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bidescu

Helmut Haller

Post in rilievo

Nato ad Augsburg, in Germania, nel 1939, dopo una lunga ed onorata carriera nel Bologna, ormai grassottello ed appagato, si trasferisce alla Juventus nel 1968, convinto di poter terminare la sua carriera in pace e tranquillità.

Ma, a Torino, trova il “ginnasiarca” Heriberto Herrera, che lo torchia come un’oliva e lo restituisce alla più invidiabile delle condizioni fisiche. Comincia, così, una nuova vita, da attaccante di fascia al servizio di una squadra giovanissima che trascina, con la sua classe e l’innegabile mestiere, alla conquista di grandi successi; addirittura, ritorna in nazionale per i Mondiali del Messico del 1970, dopo essere stato protagonista assoluto ai Mondiali inglesi del 1966, portando la Germania in finale.

Lo scudetto del 1971-72, conquistato senza Bettega, lo vede grande protagonista, offrendo scampoli di grande classe: suo il goal che, all’indomani del “derby” perso, sconfigge il Varese e rida speranza all’ambiente juventine. Sua, ancora, la rete che sblocca il risultato nel giorno più bello, quello che permette di festeggiare lo scudetto, contro il Vicenza.

Haller è un tipo strano, molto simpatico: al primo posto dei suoi pensieri c’è il divertimento, è sempre a caccia della buona cucina, del buon bere e della risata sopraffina; quando decide di giocare, in campo vola, unendo la forza tedesca alla classe brasiliana, accarezzando il pallone con perfezione ad ogni tocco, dribblando, concludendo a rete oppure fornendo l’assist vincente al compagno meglio piazzato.

Vycpalek, spesso, chiude tutti e due gli occhi sulla vita non propriamente da professionista del tedesco. Scappatelle che costringono i dirigenti bianconeri a prendere, nei suoi confronti, provvedimenti anche severi e che vengono anche duramente censurate dalla moglie, la terribile signora Waltraud dalla quale oggi vive separato, ma che lo gestiva come “procuratrice“. Cercava sempre di fare gli interessi del suo “eterno ragazzo” e se qualche volta Helmut non riceveva giudizi lusinghieri dalla stampa, prendeva il telefono e, con un tono che non ammetteva repliche, caricava di insulti il giornalista che si era permesso di censurare il marito.

Ed una volta, una di queste fughe gli costò molto cara. Era stato il migliore in assoluto nella “Juve-baby” battuta 2 a 1 sul campo del Wolverhampton, il 22 marzo 1972; su rigore, aveva trasformato il punto della “bandiera”. Poiché la qualificazione era già stata compromessa con l’1 a 1 dell’andata, Vycpalek aveva tenuto a riposo alcuni titolari, pensando al derby in programma la domenica successiva, sfida importantissima per la corsa allo scudetto. Per non mandare allo sbaraglio giovani come Piloni, Longobucco, Viola, Novellini e Savoldi II, l’allenatore aveva chiesto ad Helmut di sacrificarsi in questo impegno internazionale di metà settimana. Haller fu ligio al dovere, fornendo una grande prestazione e strappando applausi agli stessi fans dei “Wolves”. Ritenendo di esserselo meritato, dopo cena chiese di fare un salto fuori albergo; richiesta bocciata, sia dal tecnico che dai dirigenti. Con la complicità di italiani residenti in Inghilterra, Haller preparò la fuga di soppiatto; ma Vycpalek ed il D.G. Giuliano vigilavano e lo sorpresero al night, con una coppa di champagne in mano. Il tedesco fu messo fuori rosa; Boniperti spiegò:

«Haller ha sbagliato e deve pagare; so i rischi che correremo nel derby, ma debbo dare un esempio ai giovani che sono su questo aereo».

Fossati, terzino granata, fu ben felice di trovarsi di fronte l’acerbo Viola, anziché Haller come avversario; vinse il Torino per 2 a 1, con reti di Anastasi, Sala ed Agroppi.

Aveva una visione di gioco totale ed era portato a deliziare il pubblico con autentiche magie; ai compagni che gli chiedevano il pallone, Helmut replicava:

«Tu non chiama. Io veda e ti da».

Sarebbe entrato di diritto nel Gotha dei grandissimi, se solo si fosse concesso qualche sacrificio in più. Nel 1999 è stato eletto “centrocampista tedesco” del secolo, a testimonianza della sua grande classe.

Lascia nel 1973 dopo aver contribuito a due scudetti ed aver totalizzato 170 presenze e 32 reti.

 

Il racconto di Caminiti:

«Rappresentava il “di più”, come lo era stato Sivori, e più ancora di Sivori, se ci è consentito, a tutto campo, almeno quando la musa lo ispirava. Quale fosse questa musa, non è dato dubitare; si è saputo che, smesso di giocare, Helmut il giocoso, Helmut il fanciullone, Helmut il biondone rubizzo portato a divertirsi sempre e dovunque, tedesco ma di più wagneriano, strapazzato dagli agi ma di più dalla sua Santippe personale, la possessiva magrissima sanissima amministratrice Waltraud, ha voltato pagina. Ha cioè smesso di fare sacrifici e per prima cosa si è separato dalla sua Santippe. Verosimilmente la moglie ne sopportava le divagazioni extraconiugali quando venivano giustificate dalle occasioni offerte dai continui viaggi sul cocuzzolo del mondo.

Una volta, Furino mi disse:

“La squadra respirava ed acquistava armonia, è stato con lui il nostro periodo più bello anche dal punto di vista perfettamente tecnico. Ricordo quella partita di Milano (31 ottobre 1971, quarta di campionato) con Rocco disperato, costretto a cambiargli sempre marcatura, fare delle cose eccezionali a profitto di tutti, che è il modo vero ed assoluto di essere fuoriclasse”.

Haller aveva nel gioco un portamento tecnico-atletico trascendentale, in grado di ispirare dalle fasce l’azione con traversoni passanti di rara euclidea precisione e di far tutto con due piedi divini, dribblando l’avversario nel senso dell’anticipo e della velocità di base, né più mai vedrò giocare di prima intenzione verticalizzando come lui.

Allenava la Juventus, nei giorni in cui vi approdava Haller, per dotare finalmente la squadra di classe pura, il paraguaiano Heriberto Herrera; come tipo umano, come persona, tutto l’opposto di “Helmuttone”, quindi un disperato compare tutto ossa, dalle lunghe mani nodose e dagli occhietti neri cavallini.

“Helmuttone” era grasso, troppo grasso. Le mani terribili di Heriberto lo torchiano e gli ridanno credibilità atletica. Però, non può bastare da solo, e Rabitti, subentrato a Carniglia, se ne accorge, bisogna riedificare la squadra ed innestarvi il nuovo Haller così che risulti determinante.

Ci vuol il beato e bonario “Cesto” Vycpalek perché la Juventus cominci a vincere; lo ha detto Furino, l’ordito della manovra si realizza in modo perfetto soltanto quando Haller è ispirato. Non capita spesso; ne sa una più del diavolo; nelle trasferte di Coppa, quando gli salta il ticchio, lascia la comitiva e s’infila al tabarin; senza sapere che con Boniperti è proprio cambiato il mondo; e puntualmente la paga.

Nelle giornate di vena accarezzava il pallone sprigionando perfezione in ogni impatto ed ogni tocco, eseguire un disimpegno od un passaggio, laterale o frontale, indispensabile. Era tutto uno svolazzo senza esserlo in nulla. Si può dire che somigliasse all’acuto del tenore, quando tremano tutti i cristalli dei lampadari; all’assolo di Pavarotti».

 

 

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