema che Iñárritu riprende successivamente in Babel e forse lo sviluppa in maniera migliore. Il contrasto tra bellezza e violenza presente verrà poi riproposto in Biutiful, risultando quindi forse un'insoddisfazione per lo stesso Iñárritu che cercherà di esprimersi nuovamente sul tema.

Burning, film coreano di Lee Chang-dong, tratto da un racconto breve di Murakami. Di Lee Chang-dong ne parlai circa due anni fa (come passa il tempo) qui. Per me il suo debutto Peppermint Candy è uno dei film migliori non solo dell'industria coreana in sé, ma della cinematografia in generale, un melodramma fortissimo con tinte storiche. Il nuovo Burning, con tra gli attori Steven Yeun (già visto quest'anno in Sorry to Bother You), segue gli avvenimenti del giovane Lee Jong-su ritornato dal servizio di leva e l'incontro con una vecchia compagna di classe. Nonostante possa sembrare dalla trama un'opera con un'aria leggera, in realtà Burning è una affilatissima analisi della Corea moderna, con il contrasto tra la Corea rurale e quella metropolitana di Seoul, ma anche un contrasto tra due uomini diversi. In mezzo all'opera anche qualche vena thriller che i coreani come al solito sono maestri nel gestire. 

George Harrison: Living in the Material World, documentario di Scorsese sulla vita del terzo Beatles, indubbiamente affascinante per chi è un fan del gruppo, rivisitando l'intera vita di Hazza con un occhio particolare al periodo beatlesiano e alla successiva svolta spirituale. La mano del regista italoamericano non si vede per nulla, facendola quasi diventare un'opera che avrebbe potuto firmare qualsiasi regista.

La prima commedia di Moretti, Io sono un autarchico, è ancora acerba e si vede non solo dai mezzi tecnici scadenti, ma anche da una narrazione che non riesce a reggere tutti i 90 minuti del film e delle tematiche che sicuramente verranno sviluppate meglio in uno dei suoi capolavori Ecce bombo. Non mancano i colpi di genio però, come la scena dove gli esce la bile alla bocca parlando della Wertmuller.

 

Dalle stelle alle stalle: Ocean's Eleven è un ottimo film: dinamico, divertente e fumettoso, eccellente nella sua eccessività, d'altronde quando riunisci Clooney, Pitt, Damon e Andy Garcia, non fare un buon film sarebbe quasi impossibile. Stona soltanto che la pupa contesa sia Julia Roberts che per me ha sempre esercitato lo stesso fascino di un comodino. Vanilla Sky è invece orrendo, pacchiano, kitsch, con un Tom Cruise pessimo e Penélope Cruz che gli fa compagnia, una storia senza senso che non suscita né interesse né emoziona, un'estetica da videoclip. Il povero Kurt Russell sembra il mio professore di educazione fisica al liceo più che un personaggio di un film.

 

Per finire Lo specchio, non del mio amato Tarkovskij ma di Panahi, un esperimento cinematografico che descriverlo nel dettaglio rovinerebbe la visione, con al centro una bambina impegnata a tornare a casa. Il rimando a Close-up di Kiarostami è immediato, e forse rende quest'opera superflua quando esiste appunto il capolavoro di Kiarostami.

Oceans eleven action commedy che funziona per forza bene

ma Vanilla Sky amico mio noooo, non me lo puoi uccidere in questa maniera ahah

colonna sonora da top film mondiale, storia assurda senza senso che pero' ha un senso, un po' direi a mo' di astrattismo, cruise come sempre ottimo...io lo vidi all'uscita parecchi anni fa' e ne rimasi affascinato, per me e' un piccolo capolavoro dei poveri pazzi come me ahah

1 minuto fa, Loz ha scritto:

 


Chiaramente opinioni, le mie!

Fassbender per me troppo “oltre”.
Ti aspetti qualcosa di violentissimo o completamente folle ad ogni inquadratura

io lo vedo perfetto sempre in tutti i ruoli tranne che il comico, sarebbe come depotenziarlo/denigrarlo tanto il suo stile, per me sarebbe lo 007 perfetto ahah

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In Frances Ha Adam non migliora la pellicola, tutto merito di Greta Gerwing. Resta un ottimo attore, ma per me lo si sta sopravvalutando. Il nuovo Star wars resta robetta, ma devo ancora vederlo in molte altre vesti.

Fassbender invece è spettacolare in tutti i ruoli. Potrebbe fare anche qualche comedy, ma non quelle demenziali. Qualche dramedy o film satirico. .uhm

 

Ho rivalutato James Franco. Non male, lo sto apprezzando di più dopo aver visto The disaster artist.

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16 minuti fa, L.O.V.E. ha scritto:

In Frances Ha Adam non migliora la pellicola, tutto merito di Greta Gerwing. Resta un ottimo attore, ma per me lo si sta sopravvalutando. Il nuovo Star wars resta robetta, ma devo ancora vederlo in molte altre vesti.

Fassbender invece è spettacolare in tutti i ruoli. Potrebbe fare anche qualche comedy, ma non quelle demenziali. Qualche dramedy o film satirico. .uhm

 

Ho rivalutato James Franco. Non male, lo sto apprezzando di più dopo aver visto The disaster artist.

Ma infatti non si deve di certo prendere in considerazione per la parte in Star Wars.

Ma per tutte le altre...soprattutto, per me, Paterson e L'uomo che uccise Don Chisciotte ma in generale il periodo degli ultimi 2-3 anni.

Non ci sono molti attori come lui della sua età...non è un caso che in questo periodo sia scelto da molti tra i migliori cineasti del cinema autoriale.

Anche se nessuno dice che sia il migliore, ci mancherebbe.

Frances Ha è di un'era fa, comunque.

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11 minuti fa, Rhyme ha scritto:

Ma infatti non si deve di certo prendere in considerazione per la parte in Star Wars.

Ma per tutte le altre...soprattutto, per me, Paterson e L'uomo che uccise Don Chisciotte ma in generale il periodo degli ultimi 2-3 anni.

Non ci sono molti attori come lui della sua età...non è un caso che in questo periodo sia scelto da molti tra i migliori cineasti del cinema autoriale.

Anche se nessuno dice che sia il migliore, ci mancherebbe.

Frances Ha è di un'era fa, comunque.

Era per dire che non concordo con il fatto che abbia migliorato quei film. 

Devo ancora vederlo L'uomo che uccise Don Chisciotte. 

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6 ore fa, Rhyme ha scritto:

Ma infatti non si deve di certo prendere in considerazione per la parte in Star Wars.

Ma per tutte le altre...soprattutto, per me, Paterson e L'uomo che uccise Don Chisciotte ma in generale il periodo degli ultimi 2-3 anni.

Non ci sono molti attori come lui della sua età...non è un caso che in questo periodo sia scelto da molti tra i migliori cineasti del cinema autoriale.

Anche se nessuno dice che sia il migliore, ci mancherebbe.

Frances Ha è di un'era fa, comunque.

E invece bisogna prenderlo in considerazione anche per quella parte, soprattutto ep. VIII, dopo averlo visto più di una volta (che poi i due nuovi film di SW piacciano o meno questo è un altro discorso, a me personalmente si, soprattutto appunto VIII), a mio parere. La vera bravura di un attore sta nella sua capacità di saper interpretare ruoli completamente differenti, e il ruolo proprio di Kylo Ren è tutt'altro che facile, proprio dal punto di vista della personalità e psicologia del personaggio sempre in contrasto. E credo che l'abbia ulteriormente fatto crescere, ma è un attore tutt'ora in crescita, e questo dimostra tutto il suo talento.

Detto questo le sue migliori interpretazioni probabilmente son quelle di Don Chisciotte e Blackkklansman, ma è anche vero che lì ho più freschi..

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4 minuti fa, Smartengine ha scritto:

E invece bisogna prenderlo in considerazione anche per quella parte, soprattutto ep. VIII, dopo averlo visto più di una volta (che poi i due nuovi film di SW piacciano o meno questo è un altro discorso, a me personalmente si, soprattutto appunto VIII), a mio parere. La vera bravura di un attore sta nella sua capacità di saper interpretare ruoli completamente differenti, e il ruolo proprio di Kylo Ren è tutt'altro che facile, proprio dal punto di vista della personalità e psicologia del personaggio sempre in contrasto. E credo che l'abbia ulteriormente fatto crescere, ma è un attore tutt'ora in crescita, e questo dimostra tutto il suo talento.

Detto questo le sue migliori interpretazioni probabilmente son quelle di Don Chisciotte e Blackkklansman, ma è anche vero che lì ho più freschi..

Personalmente non prendo molto in considerazione quei ruoli perché ritengo quei film poco più che mediocri...e si ripercuote sia in senso generico che nel suo personaggio nello specifico.

Ma al di là del giudizio sul film in sè, ritengo più opportuno prendere in considerazione una tipologia differente di film per valutare la caratura di un attore...sia come canoni espressivi che come finalità filmica.

Poi certo, anche lì lui personalmente non ha sfigurato (soprattutto nel secondo, esatto) e senza dubbio sono tutte esperienze che lo hanno formato e aiutato a migliorare.

 

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6 ore fa, L.O.V.E. ha scritto:

Era per dire che non concordo con il fatto che abbia migliorato quei film. 

Devo ancora vederlo L'uomo che uccise Don Chisciotte. 

ma le indiagini spono ancora in corso?

non perche' ero affezionato a Qujotte e voglio sapere chi e' il colpevole ahah

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Adesso, L.O.V.E. ha scritto:

Non lo hanno ucciso. Ci avvertì tempo fa. 😌

meno male dai, anche se non passa piu' spesso almeno sappiamo che sta bene ahah

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Il 15/1/2019 Alle 11:19, Ronnie O'Sullivan ha scritto:

Venerdì scorso ho rivisto Collateral coi pargoli; thrillerone, filmone; uno dei più begli action movies degli anni duemila, a mio parere.

Strepitosa l'interconnessione psicologica tra i due protagonisti. Il pavido Max che trova il coraggio di vivere, paradossalmente, dal nichilismo di Vincent. Gran film di Mann. 

Bello, la prima volta mi piacque poco, poi col tempo l'ho apprezzato di più. Anche se le scene d'azione sul finale necessitano di una discreta sospensione dell'incredulità .ghgh un po' stile quei thriller che davano il sabato sera su rai 2 sefz 

 

Il 13/1/2019 Alle 20:10, POLARMAN ha scritto:

Suburbicon

Film di Clooney sullo stile Cohen

Nell'insieme l'ho guardato volentieri perche' continuamente spiazzante, non un film da rimembrare ma comunque interessante per i miei gusti, finale stupendo ahah

Visto ieri. Non eccezionale, nè originalissimo, ma si guarda bene, mette a nudo l'ipocrisia delle persone, non annoia e alla fine fa il suo dovere. Più che discreto.

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Ma quanto ci mette a schiattare dopo aver mangiato il panino e bevuto quell'intruglio? Con l'assicuratore ha fatto effetto subito sefz 

 

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Ieri ho visto un ottimo film e non me lo aspettavo

film di piu' di dieci anni fa' e l'ho guardato attratto dalla "copertina" dove c'era Ryan Goosling giovincello

Half Nelson si intitola e l'ho trovato molto piacevole alla visione

Se posso fare un paragone, un Moonlight con contorni differenti e meno soldi per il budjet

Ottimo Goosling (magrissimo, mi ha quasi ricordato il primo Pitt di Thelma e Louise) in un ruolo non facile

Ottimo l'andamento, senza troppo favolismi (gergo appena inventato ahah ), ottimi i soliti paradossi ed un finale imho geniale fatto di contrasti, opposti e finalmente....

Consigliatissimo a tutti voi cineasti, a qualche d'uno potrebbe annoiare, tecnicamente forse non eccelso per via del budjet, ma la sostanza e' tanta

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In questi giorni ho poco tempo per parlare di nuove visioni e anche per le visioni stesse.

Consiglio solo, velocemente, di non andare a vedere "Maria regina di Scozia"...e non è solo un consiglio, è più un avvertimento, diciamo.

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Il 17/1/2019 Alle 19:36, L.O.V.E. ha scritto:

Non lo hanno ucciso. Ci avvertì tempo fa. 😌

Marga ti stra consgilio Half Nelson se non lo hai mai visto, econdo me ti piace...piccola perla l'ho trovata

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SPLIT

Allora, ne ho sentito parlare da voi qui dentro e ricordo la pubblicita' al cinema, ma non so' perche' non mi ispirava

Poi giorni orsono, sentendo parlare di GLASS, sento un nome a me noto, ossia SHYAMALAM e divento ricettivo in quanto era un suo fan all'epoca del Sesto Senso e Umbreakble (forse il primo vero film sui supereroi ma scoprendolo solo alla fine del film, stupendo il ricordo che ho)

Scopro quindi che anche SPLIT e' di Shyamalam ed a questo punto approfondendo il discorso sento parlare di trilogia (Umbreackble - Splitt - Glass) e come una fionda la sera metto Split

Torniamo al film: durante il film percepisco una colonna sonora ed un ambientazione simile a quelle di Umbreackble e mi garba, la storia originale scorre via bene e la teoria che regge tutto mi affascina poi arrivo al finale e rullo di tamburi, in un bar parlano dell'accaduto e fanno riferimento ad un avvenimento di  anni prima con un altro psico killer che veniva chiamato con un nome buffo ed a quel punto appare Bruce Willis chiarisce che il nome era l'Uomo di Cristallo

Ora prendetemi per scemo, non ho trovato Split eccezionale quanto Umbreackble (eccezionale per l'epoca, sia chiaro, contestualiziamo sepre) ma il solo fatto che riprende questo vecchio filo, mi ha eccitato non poco

Ora chiaramente voglio vedere GLASS, ma son sicuro che sara' per me una delusione, fisso

 

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Il 10/1/2019 Alle 01:00, perfX ha scritto:

Europa 51, Roberto Rossellini, 1952.

 

Irene, cioè Ingrid Bergman, appartiene a una famiglia agiata della Roma post bellica, una città in cui confluiscono idee comuniste, pacifiste assieme alla povertà e all'indifferenza. Irene non è esente dall'indifferenza, ma a farle cambiare atteggiamento è la tragedia, ammantata da un dubbio pressoché insostenibile, che coinvolgerà suo figlio. Si apre così per Irene la porta di casa e inizia il nostro viaggio con lei nella realtà più scarnificata della capitale. Ingrid sembra accogliere le idee politiche che vogliono il paradiso in terra fatto dagli uomini per gli uomini, idee progressiste e comuniste; ma proseguendo nel film capiamo che a muoverla non è una convinzione politica, potrebbe forse essere una fede.

 

Una fede come quella raccontataci sempre da Rossellini nel 1950 con Francesco giullare di Dio. Il film in questione, ispirato dai Fioretti di san Francesco, racconta per quadri gli avvenimenti del frate e della suo compagnia che si andava formando. Tutti in qualche modo distanti e inspiegabili dalle logiche del mondo, vivono affidati totalmente alla provvidenza. E Rossellini, come unico orpello a questa vita, a questa storia che già di per sé ha da narrare, si rende servo del racconto andando a impreziosirlo costruendo scene splendide, come quella dell'incontro in una notte stellata tra Francesco e un lebbroso, oppure non limitando il comico che può di certo esser presente nelle vita di tutti, compresa quella di dei frati, lasciando ricchi spazi ai racconti anche più frivoli ma significativi della cesura nel vivere secondo la regola di Francesco o secondo la società.

 

Ma non è questa, non è la fede in Dio, a spingere Irene a fare ciò che fa per gli altri. Il motivo ce lo viene detto nel finale, dove il film, che fin a quel punto aveva giusto regalato qualche ottimo squarcio di regia su vasti interni o panorami urbani, oltre alla tragedia detta in apertura, nel finale ecco che erutta, complice una regia ancor più capace nella sua apparente semplicità, tutta la drammaticità dei sentimenti e del vivere di Irene, della sua assoluta inclassificabilità in ogni forma di sistema costituito, di ogni sua distanza dal pensiero sia cattolico che comunista che la costringeranno a una fine speculare a quella di Francesco d'Assisi. Se lui compie la sua missione andando nel mondo a predicare, un mondo che non è certo pronto ad accoglierlo ma che lui combatte avendo dalla sua un alleato più grande; per lei, altrettanto distante da tutti, nel suo mondo, nel mondo di oggi, non può essere una santa ma soltanto una reclusa, una da dimenticare affinché nessuno prenda il suo esempio. In un mondo che sembrava aperto a tutte le nuove idee e possibilità dopo la guerra, Ingrid è paria, per lei non c'è posto. Troppo pericolosa. 

 

Il mulino del Po, di Alberto Lattuada, 1949.

 

Nell'Italia post unitaria vediamo la vita di una famiglia di mugnai che abitano nel loro mulino sul Po. Vita agreste, una figlia promessa sposa, e una serie di difficoltà sempre maggiori dovute da due movimenti contrari ma convergenti nell'abbattersi sul mulino. Parlo della lega dei lavoratori, una lega nata sulle idee socialiste che tanto stavano prendendo piede nell'europa di allora, che spingeva per la collettivizzazione delle terre e quindi anche contro mugnai che detenevano i mezzi di produzione. Dall'altra lo stato unitario, visto come entità distante e avversa, è il principale nemico per via delle tasse sul macinato e le eventuali sanzioni in caso di elusione. 

 

In breve, le cose per il mulino vanno male, come allegoria di ciò abbiamo una scena riccamente costruita di un incendio notturno che porterà alla distruzione del mulino e da questo alla sfaldarsi della famiglia. Il film, sempre capace nel raccontare le istanze e i sentimenti del popolo e delle altri parti, trova il suo punto d'onore nel finale, per niente accomodante, dove si trovano nella regia come i germogli di qualche celebre film che farà la storia del cinema qualche anno più in là. Ma è soltanto un'impressione, ed il finale ha comunque valore di per sé. 

Sceneggiatura di Fellini e Pinelli, ma se non lo avessi letto nei titoli non l'avrei mai detto.

 

Sarà che avevo un po' di fretta mentre lo guardavo, ma 15-20 minuti in meno non avrebbero fatto male.

 

Roma città aperta, R. Rossellini, 1945.

 

Uno di quei titoli che non si può non vedere e elogiare per la loro grandiosità.

E' forse I promessi sposi del cinema italiano, in questo sua racconto corale di un resistenza morale - esemplare una delle battute finali: non è difficile morire bene, difficile è vivere bene - prima che politica nell'Italia occupata e ancora incerta sulla sua fine; dà la possibilità di scorgere una propria via a tutta il cinema italiano che necessitava, al pari della popolazione, il modo per ripartire. Una via che forse ha perduto, ma è meglio non andare oltre. In ogni caso, il film, complici due attori come la Magnani e Fabrizi a dir poco dominanti nei propri ruoli, restituisce più che una memoria una panoramica al pubblico di allora. E' quasi un cinegiornale per lo spettatore di allora, ed è forse questa sua capacità di sintetizzare il reale in una storia così capace di emozionare a rendere il film ancor oggi di indiscutibile presa.

 

Double vies (Il gioco delle coppie), di Olivier Assays, 2018.

 

E' il racconto del ceto intellettuale, più o meno benestante, della Francia odierna. Coppie di mezza età con lavori che gravitano sopratutto attorno all'editoria, chi è scrittore, chi è editore, chi non legge più, e chi invece lo fa solo su tablet…

L'attenzione del film è tutta posta sullo stato delle vite di oggi, così apparentemente vicine a una svolta, facilmente dettata e legata alla tecnologia e all'informatica, ma che, come nella battuta citata de Il Gattopardo: sembra che tutto debba cambiare perché nulla cambi. 

 

Il film, che all'inizio, nei suoi serrati dialoghi sulla condizione della vita di oggi, mi ricordava quasi uno dei Moretti prima maniera, è un abile lavoro di scrittura. Per il resto, mi sembra non ci sia molto da notare. In questa scrittura il film sembra però sempre apparecchiare la tavola in attesa di una portata che non arriva mai. Ma se appare per questo deludente, è forse in questo suo tratto, nel suo sottrarsi, che si trova il valore dell'opera. Come se questo mai compiersi, in questo pervadere dell'implicito che mai si palesa, vi sia lo stesso destino delle vite che racconta il film. Certo il film appare più di facile godimento se si ha un minimo interesse per la sfera libraria, ma lo prenderei in ogni caso in considerazione.

Il film di Lattuada non l'ho visto. I film di Rossellini, vabbè, due capolavori. Europa '51 secondo me una delle migliori interpretazioni della Bergman, in un ruolo coraggiosissimo. E un film coraggiosissimo tout court, parlare del 

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suicidio di un bambino

in quell'epoca credo fosse quasi impensabile.

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Il 20/1/2019 Alle 12:55, Rhyme ha scritto:

In questi giorni ho poco tempo per parlare di nuove visioni e anche per le visioni stesse.

Consiglio solo, velocemente, di non andare a vedere "Maria regina di Scozia"...e non è solo un consiglio, è più un avvertimento, diciamo.

Ahimè mi è toccato

Una delle peggiori schifezze politically correct della storia

Certe volte devo essere cattivo e dire no sefz

 

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Un po' di tempo l'ho trovato, sennò ci perdo davvero la testa :d

Molto brevemente, nell'ultimo periodo mi è capitato di vedere per la prima volta capolavori come "Tempi moderni" o il meraviglioso "The Elephant Man".

O anche film come "Batman" e "Batman - Il ritorno" di Tim Burton...questi li ho visti sia per curiosità, visto che non li avevo ancora visti e che apprezzo Tim Burton, sia perché sono legati a concetti sul cinema e le arti, soprattutto la pittura, temi che sto studiando, ed effettivamente da quel punto di vista sono parecchio interessanti.

Ma questi li conoscete già e non ho la concetrazione sufficiente per parlarne sefz

 

Ieri sera invece ho visto al cinema "Old Man & the Gun" di David Lowery, l'ultimo film con Robert Redford.

E' un film a cui non davo due lire, poi ho letto che era di David Lowery e mi sono incuriosito maggiormente, visto che è l'autore di quella piccola/grande (/grandissima) meraviglia che è "A ghost story" del 2017.

Così sono andato a vederlo.

Il film, ambientato negli anni '80, narra la semplice storia di una banda di tre rapinatori settantenni e del poliziotto che da loro la caccia...storia vera.

Classico tipo di racconto visto molte volte ma con taglio e sfumature non banali.

E' improntato soprattutto sul maggior rapinatore, Redford, con anni e anni di rapine alle spalle; rapinatore galantuomo che incontra e si innamora di una donna (Sissy Spacek).

E' un film molto dolce, malinconico, tenero, ironico, di un'ironia sottile, un'ironia sulla vecchiaia ma anche sulla natura dei personaggi e sulla natura del racconto stessa.

Ha una natura metacinematografica perché non solo fa riferimento al passato di Robert Redford (con fotografie e vecchi ruoli da lui interpretati) ma è come se facesse riferimento anche al cinema del passato, ad un determinato genere, ad una determinata tipologia di personaggio che invecchia inesorabilmente ma che si mantiene impressa, si mantiene "col sorriso", continua a replicarsi in attesa della fine che può giungere oppure no.

E in questo scenario, fantasticando parecchio, è come se il detective fosse un cinema più contemporaneo, un cinema che si sente vecchio già a quarant'anni, un cinema stanco, svogliato e che si trascina dietro l'eroe di altri tempi molto più anziano ma che si diverte, che si entusiasma.

Posso anche aver esagerato, ma i personaggi mi sono piaciuti moltissimo e mi hanno stimolato molte riflessioni.

La regia e il montaggio procedono sempre puntuali, è come se seguissero uno spartito e in alcune scene la loro organizzazione e struttura segue sul serio la colonna sonora. Mi ha colpito moltissimo, si raggiunge quasi un lirismo, un'attenzione artistica da direttore d'orchestra.

Lowery usa molti primissimi piani, sfociando quasi nel dettaglio, per definire al meglio i personaggi, per cogliere non solo i loro volti e i loro sguardi ma anche ciò che c'è dietro.

Sono presenti anche un paio di scelte di fotografia interessanti e generalmente viene usata l'immagine "sgranata" per conferire l'idea del passato.

Molto bella la colonna sonora con composizioni e musiche jazz, smooth jazz, blues, ritmiche.

E' presente anche una citazione di "Carrie, lo sguardo di Satana", con il volto di Sissy Spacek che viene illuminato di rosso dai fari della macchina.

L'unico difetto è nel finale che ho trovato eccessivamente spezzettato, con l'illusione di un succedersi di 3-4 finali.

Complessivamente è un film semplice, niente di clamoroso, dalla trama già vista ma realizzato molto bene e con un taglio singolare, un film che mi è entrato nel cuore.

Spero che David Lowery possa emergere perché se lo merita sul serio.

58 minuti fa, alexanderv1986 ha scritto:

Ahimè mi è toccato

Una delle peggiori schifezze politically correct della storia

Certe volte devo essere cattivo e dire no sefz

 

Eh, io avevo avvertito :d

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Il 22 gennaio 2019 Alle 00:16, Juve stile di vita ha scritto:

Il film di Lattuada non l'ho visto. I film di Rossellini, vabbè, due capolavori. Europa '51 secondo me una delle migliori interpretazioni della Bergman, in un ruolo coraggiosissimo. E un film coraggiosissimo tout court, parlare del 

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suicidio di un bambino

in quell'epoca credo fosse quasi impensabile.

Non certo facile per quel tempo, forse anche per l'oggi, però nel senso che magari lo si girerebbe senza troppi problemi ma al contempo privandolo della carica emozionale che inevitabilmente dovrebbe provocare un simile fatto.

 

Ma per la verità non inedita, lo avevo fatto già Rossellini stesso, nel 1948, con Germania anno zero. Il film, strutturalmente basato sugli assiomi del neorealismo, tanto che potrebbe esserne un perfetto manuale, racconta la Berlino post guerra. Totalmente distrutta e affamata, sia la popolazione che la città, ne conosciamo i bassifondi dal punto di vista di un bambino. E' un film che nel suo proseguire diventa sempre più aspro nel racconto, dandoci sempre elementi in più per dubitare di un'uscita dalla situazione in cui si trovano i berlinesi. E, sempre nel proseguire, il film per certi versi si libera dal manierismo neorealista - comunque pregevole -, per donarci un paio di sequenze di un'acuta poeticità, sopratutto nel finale dove si spiega la dedica iniziale del film al figlio di Rossellini morto bambino.

 

Stromboli - Terra di Dio, 1950.

 

E' il primo film girato da Rossellini con la Bergman, e da lì non solo nacque una straordinaria unione artistica ma anche una sentimentale.

La Bergman è una nordeuropea in un campo accoglienza post guerra; là incontra un soldato che decide di sposarla e portarla con se nella sua Stromboli. E lì, nell'isola, iniziano i problemi…

Il film, inframmezzato da bellissime sequenze di racconto della vita dell'isola tra cui una truce e splendida pesca dei tonni, è un grande racconto di quello che potrebbe essere la lotta tra se e il mondo, il voler piegare la realtà al proprio sistema di idee e quindi il non riuscire a vivere lontano dai propri modi. Ma è anche una grande ricerca della Fede, su come sia impossibile ma necessaria accogliere l'idea di Dio, l'affidarsi a quel Dio proprio per via della propria incapacità di fare i conti con un mondo inospitale fino allo sconforto più totale. E per certi versi sono temi che quasi anticipano quelli tipici di Bergman, Ingmar. Un film eccezionale, da vedere e rivedere. Tra l'altro con una Bergman neppure doppiata.

 

Viaggio in Italia, 1954.

 

Coniugi inglesi a Napoli per vendere una villa ereditata, si capisce subito che il rapporto è agli sgoccioli, lei sembra quasi infatuata di un suo ex corteggiatore poeta e già morto, in ogni caso l'opposto del marito. Il film procede bene, seppure un po' schematico e appesantito dalla trama e dai toni letterari dettati dalla sua origine libresca che non riesce a tradire. Pregevole una scena in cui la Bergman entra a far parte di un gruppo di statue e sembra reciti con loro.

Il finale, lontano dal tragico rosseliniano, giustamente fa gridare al miracolo - vedere per capire.

 

Prova d'orchestra, F. Fellini, 1979.

 

Un'orchestra, in un prestigioso e antico oratorio - straordinariamente disegnato nella sua austerità da Dante Ferretti -, viene ripresa dalla televisione che vuole realizzare un documentario sulla musica. Perciò si intervistano i componenti, ognuno legato a suo modo al proprio strumento, e ognuno più pazzo o particolare dell'altro. Tra tutti, ovviamente, spicca il direttore.

 

Il film, piuttosto breve, è girato in tre ambienti, stanze, e il racconto è quello di una giornata di prove. Soltanto che le cose non andranno proprio bene…

Il film, già allora ma anche oggi, è stato letto in relazione al clima politico dell'Italia degli anni '70, e in effetti si fatica a non uscire da una tale lettura. Ma non pensandoci del film resta una riuscita galleria di tipi e maschere che danno vanto alla capacità immaginifica del regista, se ancora servisse. in più, per come è strutturato il finale, il film lascia una plurima scelta di interpretazioni che eleva il film dalla commedia - comunque riuscita - alla riflessione di ampio raggio sulla condizione della società, forse legata ad un eterno ritorno. Non tra i suoi film più celebri, ma da recuperare e vedere con gioia.

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Ieri sera mi sono visto Roma. L'ho fatto al terzo tentativo, reticente per due motivi: 1) un certo pregiudizio negativo sulla moda dei registi messicani, frutto di cattive esperienze al cineforum 25 ed oltre anni fa; 2) il fatto che non ho con lo spagnolo la stessa dimestichezza che con l'inglese, e quindi mi toccava leggere i sottotitoli in italiano. 

 

Premetto che non leggo MAI recensioni sui film prima di vederli, se non qualche spunto di amici di cui mi fido o di voi qui sul forum; non voglio essere condizionato nella visione; forse questo è anche frutto di una certa presunzione e alta considerazione di me stesso, può essere. 

 

L'approccio, come dicevo, è stato reso ancor più difficile nei primi minuti di visione dal dalla lentezza del film, che ha un suo senso, ovviamente, ma che mette a dura prova la mia psiche molto nevrotica. 

 

Malgrado tutto ciò, devo ammettere che alla fine mi è uscito uno spontaneo "grandioso"; ed è quello che penso anche stamattina, a mente fredda; è un film eccezionale, sembra una novella del Verga, la sublimazione del neorealismo italiano che ha fatto la storia del cinema; ma c'è di più; c'è una storia, che sembra semplice, persino banale, e invece racchiude una forza esplosiva, la forza della vita; il modo in cui emerge dal film la figura di Cloe, una persona semplice, è magistrale; Cuàron riesce a farti immergere nella realtà di Città del Messico, della società del tempo, della famiglia, dell'intimo dei protagonisti con delicatezza ma profondità. Un film che, senza voler toccare furbescamente le corde emotive degli spettatori, riesce ad essere commovente perché fa emergere come l'unico propulsore vero della vita è l'amore, quello vero, non il mero sentimentalismo; in questo senso, ancora una volta noi maschietti non ne usciamo benissimo; ma non è scontato femminismo, quello di Cuàron, ma presa di coscienza; io stesso mi sono chiesto cosa ho fatto e cosa sto facendo per le donne della mia vita al termine del film.  

Inutile poi che io mi soffermi sul sonoro, sulle riprese con pochi primi piani, sulla scenografia, sulla fotografia, tutti elementi che sapete cogliere e apprezzare molto meglio di me. 

Capolavoro. 

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Ieri sera, dopo attenta riflessione, ho deciso di far vedere ai pargoli Schindler's List; confesso che è stata la prima volta che l'ho rivisto dalla sua uscita al cinema; all'epoca mi sconvolse letteralmente, mi ci vollero mesi per riprendermi; e non perché non conoscessi la storia del Novecento, anzi, ero un accanito lettore; ma l'onda d'urto emotiva di quel film mi travolse al punto che non fui più in grado di rivederlo. L'ho fatto ieri sera, a 26 anni di distanza, facendomi un po' di violenza, e facendone un po' di più ai miei figli; ma mi pareva giusto che lo vedessero, ora, alla loro età, nell'epoca parossistica in cui vivono, e che lo facessero "accompagnati" dal loro padre; quel film è l'emblema della forza straordinaria del cinema. 

E mi fermo qui; ogni altra parola sarebbe inutile. 

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