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sol invictus

Trenta anni dopo: 9 novembre 1989, cadeva il Muro di Berlino. Riflessioni sulla fine di un'epoca-

Post in rilievo

Il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino e sotto le sue macerie ricoperte di graffiti si chiudeva il Novecento, acutamente definito da Eric Hobsbawm come secolo breve.

Il Muro crollava d'improvviso nella notte, così come nella notte d'improvviso era sorto il 13 agosto 1961, scavando una trincea impenetrabile nel cuore dell'Europa: rappresentazione visuale e corporea, ma primitiva e cementificata, quindi inamovibile, di un concetto che diventava realtà e di una realtà che diventava pietra, sudario, cortina di ferro calata attraverso il continente, dall'Adriatico al Baltico, da Stettino a Trieste.

L'ammonimento di Churchill si faceva materia, monumento di una ideologia che attraverso un mausoleo di cemento celebrava la propria onnipotenza ed allo stesso tempo la propria debolezza, in un paradosso di fragilità direttamente proporzionale all'altezza della barriera ed allo spessore delle sue fondamenta. Era l'idea di ritorno del millenarismo eretico dal sapore faustiano, rimasta nascosta dal 1945 sotto le rovine della cancelleria, aggiornata e rieditata nel confronto bipolare e fatta propria da un sistema-partito che pretendeva a sua volta di esistere in eterno dopo aver cambiato casacca, glorificando il proprio potere con una manifestazione di plastica impotenza.

Era il sigillo di un'epoca calcificata nell'immobilità di Yalta, un fermo immagine che bloccava il tempo e chiudeva lo spazio, separando con una terra di nessuno due universi alieni e contrapposti che comunicavano con i simboli non potendo farlo con le idee, ambedue rassegnati alle regole di un gioco fine a sé stesso che non prevedeva vincitori ma unicamente sconfitti, ed il cui solo obiettivo era lo stallo messicano, l'equilibrio del terrore come alternativa alla reciproca distruzione beffardamente definita MAD, come follia. L'immobilità fatta per durare. O così si credeva.

Ma i monoliti di cemento che componevano il Muro sostenendosi l'uno con l'altro crollarono di schianto come tessere del domino, chiudendo quel secolo breve condensato in 70 anni che aveva visto la luce nelle trincee di fango della Grande Guerra improvvisamente frastornate dal silenzio armistiziale e che adesso si spegneva, in una curiosa giostra di emozioni rovesciate, nell'inaudito fragore della folla tracimata oltre la trincea di pietra della Guerra Fredda.

Travolte dal peso delle proprie contraddizioni le lastre di cemento del Muro, così simili alle lapidi di un cimitero abbandonato, divennero il sepolcro di un mondo e più ancora di una idea del mondo che per 28 anni aveva incarcerato i propri cittadini con la scusa di proteggerli dalla contaminazione occidentale ed allo stesso tempo assediato, con l'incombenza fisica e metafisica di una barriera primordiale, coloro dai quali credeva di difendersi: fisicamente liberi di muoversi, a differenza dei residenti della metà orientale, ma egualmente ad essi intrappolati in un sortilegio e prigionieri di un simbolo.

 

Contemporaneamente bastione e galera, il Muro tratteneva perchè voleva escludere ed escludeva allo scopo di trattenere: di evitare cioè che la DDR si dissanguasse evadendo in massa nell'Ovest, abbandonando così, impudentemente, il socialismo reale intollerabile ai più non solo perchè era reale ma anche perchè era socialista. Occorreva quindi oscurare le luci al neon ammiccanti e lascive della Berlino occidentale che attiravano come falene, distrarre la gente dalle vetrine svergognate che proponevano il superfluo a coloro che mancavano anche del necessario, soffocare l'idea eretica che dall'altra parte potesse esserci di più e di meglio rispetto a quanto previsto dall'ostentata sobrietà socialista, che non voleva ma soprattutto non poteva offrire di più. Occorreva pertanto allontanare l'immagine dell'opulenza, cancellare la possibilità di poterla raggiungere con una sola fermata di metropolitana, rendere colpa ciò che non doveva essere tentazione. Occorreva insomma chiudere il cancello, facendo in modo che il popolo guardasse solo al proprio interno ignorando tutto il resto: e se, come recitava una barzelletta su Honecker in voga nella DDR, non si poteva impedire al sole di transitare verso ovest, bisognava fare in modo che il popolo non lo vedesse allontanarsi dallo zenit di Alexanderplatz, così da convincersi che non potesse farlo.

Il popolo andava modellato a misura di sistema, in modo che fosse indotto a non chiedere nulla più di quanto il sistema offrisse, che si sentisse cioè appagato dal vuoto che aveva attorno e soprattutto intimorito dall'idea di non farselo bastare: andavano quindi bandite le suggestioni, bloccate le vie di fuga, sbarrate le fognature, murate le finestre troppo curiose e tentatrici. E per dissuadere i più ostinati furono arruolati cani da guardia, distesi campi minati, posati cavalli di frisia, posizionate concertine di filo spinato ed erette torri d'osservazione presidate dai Vopos autorizzati a sparare.

Occorreva difendere la DDR dai suoi cittadini ed i cittadini da loro stessi, costruendo attorno ad essi un sudario di pietra in grado di isolarli in una specie di realtà sospesa, con gli spazi delimitati dalle code ai negozi ed i tempi scanditi dai ritmi della Stasi.

Bloccati i corpi, tra il braccio armato del Muro e la mente della polizia segreta, rimanevano gli spiriti da convertire e le teste da rieducare; ma a questo provvedevano gli strumenti persuasivi del regime: la galera per i dissidenti, il confino per gli eretici, la sottrazione dei figli ai nemici dello Stato e i dogmi del partito per tutti, oltre naturalmente alla propaganda, dispensata a dosi massicce ed utilizzata come narcotico del pensiero, assieme a qualche privilegio elargito a quei meritevoli che avevano dato lustro al sistema e benemerenze allo Stato, come le atlete e le nuotatrici olimpiche, scintillanti di medaglie e dopate di testosterone: riconoscimenti fasulli per un regime di plastica che si nutriva di simboli mancando di sostanza che non fosse coercizione.

Ma la bolla di cemento che avvolgeva le vite dei cittadini e proteggeva il vuoto di un sistema illuso dalla propria immagine, era vulnerabile in ragione della sua stessa titanica potenza, in quanto edificata sulle fondamenta marce di un regime in apnea, avulso dalla realtà ed a sua volta rinchiuso, muraglia entro muraglia, nella privilegiata autoclausura di Wandlitz, la cittadella protetta della nomenklatura, preclusa ai comuni mortali.

Da questo osservatorio, vigilante ma cieco, il regime assistette attonito al crollo di sé stesso, allo sgocciolio che diventava onda ed all'onda che si faceva piena.

Come in una fiaba dal finale non ancora scritto, ad un certo punto il sortilegio collettivo venne meno, la bolla si ruppe e l'irrealtà cedette il passo alla realtà veicolata dai canali occidentali captati dalle antenne orientate di nascosto, che parlavano dei varchi in Ungheria, di Solidarnòsc a Danzica, addirittura di riforme a Mosca.

I sussurri si fecero voci e le voci si radunarono in folla, accalcata davanti ai varchi presidiati da Vopos lasciati senza ordini: sommo e definitivo paradosso di un regime che degli ordini - e dell'ordine - aveva fatto la sua cinghia di trasmissione.

Squillarono i telefoni nei palazzi del potere, in cerca di risposte, ma nessuno volle alzare la cornetta non sapendo cosa dire, fino a quando qualcuno, uno spaesato funzionario di nome Günther Schabowski, divenuto chissà come portavoce del partito, pressato dai giornalisti occidentali su quando fosse prevista l'entrata in vigore delle nuove regole di espatrio in discussione al Politburo ma non ancora approvate formalmente, disse le due fatali parole che avrebbero cambiato il corso della Storia: sofort, unverzüglich, subito, immediatamente. Parole come pietre, che fecero collassare le pietre del Muro.

 

Caddero i monoliti, si alzarono le sbarre, la folla passò oltre come un fiume inarrestabile.

Sullo sfondo rimanevano le 140 lapidi di coloro che avevano tentato, durante 28 anni, di attraversare il Muro.

Due anni prima, il 6 giugno 1987, nella Berlino occidentale a pochi passi dal Muro, David Bowie cantava Heroes. We can be heroes, just for one day.

 


Fatalities in 1961

Ida Siekmann - Günter Litfin - Roland Hoff - Rudolf Urban - Olga Segler - Bernd
Lünser - Udo Düllick - Werner Probst - Lothar Lehmann - Dieter Wohlfahrt - Ingo Krüger - Georg Feldhahn

Fatalities in 1962
Dorit Schmiel - Heinz Jercha - Philipp Held - Klaus Brueske - Peter Böhme - Horst Frank - Lutz Haberlandt - Axel Hannemann - Erna Kelm - Wolfgang Glöde - Siegfried Noffke - Peter Fechter - Hans-Dieter Wesa - Ernst Mundt - Anton Walzer - Horst Plischke - Otfried Reck - Günter Wiedenhöft

Fatalities in 1963
Hans Räwel - Horst Kutscher - Peter Kreitlow - Wolf-Olaf Muszynski - Peter Mädler - Klaus Schröter - Dietmar Schulz - Dieter Berger - Paul Schultz

Fatalities in 1964
Walter Hayn - Adolf Philipp - Walter Heike - Norbert Wolscht - Rainer Gneiser - Hildegard Trabant - Wernhard Mispelhorn - Hans-Joachim Wolf - Joachim Mehr

Fatalities in 1965
Unidentified Fugitive - Christian Buttkus - Ulrich Krzemien - Peter Hauptmann - Hermann Döbler - Klaus Kratzel - Klaus Garten - Walter Kittel - Heinz Cyrus - Heinz Sokolowski - Erich Kühn - Heinz Schöneberger

Fatalities in 1966
Dieter Brandes - Willi Block - Jörg Hartmann - Lothar Schleusener - Willi Marzahn - Eberhard Schulz - Michael Kollender - Paul Stretz - Eduard Wroblewski - Heinz
Schmidt - Andreas Senk - Karl-Heinz Kube

Fatalities in 1967
Max Sahmland - Franciszek Piesik

Fatalities in 1968
Elke Weckeiser - Dieter Weckeiser - Herbert Mende - Bernd Lehmann - Siegfried
Krug - Horst Körner

Fatalities in 1969
Johannes Lange - Klaus-Jürgen Kluge - Leo Lis

Fatalities in 1970
Christel Wehage - Eckhard Wehage - Heinz Müller - Willi Born - Friedhelm Ehrlich - Gerald Thiem - Helmut Kliem - Hans Joachim Zock - Christian Peter Friese

Fatalities in 1971
Rolf-Dieter Kabelitz - Wolfgang Hoffmann - Werner Kühl - Dieter Beilig

Fatalities in 1972
Horst Kullack - Manfred Weylandt - Klaus Schulze - Cengaver Katranci

Fatalities in 1973
Holger H. - Volker Frommann - Horst Einsiedel - Manfred Gertzki - Siegfried Kroboth

Fatalities in 1974
Burkhard Niering - Czeslaw Jan Kukuczka - Johannes Sprenger - Giuseppe Savoca

Fatalities in 1975
Herbert Halli - Cetin Mert - Herbert Kiebler - Lothar Hennig

Fatalities in 1977
Dietmar Schwietzer - Henri Weise

Fatalities in 1979
Vladimir Ivanovich Odintsov

Fatalities in 1980
Marienetta Jirkowski

Fatalities in 1981
Hans-Peter Grohganz - Dr. Johannes Muschol - Hans-Jürgen Starrost -
Thomas Taubmann

Fatalities in 1982
Lothar Fritz Freie

Fatalities in 1983
Silvio Proksch

Fatalities in 1984
Michael Schmidt

Fatalities in 1986
Rainer Liebeke - René Groß - Manfred Mäder - Michael Bittner

Fatalities in 1987
Lutz Schmidt

Fatalities in 1989
Ingolf Diederichs - Chris Gueffroy - Winfried Freudenberg

 

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Il comunismo, pur con tutte le ignominie che lo hanno accompagnato, aveva comunque la funzione di tenere "sotto controllo" un sacco di persone (loro malgrado). Basti vedere cosa è successo alla morte di Tito. Per noi occidentali, alla fine e considerando il nostro stile di vita, non è cambiato poi molto. Ma per gli europei dell'est...

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2 ore fa, Nate Fisher ha scritto:

Si stava meglio quando si stava peggio .ok

 

 

E non aggiungo altro per evitare inutili polemiche.

Bè per certi versi un po' di "nostalgia" per quel periodo ce l'ho pure io. Diciamo che sono venute a mancare delle certezze ed è subentrata molta confusione. Ma non tornerei comunque indietro per rispetto dei popoli dell'Europa orientale. Sono stati comunque anni memorabili.

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36 minuti fa, Mormegil ha scritto:

L'hai scritto te?

Si, tra ieri pom e stamattina.

Sono l'unico responsabile. Quindi le critiche vanno indirizzate tutte e solo a me...:d

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Non aggiungo altro all'ottimo contributo di sol ma vorrei condividere solo un mio piccolo pensiero. La caduta del Muro è tuttora uno dei ricordi più vividi che ho. Sono passati trent'anni ma gli avvenimenti di quei giorni, le dirette in televisione, l'atmosfera che si respirava mi fecero capire chiaramente che stavo assistendo a un qualcosa che avrebbe cambiato il corso della storia. Si annunciava una nuova era e noi eravamo lì a testimoniarlo.

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Premesso che non sono un nostalgico e che penso che la vita sotto i regimi comunisti fosse un incubo per chi non si riconosceva nell'ideologia di stato, una vera e propria vita limitata non solo socialmente ma anche nella sfera privata (basta leggere alcuni romanzi di Kundera per capirlo), mi chiedo come vivano questo anniversario coloro che invece credevano in quel sistema. Sarà che ho trovato molto bello il film "Good bye Lenin" ma lo reputavo una finzione cinematografica, salvo poi scoprire che i nostalgici del comunismo ci sono davvero.

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3 ore fa, Granpasso ha scritto:

Non aggiungo altro all'ottimo contributo di sol ma vorrei condividere solo un mio piccolo pensiero. La caduta del Muro è tuttora uno dei ricordi più vividi che ho. Sono passati trent'anni ma gli avvenimenti di quei giorni, le dirette in televisione, l'atmosfera che si respirava mi fecero capire chiaramente che stavo assistendo a un qualcosa che avrebbe cambiato il corso della storia. Si annunciava una nuova era e noi eravamo lì a testimoniarlo.

Esatto. Furono giorni veramente sconvolgenti, per noi che eravamo abituati a quella specie di routine che il confronto est/ovest imponeva oramai da 40 anni.

Credo che solo l'11/9, almeno per quanto mi riguarda, abbia avuto un impatto simile alla caduta del Muro: anche in quel caso si percepì chiaramente che qualcosa di enorme stesse accadendo.

 

1 ora fa, sergio ha scritto:

Premesso che non sono un nostalgico e che penso che la vita sotto i regimi comunisti fosse un incubo per chi non si riconosceva nell'ideologia di stato, una vera e propria vita limitata non solo socialmente ma anche nella sfera privata (basta leggere alcuni romanzi di Kundera per capirlo), mi chiedo come vivano questo anniversario coloro che invece credevano in quel sistema. Sarà che ho trovato molto bello il film "Good bye Lenin" ma lo reputavo una finzione cinematografica, salvo poi scoprire che i nostalgici del comunismo ci sono davvero.

Domanda interessante. La "nostalgia" della DDR  esiste e la chiamano Ostalgie.

Non credo si tratti di un vero e proprio rimpianto per il regime in sè, quanto piuttosto per quella specie di comoda routine pianificata che il regime offriva a chi rigava dritto: un piccolo appartamento a canone irrisorio se non gratuito arredato con mobili di plastica in uno degli enormi casermoni grigi della semiperiferia, un lavoro per nulla gratificante e sempre uguale ma garantito, una vacanza sul Baltico, campi estivi per i figli, una macchina di cartone dopo 10 anni di attesa, la possibilità di assistere a qualche triste spettacolo teatrale o la distrazione fastosa delle cermonie pubbliche (1° maggio, il 7 ottobre anniversario della DDR...) scenograficamente imponenti e maniacalmente liturgiche, nonchè la parvenza d'ordine imposta dal regime: tutte sicurezze andate in qualche modo perdute con il ricongiungimento all'occidente. E nonostante quasi tutto fosse sovrastruttura artificiale, come una specie di lugubre casa delle bambole, l'immaginario collettivo ha comunque tramandato  l'idea amplificata di un sistema sociale di cui si possa avere nostalgia.

 

C'è una frase significativa in una scena finale de Le vite degli altri, che  un ex-ministro della DDR diventato signor nessuno dopo l'unificazione, pronuncia ad una delle vittime del regime incontrata per caso: Non c'è più fede politica, più niente contro cui ci si possa ribellare. Com'era bella la nostra DDR. Molti cominciano a capirlo ora.

 

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21 ore fa, sol invictus ha scritto:

Esatto. Furono giorni veramente sconvolgenti, per noi che eravamo abituati a quella specie di routine che il confronto est/ovest imponeva oramai da 40 anni.

Credo che solo l'11/9, almeno per quanto mi riguarda, abbia avuto un impatto simile alla caduta del Muro: anche in quel caso si percepì chiaramente che qualcosa di enorme stesse accadendo.

Avevo 14 anni, non avevo molto a fuoco l'importanza del momento. 

L'ho capito a distanza di mesi 

Ieri mia figlia di 10 anni mi ha chiesto di raccontarle... abbiamo fatto insieme una bella ricerca.

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21 minuti fa, Black&White17 ha scritto:

Avevo 14 anni, non avevo molto a fuoco l'importanza del momento. 

L'ho capito a distanza di mesi 

Ieri mia figli di 10 anni mi ha chiesto di raccontarle... abbiamo fatto insieme una bella ricerca.

Caspita, complimenti alla bimba: non è da tutti interessarsi ad argomenti così spessi a soli 10 anni... .ok

 

Quanto all'importanza dell'evento credo che tra le varie istantanee del 900 vada posto dietro unicamente ad Hiroshima e ad Auschwitz, pari all'attentato di Sarajevo ed immediatamente prima delle Torri Gemelle: intendendo con ciò degli eventi-simbolo in grado di cambiare il corso della Storia ovvero di imprimere dei mutamenti culturali irreversibili, tali da fare percepire chiaramente la cesura tra il prima ed il dopo.

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4 minuti fa, sol invictus ha scritto:

Caspita, complimenti alla bimba: non è da tutti interessarsi ad argomenti così spessi a soli 10 anni... .ok

 

Quanto all'importanza dell'evento credo che tra le varie istantanee del 900 vada posto dietro unicamente ad Hiroshima e ad Auschwitz, pari all'attentato di Sarajevo ed immediatamente prima delle Torri Gemelle: intendendo con ciò degli eventi-simbolo in grado di cambiare il corso della Storia ovvero di imprimere dei mutamenti culturali irreversibili, tali da fare percepire chiaramente la cesura tra il prima ed il dopo.

@@

grazie mille

 

e concordo su tutto

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È cambiato il mondo da allora.

miseria come è cambiato.

adesso viviamo nell’era “post ideologica” dove ha preso il controllo il Dio mercato, nella sua forma più spinta, nessuna intenzione di parlare di politica, mi limito a descrivere il prima ed il dopo; un’analisi storica degli eventi

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Il 7 novembre 2019 Alle 18:19, gobbo 1949 ha scritto:

Io il muro l'ho attraversato per andare a Dresda per seguire la Juve. 1973 Ero giovane

Che sensazione hai provato? qualcosa che ti ha colpito in particolare? 

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13 ore fa, theOzma ha scritto:

Che sensazione hai provato? qualcosa che ti ha colpito in particolare? 

In attesa che l'amico gobbo ci racconti di Berlino 73 (anni molto "caldi" quelli) posso parlare di Jugoslavia 84: che non è esattamente la stessa cosa, ma che ha comunque  alcuni punti in comune. Là un muro fisico non c'era ma la barriera psicologica c'era eccome, soprattutto per chi, figlio e nipote di esuli istriani come il sottoscritto, ritornava da dove i suoi nonni (quelli della parte italiana) se ne erano andati 40 anni prima senza più farvi ritorno, con metà parenti (quelli della parte croata) che invece avevano scelto di rimanere. 

La  cortina di ferro c'era ancora, altro  che storie,  e le circa tre ore di coda per il controllo passaporti al confine di Divaccia (formale per gli italiani in arrivo, minuzioso e pedante per gli jugoslavi in rientro, stracarichi di ogni possibile mercanzia acquistata a Trieste) era là a testimoniarlo. E se la cortina c'era in Jugoslavia che bene o male mezzo piede lo aveva fuori, immaginiamoci come potesse essere la DDR che era dentro al 110%.

Comunque, venendo dall'Italia la Jugoslavia era un altro mondo sotto tutti i punti di vista: era il 1984 ma sembrava congelata a 20 anni prima: negli oggetti, nelle auto, nei negozi, nella qualità (mediocre) e disponibilità (saltuaria) dei generi alimentari, del tipo: quando uscivi a fare la spesa non lo facevi sapendo cosa comprare, bensì adattandoti a quello che trovavi di disponibile, sintomo di una precarietà diffusa, certamente dignitosa, ma che sempre precarietà rimaneva. Lo si vedeva anche nelle auto: Zastava che erano vecchi modelli Fiat modificati, oppure nelle abitazioni, con la parte storica che decadeva sotto il peso degli anni affiancata alla parte nuova: palazzoni grigi apparentemente moderni del tipico realismo socialista, suddivisi in miniappartamenti piuttosto squallidi da edilizia popolare.

Su tutto, una pervasiva forma d'ordine molto sintetico, innaturale, con la milicija un po' dappertutto (anche se in maniera piuttosto discreta) e i giovani pionieri della omladina nelle loro uniformi bianche a dirigere il (poco) traffico e svolgere servizi civili davanti ai "supermercati" (in realtà grosse drogherie) ed alle scuole. Atmosfera rarefatta e sospesa, come entrare in un museo d'arte povera lasciato un po' andare. 

Tito era morto da soli 4 anni e le cose andavano avanti per inerzia, così come lui aveva stabilito. Quindi tutto sembrava fermo e destinato a rimanere tale: tuttavia già si percepiva una specie di inquietudine latente. Dai discorsi dei parenti (croati) trasparivano incertezza e inquietitudine e soprattutto astio  nei confronti dei serbi: come una mia prozia che usava un termine derogatorio (srbijanski) per indicare il marito serbo della figlia.

Insomma, il fuoco covava sotto la calma apparente. E attenzione: parliamo di Istria, periferica, e non di Croazia profonda, dove tutto era amplificato.

 

Anche questo era oltrecortina.

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15 ore fa, theOzma ha scritto:

Che sensazione hai provato? qualcosa che ti ha colpito in particolare? 

Primo impatto i colori. Berlino Est una città morta. Poi la polizia ovunque.  Andammo a Dresda in Taxi e ricordo  una colonna di carri armati. Ho avuto sempre una sensazione di disagio.Adesso non ho molto tempo ma cercherò di fare un resoconto un pochino più dettagliato, Fu un'avventura

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Il 7/11/2019 Alle 13:21, sol invictus ha scritto:

 

In un post così lungo una riflessione sull'origine del comunismo lo completerebbe. Sembra quasi che sia sceso dal cielo, il comunismo, come una spada di Damocle a cui è stato tagliato il crine di cavallo e si sia abbattuta su popoli inconsapevoli. In realtà è stato lo strumento che ha permesso a milioni di persone, attraverso una rivoluzione, di uscire da una tirannia che li perseguitava da secoli, in nome dell'uguaglianza, della parità, della equa distribuzione delle ricchezze.

Poi è andato tutto a catafascio, ed il risultato è stato solo un cambio di tiranno (ma qui ci sarebbe da scrivere molto). Trovo, però, sbagliato attribuire queste conseguenze al pensiero comunista e non all'incapacità dell'uomo di saperlo attuare, in quanto, per natura, incapace di condividere un potere acquisito ma portato alla sua radicalizzazione e decuplicazione, come in tutti gli animali.

In sintesi, il comunismo ha mostrato tutti i caratteri di un'utopia ma non va confuso con una distopia a cui appartengono altri regimi che con altrettanto disprezzo dell'uomo hanno imperato nel secolo scorso.

Tanti sono morti cercando di passare attraverso il muro, tanti anche quelli che oggi cercano di attraversare un confine per arrivare al paradiso degli Stati Uniti: si può ammazzare per non fare uscire ma anche per non far entrare.

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È cambiato il mondo da allora.
miseria come è cambiato.
adesso viviamo nell’era “post ideologica” dove ha preso il controllo il Dio mercato, nella sua forma più spinta, nessuna intenzione di parlare di politica, mi limito a descrivere il prima ed il dopo; un’analisi storica degli eventi
Infinitamente meglio ora sotto qualsiasi punto di vista per chiunque tranne pochi sfortunati.

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30 minuti fa, sottosopra ha scritto:

In un post così lungo una riflessione sull'origine del comunismo lo completerebbe. Sembra quasi che sia sceso dal cielo, il comunismo, come una spada di Damocle a cui è stato tagliato il crine di cavallo e si sia abbattuta su popoli inconsapevoli. In realtà è stato lo strumento che ha permesso a milioni di persone, attraverso una rivoluzione, di uscire da una tirannia che li perseguitava da secoli, in nome dell'uguaglianza, della parità, della equa distribuzione delle ricchezze.

Poi è andato tutto a catafascio, ed il risultato è stato solo un cambio di tiranno (ma qui ci sarebbe da scrivere molto). Trovo, però, sbagliato attribuire queste conseguenze al pensiero comunista e non all'incapacità dell'uomo di saperlo attuare, in quanto, per natura, incapace di condividere un potere acquisito ma portato alla sua radicalizzazione e decuplicazione, come in tutti gli animali.

In sintesi, il comunismo ha mostrato tutti i caratteri di un'utopia ma non va confuso con una distopia a cui appartengono altri regimi che con altrettanto disprezzo dell'uomo hanno imperato nel secolo scorso.

Tanti sono morti cercando di passare attraverso il muro, tanti anche quelli che oggi cercano di attraversare un confine per arrivare al paradiso degli Stati Uniti: si può ammazzare per non fare uscire ma anche per non far entrare.

Il problema del comunismo anche nella sua forma diciamo così “alta” e non storica è che limita le capacità individuali ed il potenziale che ogni persona può sfruttare per se e indirettamente per la collettività. È un grosso limite.

al contrario dall’altra parte, la nostra parte, quella che viviamo tutti noi, queste capacita sono lasciate libere di esprimersi. Tutto l’occidente si fonda su questo concetto; tutto il progresso si basa sulla libertà individuale di realizzarsi di arricchirsi di esprimere tutto il proprio potenziale.

Questa è la differenza sostanziale. Poi francamente ora che sono in età adulta, che ho esperienza e vedo le cose per quello che sono, posso affermare tranquillamente che la democrazia non esiste, è una bella favoletta della buona notte e mai esisterà.

è incompatibile con l’uomo sapiens

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Il 29/11/2019 Alle 21:24, bonve ha scritto:

Il problema del comunismo anche nella sua forma diciamo così “alta” e non storica è che limita le capacità individuali ed il potenziale che ogni persona può sfruttare per se e indirettamente per la collettività. È un grosso limite.

al contrario dall’altra parte, la nostra parte, quella che viviamo tutti noi, queste capacita sono lasciate libere di esprimersi. Tutto l’occidente si fonda su questo concetto; tutto il progresso si basa sulla libertà individuale di realizzarsi di arricchirsi di esprimere tutto il proprio potenziale.

Questa è la differenza sostanziale.

Completamente d'accordo. Direi che sia il punto fondamentale: la libera iniziativa che viene di fatto castrata.

 

Un altro punto, imho, è che una ipotetica differenziazione tra teoria "alta" e "trivialità" pratica sia solo una questione di lana caprina: se è vero come è vero che la teoria affinchè possa dirsi valida deve essere dimostrata e quindi applicata nella pratica e ad applicarla non possono essere altro che gli esseri umani e che tutti i tentativi fin qui attuati sono andati a ramengo, ne deriva per forza di logica che la teoria stessa non possa essere considerata valida proprio perchè inapplicabile nella pratica.

E' come la teoria della fusione fredda: può essere bella ed affascinante finchè si vuole e potenzialmente ricca di chissà quali vantaggi, ma se non la si riesce a dimostrare ovvero ad applicare, rimane fine a sè stessa, una mera speculazione intellettuale.

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3 ore fa, sol invictus ha scritto:

Completamente d'accordo. Direi che sia il punto fondamentale: la libera iniziativa che viene di fatto castrata.

 

Un altro punto, imho, è che una ipotetica differenziazione tra teoria "alta" e "trivialità" pratica sia solo una questione di lana caprina: se è vero come è vero che la teoria affinchè possa dirsi valida deve essere dimostrata e quindi applicata nella pratica e ad applicarla non possono essere altro che gli esseri umani e che tutti i tentativi fin qui attuati sono andati a ramengo, ne deriva per forza di logica che la teoria stessa non possa essere considerata valida proprio perchè inapplicabile nella pratica.

E' come la teoria della fusione fredda: può essere bella ed affascinante finchè si vuole e potenzialmente ricca di chissà quali vantaggi, ma se non la si riesce a dimostrare ovvero ad applicare, rimane fine a sè stessa, una mera speculazione intellettuale.

d'accordissimo anche sull'altro punto che hai descritto.

 

io in questi giorni sto leggendo un libro interessante "Da animali a dèi. Breve storia dell'umanità" di Yuval Noah Harari; li si capiscono molte cose.

è decisamente scritto da un ateo o quantomeno laico, ma ciò non di meno è ricco di informazioni e spunti interessantissimi.

dopo aver letto le prime 100 pagine di questo libro capisci che biologicamente siamo fatti in un certo modo, pochissimo compatibili con le idee di uguaglianza specifiche, teorizzate dal comunismo e non solo. IMO.

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