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emilthebest

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Messaggi pubblicati da emilthebest


  1. Penso che arrivare alla radice del problema sia già un bel pezzo di strada. L'altro pezzo è risolverlo, ma capire il problema è il primo passo.

     

    Il problema è che il modello italiano non è un modello storicamente vincente.

     

    C'è questa leggenda metropolitana che la nostra filosofia sia la migliore, la più efficace, ci vantiamo di essere più furbi degli altri, convinzione che non si capisce da cosa sia data, dai 4 mondiali vinti? Beh, innanzitutto ci sarebbe da dire che due di questi mondiali sono stati vinti nella preistoria, quando il calcio non era calcio.

     

    Dal secondo dopoguerra, ovvero da quando c'è il vero calcio, il Brasile ha vinto 5 mondiali, la Germania 4. L'Italia 2, come l'Argentina, uno solo in più di Inghilterra e Spagna. In 17 manifestazioni iridate giocate dal Dopoguerra l'Italia è arrivata 4 volte tra le prime due, due volte tra le prime quattro, e ben 11 volte fuori dalle prime quattro. Ovvero il 65% delle volte l'Italia non si è classificata tra le prime quattro, e ancora oggi sento dire che il nostro modello è il migliore. Il Brasile è arrivato 7 volte tra le prime due, 3 volte tra le prime quattro, solo 7 volte fuori dalle prime quattro (40%). La Germania è arrivata 8 volte tra le prime due, 4 volte tra le prime quattro, solo 5 volte fuori dalle prime quattro (35%).

     

    Quindi inizierei a far crollare questo mito, il modello italiano non è storicamente il migliore e neppure il più vincente. Quando ci saremo liberati di questa falsa convinzione gli occhi inizieranno a togliersi qualche pezzettino di prosciutto in più.

     

    Ma diciamo che nel calcio delle nazionali questa filosofia può anche avere un senso, dal momento che le squadre non sono collettivi omogenei che si allenano a giocare insieme e ad oliare i movimenti quotidianamente in allenamento​ ma sono selezioni, quindi può accedere più spesso che una squadra solida e compatta abbia ragione di una qualitativamente più dotata.

     

    Nel calcio internazionale dei club è invece dimostrato in modo lampante che il modello italiano è il più perdente di tutti, da che esiste la Coppa dei Campioni il 90% delle squadre trionfatrici aveva sempre un'impronta offensiva e basata sul gioco spettacolare, pieno di interpreti altamente tecnici. E anche nei rari casi in cui è avvenuto che vincessero squadre difensiviste (tipo Liverpool 2005, Inter 2010 o Chelsea 2012) parliamo comunque di situazioni episodiche, molta fortuna e squadre che non hanno aperto nessun ciclo, sono rimaste nell'anonimato.

     

    Alla Juve dopo innumerevoli batoste questo ci ostiniamo a non capirlo, e ancora siamo convinti che il nostro modello di calcio sia superiore. Forse perché ci culliamo dietro le 9 finali, pensiamo che queste bastino a provare che la strada sia giusta e se poi si perdono è solo sfortuna o conseguenza di inquietanti maledizioni. Invece la finale è parte della competizione ed è la partita in cui più di tutte conta segnare molto e far emergere la qualità superiore.

     

    La Juventus è, da sempre, una realtà presuntuosa e arrogante, fossilizzata, figlia del Paese in cui vive, dove si cercano sempre le vie traverse più facili per raggiungere gli obiettivi, si pensa di ottenere il massimo con il minimo.

    Cambiare 150 anni di storia è difficile, ma la storia qualcosa insegna ed è da masochisti continuare a non darle attenzione.

    il tuo commento è stimolante, a parte l'ultima frase un po' troppo liquidatoria, anche se ho un punto di vista abbastanza diverso dal tuo. Provo ad argomentare : proprio i tuoi dati dimostrano che storicamente il calcio italiano, con la sua specifica identità anche molto tattica, se non è il migliore, è certamente un calcio d'elite. E fino al 2007 (non trenta anni fa) era forse all'apice in assoluto. Calciopoli ha segnato il discrimine: dopo, il calcio italiano è peggiorato, quasi come dopo Tangentopoli quando la politica italiana è regredita invece di migliorare. Da sempre poi, in tutti i campi, gli Italiani invece che autoesaltarsi, hanno semmai il difetto opposto e cioè quello di essere sempre ipercritici con loro stessi, descrivendosi e percependosi pubblicamente come i peggiori del mondo. Dal mio punto di vista è un esercizio di intelligenza, ma che può essere anche controproducente soprattutto a livello di psicologia collettiva.

    In questi ultimi dieci anni è successo calcisticamente qualcosa che ha completamente cambiato le gerarchie: l'esplosione del fenomeno Barcellona e del calcio spagnolo, che, ammetterai, a livello di nazionale è stato fino al 2008 praticamente irrilevante. il Real Madrid è sempre esistito, ma come entità singola, diversamente dalla Juve che ha invece storicamente legato le sue sorti ai successi della Nazionale. Dal 2006 la Spagna vince due Europei ed un mondiale e il Barcellona vince quattro Champions (fino al 2006 ne aveva meno della Juve) e il Real è tornato a fare quello che storicamente è stato (dopo essersi preso i in Champions una pausa di 30 anni circa) e quindi, secondo me, non puoi leggere il calcio di oggi prescindendo da questa chiave di lettura, che registra l'affermazione di una scuola calcistica sbocciata dopo tanto tempo, ma comunque frutto di una precisa filosofia e identità calcistica.

    I tentativi di esportare però quel tipo di approccio in altri contesti e in altre culture calcistiche hanno prodotto risultati tutt'altro che convincenti (vedi Guardiola al Bayern e il City).

    E in fondo gli esempi che fai (Inter 2010 e Chelsea 2012, non a caso figli entrambi della cultura calcistica di Mourinho che evidentemente ben si sposava con quella italiana di cui anche il Chelsea è stata espressione) potrebbero essere considerati come l'unico tentativo alternativo alle due spagnole. Il gioco e i risultati dell’Atletico Madrid possono essere letti allo stesso modo. Il Bayern nel 2013 vince da squadra tedesca, con grande fisicità soprattutto, e non vince quando gioca alla spagnola con Guardiola.

    Questo, per dire, in buona sostanza che, secondo me, è un po’ utopistico pensare che la Juve stravolga la sua identità innestando un tipo di gioco totalmente estraneo alla cultura calcistica italiana (mi sembrerebbe un esperimento da laboratorio, più che un’operazione calcistica viva), quando invece sarebbe molto meglio capire che cosa di quella cultura, che comunque è riuscita a portarti in finale di Champions due volte negli ultimi tre anni, va migliorato e sviluppato. Per esempio correre e pressare di più di quanto la Juve non faccia. E dovrebbe cambiare la mentalità della società su certi punti (ma su quello ho scritto in un altro topic)

    Elemosinare poi mentalità vincente da campioni esteri come ha fatto Buffon alla vigilia di Cardiff, svelando il contenuto del messaggino mandato a Dani Alves quando è arrivato alla Juve, è indizio di un approccio mentale, secondo me, profondamente sbagliato e soccombente a prescindere da come giochi. E così l’intervista di Chiellini più volte citata, dove non è sbagliato dire che la Juve non è come il real, ma confessare la paura se prendi un gol a dieci minuti dal termine. Assurdo.

    In sintesi la mentalità vincente, secondo me, non dipende dal fatto che fai un gioco offensivo,anche se questo ammetto può aiutare. il Milan che vinse la Champions del 1994 con Capello contro il Barcellona di Cruyff vinceva tutte le partite 1-0 e subiva pochissimi gol, ma era fatto da calciatori con una mentalità da campioni assoluti, l’olanda degli anni 70 era una squadra iper offensiva che non è riuscita a vincere mai un Mondiale.

    Cerchiamo magari di non buttare via il bambino con l’acqua sporca.


  2. Dani Alves è prima di tutto un dipendente della Juventus. ma come, prima ci si riempiva la bocca con " ai tempi di Moggi nessuno fiatava" ed ora siete felici che questi sputtanino la società con la stampa? facciamo pace con il cervello prima di tutto. parlo in generale chiaramente.

    Non ho espresso nessun plauso a quello che dice Dani Alves, non so se ti è chiaro; volevo dire che non c'è da sorprendersi che dica quello che ha detto. quando si prendono i calciatori si dovrebbe considerare anche la loro personalità fuori dal campo, e mettere in conto anche sortite di questo genere

  3. Dani Alves è un calciatore brasiliano, affermatosi in Spagna, cioè è espressione di due culture calcistiche che da sempre considerano il calcio italiano con spocchiosa sufficienza. Lo facevano quando il Brasile perdeva con l'Italia il mondiale e la Spagna come nazionale non arrivava ad un quarto nelle competizioni internazionali, figuriamoci adesso che il calcio spagnolo, con i brasiliani nelle squadre di club, domina da anni il calcio internazionale.

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