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wicked city

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  1. Toth-Zhang, il segno cancellato col piede e il ritiro a Budapest

    Dopo una fugace verifica viene confermato l'out, la cinese invece si dispera, sbraccia e implora la giudice di sedia di tornare sul posto a guardare, perché la pallina ha lasciato il proprio segno sulla terra rossa quando ha battuto sulla riga esterna. Mentre avviene questa conversazione, Toth, furtivamente, cancella le prove col piede. Zhang ci prova a mettersi tutto alle spalle e continuare a giocare, ma perde rapidamente il break, va sotto 6-5, chiama un medical time-out ed esplode in una crisi di pianto. Quindi, col morale a terra e bersagliata dai fischi del pubblico 

    ungherese, si ritira, regalando all'avversaria la qualificazione agli ottavi.

    La quale, invece, viene ripresa dalle telecamere mentre - con un sorriso beffardo - si dirige verso le tribune, prima di lasciarsi andare ad un'esultanza forse eccessiva. Almeno secondo gli utenti dei social, che hanno aspramente criticato il comportamento della magiara.tuttosport.


  2. Daniele Azzolini tuttosport
     

     

     T re “C” se l’è fatte tatuare sull’avambraccio in occasione della vittoria di un anno fa agli US Open. L’unico tattoo che si sia mai concesso. Rappresentano il motto di casa Alcaraz, una frase che il nonno utilizzava come chiosa di ogni discorso importante rivolto alla famiglia. È come un punto esclamativo, lo è in termini figurati, commentati, dunque vale di più. Cabeza, Corazòn y *. Testa, Cuore e Palle. È il motore, la spinta vitale che sembra rendere inesauribile e invasivo il processo di appropriazione tennistica che il ragazzo di El Palmar sta conducendo sui resti lasciati da Federer, Nadal e Djokovic. 


  3. Stupido figlio di put****, ti auguro il *, ritardato, fot***o bast****, idiota, vaff***** a tutta la tua famiglia, pezzo di me***". Sono questi gli insulti che Francesco Maestrelli, giocatore italiano numero 202 del mondo, ha ricevuto sul suo profilo Instagram dopo la sconfitta di ieri nelle qualificazioni del torneo di Bastad in Svezia (6-4, 2-6, 7-6 da Dzumhur). Il classe 2002 è stato sommerso da ogni tipo di impropero, a sottolineare ancora una volta la scarsissima cultura sportiva italiana e mondiale. 

    Ciao ragazzi, sono Francesco Maestrelli e questo è tutto quello che mi arriva ogni volta che perdo una partita da gente che non sa chi sono, non sa come sono fatto e tantomeno come gioco a tennis. Queste persone periodicamente scommettono sull'esito delle mie partite e si permettono di scrivere tutto questo soltanto perché non hanno vinto la loro scommessa. Io spero tanto che le cose cambino e niente... anche noi siamo delle persone, oltre a degli sportivi.

    Eurosport

    • Triste 1

  4. 45 minuti fa, Darktidus ha scritto:

    nel mondo normale se una persona passa da google-Meta-Apple , Unicredit-intesa-UBS , Lamborghini-Ferrari-Pagani etc... viene vista come un genio

     

    solo nel mondo dei retrogradi tifosi del pallone ci sono non meglio definiti "obblighi" morali da rispettare verso ignoranti sconosciuti che sbraitano allo stadio con la bava alla bocca 

    Vivi nel mondo dei robot senza passione


  5. Carlitos batte Djokovic in cinque set e quasi cinque ore di gioco. L’erba era la sola superificie su cui faticava: adesso l’ha dominata   Alcaraz  è l’erede  di Federer   Vent’anni dopo la prima vittoria di Roger, lo spagnolo pone il suo sigillo: è il nuovo padrone del tennis, destinato a dominare il futuro  

    Becker: «Mi aspetta vo una s volta del genere, doveva succedere »   «Un sogno diventato realtà, mi sono innamorato dell’erba»  

    Daniele Azzolini tuttosport

     È un’erba giovane, quella di Carlos Alcaraz, che splende per intensità tra le striature aride del Centre Court, un’erba che sa di novità, di svolte sorprendenti, di colpi irripetibili. Un po’ irriguardosa, per l’alto nome della vittima il cui sacrificio permetterà il rinnovamento, e quasi maliziosa nel concedersi già dalla prima finale al ventenne che mostra la sicurezza, i pensieri ordinati e risoluti, la capacità estrema di sopravvivere a tutto e a tutti, di un adulto. È l’erba che manda in archivio gli ultimi venti anni dello Slam più antico, che fa tornare con i ricordi a quel 2003 di Federer, nato però sotto ben altri presupposti. Era Roger il favorito di quella finale che inaugurò la sua lunga Era nei Championships, mentre non lo era Alcaraz contro Novak Djokovic. Uguali, però, restano le sensazioni del cambiamento ormai definitivo, di una vittoria che trascende il valore stesso del torneo, e si pone come un ceppo, una pietra miliare, a ricordarci che nel giorno 16 luglio 2023, il tennis ebbe un nuovo padrone. 

     

     È giusto che Carlos si rotoli sull’erba, quando l’ultimo colpo di Djokovic si perde nel nulla. Non ha avuto paura neanche lì, in quel game finale che l’ha visto giungere con un break di vantaggio sul Djoker, dopo un match lungo quasi cinque ore che ha fatto da contenitore a un game di 27 minuti (sul 3-1 della terza partita, Djokovic al servizio) lungo come un set. Era una situazione talmente colma di tensioni da essiccare la gola e i pensieri a tutti, anche ai tennisti di più lunga militanza, e che Alcaraz ha risolto andandosi a prendere (dopo lo 0-15 iniziale) tutti i punti che servivano. Gliene dà atto, Nole: «Pochi sarebbero riusciti a mantenere i nervi saldi, Alcaraz ha dimostrato anche in questo di essere un campione ormai pronto». I 36 sono i nuovi 26 anni? E i venti di Carlos, allora, quanto valgono? 
    Ecco Alcaraz che si rotola felice sulla superficie che sembrava la più lontana dal suo tennis. Quasi sconosciuta fino al mese scorso. Aveva giocato due volte Wimbledon, battuto la prima da Medvedev in secondo turno, la seconda da Sinner negli ottavi, l’anno scorso. Quest’anno ha scelto il Queen’s per aggiungere qualche grammo di esperienza, «e ora me ne sono innamorato, di questa erba», fa sapere, serio serio. Ha vinto il torneo della Regina, ora il Campionato che ha ormai 146 anni di storia. Dodici partite consecutive, una striscia tutta in verde, brillante. 
    Scala in fretta le tribune, Carlitos e si getta nelle braccia di Juan Carlos Ferrero, ex numero uno che fa da coach al nuovo numero uno. È commosso JCF, piange lacrime che non avevamo visto nemmeno quando vinceva il Roland Garros, poi l’abbraccio con i genitori e i due fratelli più piccoli, l’applauso al team avversario. È una vittoria che fa piangere tutti, meno Carlos. Anche Nole cede alla tensione, quando gli chiedono dei figli, che sono lì, e la mattina gli hanno gettato sulle spalle un bicchier d’acqua, un antichissimo gesto augurale del mondo serbo. 
    «È un sogno che diventa realtà», dice Alcaraz. La frase gli piace e la ripete quattro volte. Ma gli hanno insegnato che non si piange per la realtà, la si guarda negli occhi, la si affronta per quella che è, magari si tenta di cambiarla. «Avevo una speranza di farcela, ma sapevo che sarebbe stata la finale a darmi o meno le ultime certezze. Non è cominciata bene, ero ansioso. Poi l’inizio della seconda partita mi ha dato qualche certezza in più». È il terzo spagnolo a vincere il torneo sull’erba, dopo Santana nel 1966 e Nadal, nel 2008 e nel 2010. Ma Alcaraz ha i colpi per diventare un ospite fisso sul podio più alto dell’All England Tennis and Croquet Club, dove da ieri è membro onorario, con tanto di giacca viola a righe verdi fatta su misura. È anche il terzo più giovane a vincerlo. Il primo resta Boris Becker, tre volte campione, la prima nel 1985, a 17 anni. «Mi aspettavo una svolta del genere», argomenta il tedesco, «prima o poi doveva succedere, Wimbledon mi sembra il palcoscenico più giusto». 
    Sono stati 66 i vincenti firmati dallo spagnolo. Appena 32 quelli di Djokovic. Vinto il secondo set con un tie break in rimonta e dopo aver annullato un set point a Nole (che sarebbe andato sul 2-0), poi il terzo addirittura con tre break, Alcaraz ha perso il filo nel quarto, ma ha reagito subito e si è portato in testa nel quinto con un break nel terzo game, che ha tenuto fino alla fine. Solo due i punti di differenza (168 a 166), in 4 ore e 43 minuti. 

    Djokovic ha avuto troppi momenti d’incertezza, dal secondo set in poi la sua partita è stata quasi sempre di grande sofferenza. «Carlos ha colpi potenti, particolari, che muovono da tutte le zone del campo. Sapevo che avrei avuto grandi problemi con lui, ma me li aspettavo sul cemento, sulla terra, il suo gioco da erba invece mi ha davvero sorpreso. Sono deluso del mio rovescio, nel tie break del secondo set mi ha abbandonato». Niente Grand Slam, niente ventiquattresimo titolo Major per il momento. E niente numero uno. Ma dite, si può criticare un tennista che in questa stagione da 36 anni che ne valgono 26, ha vinto Australian Open e Roland Garros, ed è stato finalista a Wimbledon? 
    Paga, il Djoker, la voglia di cambiamento, che era nell’aria, si avvertiva. Alcaraz ne è l’interprete principale, il capo branco nella muta degli inseguitori. Wimbledon ha avuto due ragazzi della nuova generazione in semifinale (l’altro, lo sapete, è Sinner), occorreva porre solo l’ultima pietra. L’ha portata Alcaraz, il più forte, il ragazzo che sa giocare ovunque, che fa correre la palla all’impazzata grazie alle accelerazioni imprevedibili. Quello che più di tutti ricorda Federer. 

     

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