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  1. RadioLondra

    16 Maggio 1982: seconda stella

    Juventus campione di Italia per la ventesima volta con 19 vittorie, 8 pareggi, 3 sconfitte, miglior attacco e migliore difesa rispettivamente con 48 reti segnate e solo 14 subite Fonte: Tuttosport Sincronizzate gli orologi: alle 17.30 di oggi, minuto più minuto meno, saranno passati esattamente quarant’anni dal rigore di Liam Brady a Catanzaro. Era il 75’ dell’ultima partita del campionato 1981-82 e, sullo 0-0, l’arbitro Pieri concede un rigore alla Juventus per un evidente fallo di mano. Una vittoria, per i bianconeri, significa scudetto; finisse pari, quella partita porterebbe allo spareggio con la Fiorentina. Quel penalty, insomma, decide lo scudetto. Sul dischetto ci va Liam Brady, geniale centrocampista irlandese, che una settimana prima è stato convocato dal presidente Giampiero Boniperti per quello che, di fatto, è un licenziamento. «Prendiamo Boniek e Platini, caro Liam, con la legge che limita a due gli stranieri dobbiamo tagliare te», gli dice Boniperti. Brady piange e passa una settimana d’inferno, fra lo struggimento per un addio che non avrebbe mai voluto consumare e il giramento di scatole per essere stato scaricato. E poi, alle cinque e mezzo del pomeriggio, l’arbitro fischia. Tutti, sullo spelacchiato campo di Catanzaro, lo guardano. E lei, Brady, cosa pensava? «Che quel rigore doveva tirarlo Virdis! Gliel’avevo detto a Trapattoni: “Mister, se c’è un rigore non lo posso tirare io, viste le circostanze. Se lo sbaglio cosa succede?”. Ma Virdis, maledizione, era stato sostituito venti minuti prima ed era entrato Fanna. Così quando l’arbitro fischia, fischia anche Trapattoni e grida il mio nome. Mi giro verso di lui e lo vedo che mi guarda e allarga le braccia. Non mi ha detto niente. Non serviva. Neanche io gli dico niente, annuisco e mi avvio verso il dischetto». A rivedere le immagini, la decisione provoca grande sollievo anche fra i compagni, che nei secondi di incertezza su chi doveva battere il rigore cercavano di non incrociare lo sguardo con nessuno. (ride) «Si fidavano di me. Era un gruppo di straordinari giocatori, che pochi mesi dopo avrebbe vinto il Mondiale in Spagna, ma era un gruppo di ancora più straordinari esseri umani». E lei cosa pensava? «Dai Liam, batti ’sto rigore e vinciamo questo campionato». Non aveva paura? «Qualunque giocatore affermi di non avere paura quando sta per battere un rigore decisivo mente e sa di mentire. Spaventato? Sì. Ma cercavo di scacciare tutto con pensieri positivi e aumentando la concentrazione. Ero spaventato da una sola domanda: cosa succede se sbaglio? Quindi cercavo di non farmela». E infatti: tiro preciso e violento, quasi sotto l’incrocio alla destra di Zaninelli spiazzato. Esecuzione perfetta. «Gol. Perfetto o no, è stato gol, quello che contava. Mi ricordo l’esultanza, i compagni che mi hanno abbracciato. E la festa, bellissima, negli spogliatoi». Sentimenti? «Tutti quelli possibili mischiati insieme. Gioia, tristezza, amicizia, euforia, rabbia e già un pizzico di nostalgia per quello che stavo lasciando». Che cosa lasciava? «Persone meravigliose. Tardelli, amico fin dall’inizio. Scirea, uomo eccezionale. Gentile e Furino, che mi hanno aiutato tantissimo. Bettega, mio compagno di stanza. E un club storico, nel quale mi ero identificato». Nella festa scudetto a Catanzaro c’era un fotografo, Salvatore Giglio, che esultava più degli altri. (ride) «Salvatore! Che fotografo pazzesco! Mi ricordo che lui aveva fissato il suo matrimonio la domenica successiva, se fossimo arrivati allo spareggio con la Fiorentina avrebbe dovuto far saltare tutto o perdere la partita. Sono andato da lui e gli ho detto: “Con quel rigore ti ho salvato la festa” e gli ho regalato la maglia di quella partita. Lui mi ha ringraziato e mi ha detto: “No, questa maglia la devi tenere tu”. L’ultima con la Juventus». Dov’è adesso quella maglia? «A casa mia, incorniciata». È il ricordo più bello dei suoi anni italiani? «Il ricordo più bello dei miei sette anni in Italia sono i sette anni in Italia. Tutti. Ogni giorno, ogni secondo. L’Italia era il miglior posto del mondo dove vivere e, in quel momento, dove giocare a calcio. C’era il meglio: da Maradona a Rummenigge, da Zico a Falcao, da Platini a Krol. E tutto intorno c’era l’Italia. Sono stati gli anni più felici della mia vita». Questa sera Paulo Dybala giocherà l’ultima partita in casa con la Juventus. Anche a lui non hanno rinnovato il contratto: decisione corretta della Juventus? «Ah, non lo so! Non ho gli elementi per dirlo. Mi dispiace per lui, ma non fatemi dire altro, non so nulla di questa situazione». Sa, però, come si sentirà Dybala. «Quello sì. Molto triste. Ma io poi sono stato felicissimo alla Samp e all’Inter. Quindi, coraggio!». A proposito, la Juventus avrebbe un disperato bisogno di un Brady a centrocampo: ha qualcuno da consigliare? «De Bruyne è molto bravo!». Una robetta da niente... «Beh, stiamo parlando della Juventus, no?».
  2. RadioLondra

    I cicli della Juventus secondo Franco Causio: 1972

    Il calcio è fatto di cicli. Franco Causio lo ricorda quando parla della sua Juventus che nel 1972 tornò a vincere lo scudetto dopo cinque anni di digiuno. E lo ribadisce anche in relazione alla squadra guidata da Massimiliano Allegri, di cui si fida ciecamente. Per il Barone, 72 reti in 452 presenze in bianconero dal 1970 al 1981, la Juve ha la vittoria nel dna e già dalla prossima stagione se la giocherà fino alla fine in tutte le competizioni. Franco Causio, la sua è stata una Juventus ricca di giovani ma competitiva. Che ricordi ha di quegli anni? «Posso avere solo ricordi indelebili, di tanti personaggi che purtroppo non ci sono più. Da Boniperti dall’Avvocato Agnelli, e poi il mio amico Pietro Anastasi. Sono le prime persone che mi vengono in mente. Quella era una Juve appena rifondata, con tanti giocatori tornati dai prestiti. Abbiamo iniziato con il povero Armando Picchi e proseguito con Vycpalek». Dopo cinque anni senza vittorie siete stati capaci di aprire un ciclo. Quale è stato il segreto? «Non abbiamo vinto subito, ma quando abbiamo iniziato siamo riusciti a riportare la Juventus ai suoi livelli. Il calcio è fatto di cicli, che cominciano e finiscono. È finito anche l’ultimo dei 9 scudetti consecutivi. Più che segreti, le nostre qualità erano l’unione, il carisma di tanti e un personaggio come Boniperti, che era come un capitano». A proposito di Boniperti: ci spiega meglio che rapporto aveva con la squadra? «Quasi tutti i martedì veniva a fare analisi della partita con noi. Aveva ancora tanto del giocatore. Quando parlavi con lui sapevi che poteva capirti perfettamente. Tutti i suoi consigli erano oro colato. A me a volte diceva “Quando sei negli ultimi 30 metri concludi”. È facile parlare con un ragazzo di 20 anni, ma il modo in cui lo fai è fondamentale». Quella Juventus poteva contare anche sullo spessore di Gianni Agnelli. «Era unico, una figura eccezionale e un’enciclopedia. Non ti metteva mai a disagio, veniva su a Villar Perosa e cenava con noi. Io ho avuto modo di conoscere sia lui sia Umberto». Nel 1970 l’Avvocato aveva puntato su Picchi come allenatore. Nonostante sia stato costretto a lasciare la panchina dopo pochi mesi, quanto è stato importante per lei? «Tanto. Se sono rimasto alla Juve il merito è suo. Ero tornato dal prestito al Palermo e avrei dovuto lasciare nuovamente la Juventus per andare alla Lazio in prestito. Lui si impose per non farmi andare via. Mi fece giocare contro il Milan: perdevamo 2-0 e mi disse “Professore vai in campo e da oggi non esci più”». Il lavoro di Picchi è proseguito con Vycpalek. Quali novità ha portato il tecnico ceco? «Credo che le novità le portino sempre i giocatori, mentre gli allenatori si limitano a dare consigli. Le partite si vincono con i giocatori, ha ragione Ancelotti. Anche Vycpalek è stato un personaggio eccezionale, quasi un padre. Boniperti lo aveva chiamato perché avevano giocato insieme». Salvadore, Spinosi, Furino, Anastasi, Bettega: era una Juventus italiana. C’è qualche aneddoto che ricorda con piacere? «Salvadore era mio compagno di stanza, mi ha aiutato molto. Brio è leccese come me ed è stato un fratello. Tra compagni andavamo fuori a cena o a ballare. I risultati vengono se hai una squadra coesa che rema dalla stessa parte. Eravamo un gruppo intelligente, con grande personalità. Ci siamo uniti per vincere». In poco tempo lei e i suoi compagni siete riusciti a conquistare anche la tifoseria bianconera. «Io avevo uno striscione “Causio re del Comunale”, non credo serva aggiungere altro. Non ho mai avuto problemi con la gente. La Juventus mi ha dato tutto: ancora adesso sono in contatto con qualcuno e sono orgoglioso di avere la mia stella allo Stadium. Se i tifosi mi hanno scelto vuol dire che ho lasciato loro un gran bel ricordo». Cosa si porta ancora oggi della sua esperienza juventina? «Tutti parlavano dell’Avvocato con giacca, cravatta e orologio sul polsino della camicia, ma la Juventus ti insegna a comportanti, in campo e fuori. Ti fa diventare uomo. Sono arrivato a 16 anni e sono cresciuto tanto. La Juve mi ha dato notorietà, e io ho dato tanto alla maglia. Non sarei mai andato via, ma a qualcuno non facevo comodo. All'Udinese mi sono preso le mie rivincite, sono tornato in Nazionale e ho vinto il Mondiale: un trionfo sempre in bianconero. Dopo tre anni a Udine dovevo andare all'Inter e qualcuno da Torino mi ha chiamato. Non sono tornato perché non mi sentivo più a mio agio». Passiamo alla Juventus di oggi. Secondo lei da cosa deve ripartire la squadra di Allegri? «Prima di tutto deve trovare dei giocatori importanti che facciano la differenza. Non è facile, perché quelli bravi costano. Bisogna avere l’intuito giusto per prendere i migliori. Ritengo che la società abbia lavorato bene negli ultimi anni: la vittoria della Champions sarebbe stata la ciliegina sulla torta, ma non è mai facile confermarsi anno dopo anno. Allegri è l’uomo giusto, ha preso in mano una squa- dra che non era la sua e gli sono mancati quasi 50 gol tra Cristiano Ronaldo e Chiesa. Di questo nessuno ne parla. Vlahovic è arrivato a gennaio. Massimiliano ha avuto la sfortuna di perdere in casa contro l’Inter nonostante la sua squadra avesse giocato la miglior partita della stagione. Un risultato diverso avrebbe potuto realmente riaprire il campionato». Cosa si aspetta dal mercato? «Uno come Pogba, che ha 29 anni e torna con motivazioni importanti. Se sta bene fisicamente può ancora fare la differenza. Nel Manchester United, con alti e bassi per le incomprensioni con Rangnick, ha fatto comunque vedere le sue qualità. Se vuoi portare un calciatore dalla tua parte devi saper parlarci, e secondo me Allegri ha tutto per riuscirci». Punterebbe su Di Maria? «È un giocatore che può ancora fare un anno o due alla grande. Non dimentichiamo che al Paris Saint Germain è stato importante. Anche a Torino può far bene». Oggi alla Juventus c’è un Causio? «Il calcio è cambiato, non è più quello di una volta. Chiesa, ad esempio, non è un tornante ma un esterno o una seconda punta. Quando parte palla al piede è devastante. Chi fa dribbling e cross è Cuadrado: qualche volta ricorda le mie giocate». A cosa deve puntare la Juventus per il prossimo anno? «Credo che alla Juve giocatori, allenatori e dirigenti siano sempre di passaggio: vincere è realmente l’unica cosa che conta. Il club ha la vittoria nel dna e deve sempre competere per tutto». ALBERTO GERVASI da Tuttosport
  3. RadioLondra

    16 Maggio 1982: seconda stella

    Vuol dire che abbiamo condiviso la stessa passione. La Juventus quasi una fissazione. Grazie a te.
  4. RadioLondra

    Juventus - Bologna 1-1, commenti post partita

    Boniperti o Moggi, scegliete voi chi, avrebbe preso a calci più di uno dei presunti giocatori della Juventus. Meno male che indossavano una casacca anonima. Mala tempora
  5. RadioLondra

    Inchiesta Plusvalenze: tutti prosciolti

    Che qualcuno abbia la decenza di dimettersi. Chi.ne risponde?
  6. Il buongiorno dato dagli addetti al VAR al campionato della Juventus risale al gol annullato a CR7 (che dava la vittoria) a Udine. Fu chiaramente scelto il frame che dava il millimetro. Tutto il resto del torneo è su quella falsariga. Metti la tecnologia in mano a dei cialtroni e la plebe è servita.
  7. Passare dallo scambio con Lukaku (o da tanti altri buoni giocatori di cui si è parlato) a perderlo a zero. Non è una buona prova dei manager della società. Poi ognuno è libero di scrivere la sua fesseria in libertà. Ma non ci è stato raccontato tutto.
  8. Tanto tempo fa in poco tempo uno pseudo moralizzatore (coadiuvato da un manipolo di correi) prese decisioni che non gli competevano circa la regolarità di due tornei e sull'assegnazione dei titoli. Dopo sedici anni stanno ancora cercando quale Autorità dovrebbe essere competente, non solo ad avallare ma a confutare quelle decisioni del 2006. Il silenzio delle risposte è da conniventi. Caso di scuola di un paese corrotto.
  9. Congratulazioni Presidente! Notizia riportata sia da tuttosport.it che da corrieredellosport.it. Gazzaladra.it non pervenuta. Rosicanti eterni.
  10. Alla tua passione che condivido con le stesse emozioni. Immenso Claudio Gentile!
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