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Visualizzazione di contenuti con la più alta reputazione 16/05/2023 in Messaggi

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    I ceffoni di Fabyan stendono Alcaraz Marozsan: «Gioco così da sempre Non guardo mai chi ho di fronte Mi ha insegnato papà. Amo l’Italia» Mai giocato a Parigi e Wimbledon, il suo torneo preferito finora era Bergamo P uò essere memorabile una stagione che prenda le mosse da una vittoria su Palaphoom Kovapitukted? Sembra di sì, a patto di avere un animo da sparviero e amicizie nei posti giusti… Davvero volete sapere quali? Beh, il tennis l’ha inventato il diavolo, sostiene Panatta nel darci una traccia per rispondere convenientemente alla domanda. Fabyan Marozsan dello sparviero non ha solo l’animo, anche l’aspetto. Alto, magro, ossuto, Fabi lascia i sorrisi nei quali nasconde la propria timidezza appesi all’immagine della sua gioventù, e porta in campo gesti serrati e sguardi che inceneriscono, da autentico fighter. Se esiste una storia opposta a quella del ritratto di Dorian Gray, il ragazzo di Budapest - ventitré anni in buona parte trascorsi nell’anonimato di tornei come Szekesfehervar e Ottignies-Louvain-la-Neuve -, può aiutarci a metterla a fuoco. Palaphoom, 728 Atp, è stato (il 2 gennaio scorso a Nonthaburi, Tailandia) la prima vittima tennistica di una vicenda che porta dritti alla vittoria ottenuta ieri su Carlos Alcaraz, anche detto Alcatraz per come ha ingabbiato il tennis che conta. Il numero uno. Il ragazzo appena ventenne (lo scorso 5 maggio) che quest’anno ha già vinto quattro titoli, due Masters “1000” (Indian Wells, Madrid) e non aveva mai perso prima delle semifinali. Fino a ieri, sulla terra umida del Foro, molto ben sostenuto da un pubblico che dal suo gioco di colpi che somigliano a sportellate attendeva di sorprendersi e di avere qualcosa da raccontare agli amici. Ne avrà altre, invece, ugualmente sorprendenti. Marozsan (la pronuncia è Marosciàn, più o meno) ha impiegato 33 match per avere coscienza di sé e del proprio talento. Diciannove vittorie, 14 sconfitte, 53 mila dollari guadagnati al lordo di tasse e viaggi (quasi niente, dunque) che vanno a sommarsi ai 120 mila scarsi racimolati negli anni precedenti. Nei primi mesi di questo 2023, Fabi si sbatteva con giocatori come Vit Kopriva, Mili Poljicak e Alvaro Lopez San Martin, ma a Roma ha superato le qualifiche, e ha ottenuto il primo successo su un tennista classificato tra i primi cento, il ceco Jiri Lehecka. «Davvero non me lo aspettavo. Vivo con la valigia pronta per andare chissà dove, figurarsi se ritenevo possibile un successo sul numero 37 del mondo». Però, è venuto, e la cosa ha finito per produrre una magia. Marozsan ne ha preso atto, ha studiato come fosse stato possibile, e ha pensato che il suo modo di giocare potesse creare fastidi a tutti, anche ai più forti. È sceso in campo contro Alcaraz e lo ha preso a ceffoni. Lo sapete, i ceffoni tennistici sono quei colpi tirati a tutto braccio, la palla colpita - come si dice in gergo - di piatto, che è arte difficile il suo, dato che esiste un solo modo per non doverla poi rincorrere fino a Piazza Venezia: colpirla sempre al centro. Fabyan questo lo sa fare davvero bene. «Non solo - ammette un Alcaraz parecchio abbacchiato -, lo fa di continuo, senza apprensione alcuna. Non credevo potesse durare così a lungo, mentre non c’è stato un solo momento del match in cui il suo tennis sia venuto meno. Mi ha sorpreso. Non pensavo di perdere, e nemmeno di essere costretto a dire che è giusto che abbia perso». Capperi se c’è rimasto male, il nino di El Palmar, avviato sulle tracce di Nadal con il quale condivide quasi tutto ciò che si possa vincere nel biennio dai diciotto ai venti. Ma si può comprendere… La gente ti incensa, ti ricorda ogni momento quanto siano spavaldi, potenti, e belli quei colpi tirati con tutto il peso del corpo, sostenuti da una vitalità degna di un ballerino de L’Opera, e d’improvviso spunta un satanasso che tira sprangate e le alterna a smorzate che nemmeno rimbalzano tanto sono morbide. C’è di che farsi venire i nervi, no? «Gioco così. Ho sempre giocato così - fa Marozsan -. Mi ha insegnato papà. Sapete com’è, si va in campo le prime volte, si vince qualche partita… Lì mi sono detto che forse avrei potuto continuare. Ma non sono abituato a guardare chi ho di fronte. Vado e gioco. E mi pongo obiettivi minimi, qui a Roma speravo di poter vincere almeno un match delle qualificazioni. Invece, eccomi qua… Salve a tutti, mi chiamo Fabyan», e se la ridacchia di gusto. «Il primo set è venuto via facile - riprende -, un break e via. Ma nel secondo mi è venuta un po’ d’ansia. Nel tie break ero sotto 1-4, e ho pensato che se gli restavo attaccato, magari l’ansia veniva anche a lui. Non so se è andata così, però ho recuperato e vinto. Bello, no? Qui è tutto magnifico, l’Italia mi piace. L’anno scorso ho giocato uno dei vostri campionati con il Match Ball di Firenze. La considero un po’ casa mia. Idoli? Mah, ho sempre pensato che Nadal fosse il più forte. Gran testa. Il mio tennis è diverso dal suo, ma Rafa era davvero uno spettacolo». Best ranking al numero 128, oggi Fabi è intorno al 114. La strada è lunga. Non ha mai giocato a Wimbledon né a Parigi, e se gli chiedete quale sia il suo torneo preferito risponde Bergamo. Ma da ieri è entrato di diritto tra i possibili campioni del futuro. A suon di ceffoni. tuttosport
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