Innanzitutto alcune doverose premesse: A spingermi ad aprire questa discussione non sono state le recenti delusioni di campo, non scrivo di pancia; ciò che ho voluto riportare è il riassunto di riflessioni e considerazioni sedimentate e consolidate nel corso degli ultimi anni.  Ho scelto di non puntare il faro sulle questioni di campo perché penso che sia già stato detto tanto a riguardo. Quelli sotto elencati sono semplicemente i pensieri di un umile tifoso che non ha pretesa di verità assoluta, che non conosce approfonditamente le dinamiche e le decisioni societarie, ma che desidera tuttavia ragionare sulla base dei pochi elementi a disposizione e che è mosso unicamente dalla passione. Ho scritto tanto, forse troppo, quindi un ringraziamento in anticipo a chi avrà la forza di arrivare fino in fondo.     Da dove iniziare? Il caso Suarez; la carta Ronaldo; lo sponsor di maglia assente da un anno; la creazione della Superlega e – a distanza di poche ore – il suo sfaldamento; l’uscita dall’ECA e il successivo reintegro.
Proseguiamo ancora con le vicende grazie alle quali procure e giornali hanno trovato terreno fertile per palesare il proprio tifo e l’accanimento nei nostri confronti: parlo ovviamente dei casi plusvalenze e manovra stipendi; il tempo poi ci ha confermato che quei magheggi erano un malcostume comune a praticamente tutte le società, ma noi abbiamo avuto il grandissimo merito di prestare il fianco – per non dire un’altra parte del corpo più nascosta – con intercettazioni nelle quali si sentivano i nostri dirigenti affermare “qui è peggio di calciopoli” o “la Consob la supercazzoliamo”. Nel frattempo, mentre eravamo bersagliati su tutti i fronti, ai microfoni non compariva a difenderci nessuna figura della società e l’allenatore veniva mandato in avanscoperta a gestire la comunicazione sia lato sportivo, sia lato giudiziario.
Ma all'elenco si dovrebbero aggiungere anche quegli episodi che, pur non recandoci un danno effettivo in termini sportivi, economici o giudiziari, hanno tuttavia sancito una frattura insanabile nel rapporto coi tifosi; primi fra tutti la rinuncia al Ricorso di Stato per le vicende di Calciopoli o l'appoggio alla rielezione in FIGC di Gabriele Gravina, personaggio fortemente inviso all'ambiente bianconero.   Ho voluto riportare soltanto i primi episodi che sono stato in grado di richiamare alla memoria, ma se ne potrebbero citare altri e siete liberi di farlo. Perché ho fatto tutto ciò? L’ho fatto per mostrare che le ultime cinque stagioni non sono state terrificanti esclusivamente sul piano sportivo, ma anzi ci hanno spinto di frequente ad interrogarci sulle effettive competenze degli uomini preposti a gestire la Juventus e a rappresentare noi tifosi. Mi riferisco in particolare alla superficialità, all’approssimazione e alla sommarietà che, di norma, non ci aspetteremmo di riscontrare neppure nella gestione della salumeria sotto casa, e che invece, per assurdo, hanno caratterizzato le scelte e le decisioni prese dalle figure apicali di una società che fattura ogni anno centinaia di milioni.   Tornando indietro con la mente, credo che nel lontano 2020 nessuno di noi, nemmeno il più pessimista, tifoso o dirigente che fosse, si sarebbe aspettato un crollo così verticale. Chiamo in aiuto il cosiddetto “Titanic Effect”, un concetto che cattura molto bene quello a cui abbiamo assistito: «the thought that disaster is impossible often leads to an unthinkable disaster». Proprio come ai tempi del Titanic anche noi eravamo convinti che la Juventus, dopo nove scudetti consecutivi, fosse una corazzata invincibile, che il divario con le avversarie fosse impossibile da colmare, che chiunque fosse facilmente sostituibile, che l’auto ormai si guidasse da sola, e invece ecco che la realtà ci ha subito messo di fronte al “disastro imponderabile”.   Il mio obiettivo non è puntare il dito contro qualcuno nello specifico, perché come spesso accade in questi casi è evidente che le colpe siano condivise; del resto, l’attuale management si è insediato nel gennaio del 2023, quando la nave aveva già urtato l’iceberg da un pezzo. Non intendo neppure addentrarmi in questioni tecnico-tattiche parlando degli allenatori e dei giocatori che si sono succeduti, o di moduli e formazioni. Tantomeno mi interessa fare stupidi confronti tra i risultati ottenuti in stagioni diverse perché credo che le disfatte con Benevento, Porto, Lione, Maccabi, Monza, Empoli e Atalanta (mi fermo qui perché non intendo infliggermi ulteriore dolore) certifichino che nessuno può dichiararsi esente da colpe.   Ma se esistono delle responsabilità maggiori, queste sono sicuramente da ricercare in cima alla catena gerarchica… molto in cima. Chi si trova in cima, infatti, è responsabile non solo degli errori maturati dalle proprie scelte, ma anche degli errori maturati dalle scelte dei propri sottoposti. E ahinoi, in tempi recenti, di decisioni scellerate ne abbiamo viste troppe e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: dopo nove scudetti consecutivi, sono ormai cinque le stagioni in cui a febbraio siamo già fuori dai giochi.   A volte sono state decisioni incomprensibili sin dall’inizio, altre sono state dei bruschi dietro-front atti a sconfessare le scelte prese dal precedente management. I giochi di potere in seno alla società e alla proprietà non hanno di certo aiutato, come anche le fazioni e le divisioni tra noi tifosi, che spesso teniamo più alle nostre idee e alle nostre convinzioni, che al bene effettivo della squadra. Per non parlare del fallimentare meccanismo delle promozioni interne; il "Principio di Peter" afferma che «In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza». Non credo ci siano parole migliori di queste per spiegare il perché di così tante figure inadeguate, promosse fino ai più cruciali ruoli di comando. È il caos, il caos che emerge incontrastato ogniqualvolta ci si trova davanti ad una decisione importante da prendere; il caos frutto di scissioni interne, di una totale disunità di intenti, di ruoli non ben definiti, di dirigenti che oltrepassano i confini che la propria posizione gli imporrebbe.   Vi sarà senz’altro capitato, almeno una volta nella vita, di guardare un film horror e di commentare con una punta di ironia le scelte dei protagonisti quando questi sono sul punto di aprire porte che evidentemente non vanno aperte o di entrare in luoghi in cui non si dovrebbe entrare; in queste situazioni, da umili osservatori, generalmente pensiamo “Beh ma si vede lontano un miglio che è una trappola! Non saranno mica così stupidi da farlo?” e puntualmente invece lo fanno. Ebbene, qualcosa di analogo è accaduto anche a noi. Gli esempi più evidenti questa volta ce li suggerisce il calciomercato: tra acquisti poco fortunati, rinnovi immeritati e cessioni scellerate, in più di una circostanza l’esito fallimentare di alcune scelte risultava ampiamente prevedibile praticamente a tutti; a tutti fuorché a coloro che poi queste decisioni le hanno effettivamente prese.   Desidero sollevare un’altra questione a me molto cara. Da anni si avverte un forte scollamento tra la società e i tifosi; e non mi riferisco solamente al tifo organizzato che protesta per il prezzo dei biglietti o per l’introduzione degli striscioni allo stadio. Io ora parlo del tifoso comune, che da un lato viene percepito alla stregua di una mucca da latte, munta per un mero ritorno economico, e che dall’altro non si sente più rappresentato da una società che non è in grado di comunicare con i suoi sostenitori.   Comunicare, appunto. Oggi la comunicazione è fondamentale: comunicare con i media, con le istituzioni, con gli altri club, comunicare con i tifosi di varie fasce d’età attraverso canali differenti che coprano tutta la platea e che non devono essere solamente quelli social. Nel 2023 Mike Armstrong ha sostituito lo storico Claudio Albanese nel ruolo di Responsabile della Comunicazione, ma a distanza di sole due stagioni il canadese ha già lasciato la sua scrivania e ad oggi pare che la posizione sia ancora vacante. Chiunque sarà il sostituto prescelto avrà un fardello gigantesco sulle spalle. Dovrà ricucire il rapporto ormai sgretolato da tempo con i tifosi; dovrà fare in modo che la Juventus cominci ad essere portavoce di tutte le parti che la compongono, non solo di alcune; dovrà lavorare affinché i tifosi non si sentano più soli, abbandonati e costretti a difendersi per conto proprio ad ogni attacco portato a testa bassa da parte dei media.   Per quale motivo la Juventus non si difende? Perché consente ai giornali, alle tv e alle istituzioni di imbrattare la propria immagine? È snobismo? È politica? Che cos’è? Non si rende conto di quanto sia potente la macchina del fango attivata dai tifosi avversari quando questi sono lasciati liberi di agire? Di quanto questo modus operandi sia anacronistico e gravemente nocivo per la società stessa, per i suoi azionisti, per i tifosi e in definitiva per tutti gli stakeholder della Juventus? Perché non mostra remore nell’intrattenere rapporti pubblici con quei personaggi che in passato non hanno mostrato alcun rispetto per i nostri colori? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che mi pongo da tempo e che lascio anche a voi.   Ed eccoci qui all’ennesima ricostruzione, all’ennesimo anno zero, all’ennesimo progetto; tutti concetti che sentiamo ripetere dovunque e da chiunque, e che diventano di volta in volta sempre più labili, indefiniti, vuoti. Da anni sentiamo la parola “progetto” usata come attenuante, come tampone per arginare un’emorragia inarrestabile, come palliativo per noi tifosi costretti ad assistere ad un’involuzione inspiegabile nel gioco, a risultati mediocri per non dire fallimentari, a giocatori non valorizzati e che riescono ad esprimersi ovunque tranne che a Torino, a cessioni illustri giustificate come sacrifici necessari sul sacro altare del bilancio e della stabilità finanziaria. I prossimi forse saranno Yildiz, Bremer, Thuram e noi allora faremo spallucce e ci consoleremo a vicenda dicendoci che tutto sommato va bene così, che in rosa non esistono nomi altrettanto appetibili e che pertanto non è proprio possibile fare diversamente.   Ringraziando ancora una volta chi è riuscito a leggere fino a questo punto, vi lascio con una battuta, che è poi ciò che ha dato origine al titolo del post. Nel tempo ho letto tanti utenti affermare che Ferrero, Scanavino e Calvo sono dei fedelissimi di Exor, che hanno un curriculum invidiabile e che oggi si trovano alla Juventus per garantire una oculata gestione economica e finanziaria. E io su questo non ho di certo intenzione di mettere bocca, non avrei nemmeno le competenze per farlo. Tuttavia, parafrasando il grande Troisi, mi verrebbe da rispondere: per avere i conti in ordine mica serviva metterli a capo della Juventus, bastava metterli a capo del reparto contabilità.   Un ringraziamento a Motta e un grandissimo bocca al lupo a Tudor. Un abbraccio e forza Juve sempre.