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juventino milanese

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Tutti i contenuti di juventino milanese

  1. caro amico, detto che ben venga ogni possibile modalità per mettere in difficoltà (o, meglio ancora, distruggere) il fantastico e dorato mondo cartonato, sinceramente quegli altri mi fanno solo leggermente meno schifo; dove erano quando il loro ex presidente faceva rientrare capitali dall'estero con una vendita farlocca della società ad un nullatenente cinese? Tifosi di una società il cui ex presidente è stato a capo del Governo e, guarda un pò, tra i vari regalini fatti a se stesso ed alla sua squdra ci fu anche la depenalizzazione del reato di falso in bilancio. La stessa società che all'epoca di calciopoli aveva l'AD come presidente di Lega, e che nell'occasione della morte di un Pontefice fece rimandare una giornata di campionato in modo da consentire ai giocatori della sua squadra un riposo maggiore. Lo stesso individuo che si incontrava segretamente con il cosiddetto "miglior arbitro italiano", colui che condivideva il medesimo sponsor della squadra di cui sopra. La stessa squadra il cui proprietario possedeva un impero mediatico pronto a scatenare l'inferno contro la cattivissima Juventus, e a glorificare le gesta dei "meravigliosi". (Mi viene il voltastomaco ancora oggi se penso che al processo di Napoli c'è stato persino chi ha dichiarato di non essere a conoscenza di questa sovrapposizione tra Milan e mediaset). Per cui, va bene tutto ma secondo il mio modestissimo parere anche i milanisti dovrebbero fare un giretto all'inferno. Con stima e simpatia, un saluto
  2. Avranno bevuto ettolitri di vino. In fondo li capisco: un grande momento di gioia, per altro meritatissimo, in una vita (la loro, i bergamaschi) contrassegnata da cazzuole, spatole e scalpelli
  3. Azz. sono talmente ammanicati che fanno gli intrallazzi persino con la NATO
  4. Non lo nascondo, io non avrei disdegnato un ritorno del salentino; avrei persino perdonato, con ovvie scuse e dichiarazioni da Juventino vero, la parentesi alle immonde blatte. Definirlo bianconero doc, tuttavia, è a questo punto (anche se manca l'ufficialità) una presa in giro per tutti noi e per la storia della Juventus. Via, sciò, pussa via. Professionista? No, mercenario.
  5. juventino milanese

    Ricordiamo Umberto Agnelli

    Sono passati vent’anni. Il 27 maggio 2004 apprendemmo la notizia della scomparsa di Umberto Agnelli, e questa data divenne da allora un giorno di tristezza per tutti i tifosi della Juventus. Raccontare Umberto Agnelli è ripercorrere la nostra storia, di cui lui fu figura centrale. Un legame iniziato nella seconda metà degli anni '50, e proseguito fino al 1962: anni in cui, con lui come Presidente, la Juventus conquistò tre Scudetti (e la prima Stella) e due Coppe Italia. Un amore grande, grandissimo, quello del Dottore, che lo riportò a seguire attivamente il Club negli anni ’90. E furono, nuovamente, con lui come Presidente Onorario, anni straordinari, che ci portarono in cima al mondo, con cinque Scudetti, una Coppa Italia, quattro Supercoppe italiane, una Coppa Intertoto, una Supercoppa europea, una Champions League e una Coppa Intercontinentale. L’eredità di Umberto Agnelli è viva, ovviamente, ogni giorno: il Dottore non era solo un leader, ma una fonte di ispirazione e un esempio di dedizione e passione per i colori bianconeri. Per questo, ogni giorno, Umberto Agnelli è sempre con noi. Juventus.com
  6. juventino milanese

    Ricordiamo Umberto Agnelli

    Più che ad un diluvio, penso agli sciacalli che si avventarono su una preda senza più forza e protezione. Gli andò bene per qualche anno, poi tornò il dominio del più forte (guarda caso, con Andrea figlio di Umberto). La storia si è ripetuta l'anno scorso, speriamo di tornare presto a fare mangiare solo * ai nostri avversari. Un saluto
  7. juventino milanese

    Giraudo presente in tribuna per Juve - Monza

    Lui ed il direttore hanno subito un linciaggio mediatico che dovrebbe far vergognare di essere italiani. Spero solo possa a vivere a lungo, e che si tolga la soddisfazione di spaccare qualche * a coloro che li dipinsero come criminali, mentre i veri delinquenti ancora adesso fanno le verginelle. Grande Dottor Giraudo, Grande Moggi, Grande Bobbygol. Una Juve fantastica
  8. juventino milanese

    Miglior attaccante della Serie A: Vlahovic

    Preferirei lasciare i riconoscimenti individuali agli altri. E vincere lo scudetto per altri 9 anni di fila, in faccia a tutte le avversarie. Detto questo, bravo Dusan. In ogni intervista che sento, lascia sempre trasparire la grande voglia di vincere, e l'orgoglio di essere alla Juventus. I believe in you
  9. juventino milanese

    16 maggio 1984, la Coppa delle Coppe è bianconera

    Care amiche e cari amici, pensando di fare cosa gradita e senza attinenza con quanto accaduto ieri sera ed in questa stagione in generale, apro questa discussione per ricordare uno dei momenti più felici della gloriosa Storia Juventina. Proprio oggi ricorre il quarantennale di quella grande Vittoria: un periodo di tempo lunghissimo, molti di voi non erano nemmeno nati, altri erano molto giovani, altri ancora sono diventati degli arzilli anzianotti. In questo periodo, molte cose sono capitate alla nostra amata Juve e a chi, come me non più giovanissimo, ha visto il mondo e la propria vita cambiare (*rimando a fine messaggio per alcuni cenni storici). Nel 1984 ero un teenager, la Juventus era il grande Amore che mio papà mi aveva trasmesso sin dai primi vagiti, ben sapendo che questo “imprinting” sarebbe durato tutta la vita. L’anno precedente, la prima grande delusione: perdemmo inopinatamente la finale di Coppa dei Campioni, ad Atene contro l’Amburgo. Come se non bastasse, il campionato (quello successivo al Trionfo degli Azzurri ai Mondiali di calcio di Spagna) venne vinto dai giallorossi di Roma. A noi non rimase che “accontentarci” della Coppa Italia, che allora era comunque una competizione lunga e difficile, con gironi preliminari ed eliminazioni dirette dagli ottavi di finale. Sconfitti all’andata da un ottimo Verona (che da lì ad un paio d’anni avrebbe vinto uno storico scudetto) riuscimmo nel ritorno a ribaltare il risultato con un perentorio 3 a 0. Fu la settima vittoria del trofeo per la Juventus, e ciò diede la possibilità di partecipare l’anno successivo alla Coppa delle Coppe La competizione, che per ogni Paese vedeva partecipare le vincitrici delle rispettive coppe nazionali, aveva un formato ad eliminazione diretta. Non c’era la necessità di giocare decine di partite inutili alla ricerca continua di soldi, il business non la faceva ancora da padrone. Se il sorteggio fosse stato fortunato, avresti potuto beccare squadre abbordabili. Se ti fosse andato male, avresti corso il rischio di uscire molto presto. Questo il cammino della Juventus: Sedicesimi di finale Andata Ritorno Juventus Lechia Danzica 7-0 3-2 Ottavi di finale Andata Ritorno Paris Saint-Germain Juventus 2-2 0-0 Quarti di finale Andata Ritorno Valkeakoski Haka Juventus 0-1 0-1 Semifinali Andata Ritorno Manchester United Juventus 1-1 1-2 La finale si disputò a Basilea, Svizzera, nel vetusto stadio St. Jakob (oggi, ristrutturato, è un gioiellino). Ebbi modo di frequentarlo quattro anni più tardi in occasione di un concerto, e rimasi colpito dal fatto che dietro gli spalti si vedessero passare i treni…. forse qualcuno, tra di voi, era presente; sarebbe bello se ci potesse raccontare l’atmosfera. La formazione dei bianconeri, per l’occasione con la bellissima maglietta gialla e pantaloncini blu, era la seguente: Tacconi - Gentile - Cabrini - Bonini - Brio - Scirea - Vignola - Tardelli -Rossi - Platini - Boniek UNO SQUADRONE FORMIDABILE, che se non avesse perso l’anno prima ad Atene avrebbe potuto portare a casa la “maledetta” per 3 o 4 anni di fila. Ma che nel frattempo aveva, qualche giorno prima, vinto il suo 21° scudetto. C’è chi si vanta di aver raggiunto un traguardo (per altro farlocco) di 20 scudetti nel 2024, noi l’abbiamo superato 40 anni fa…… La partita fu comunque combattuta, qui di seguito filmato trovato in rete: Ho scelto un video con voce di Gianfranco De Laurentiis (mi risulta fosse juventino, eppure non lo lasciava trasparire Qui di seguito, invece, un resoconto tratto da Hurrà Juventus a firma di Angelo Caroli: Un colpo di spugna ad Atene. È il verdetto di Basilea, la deliziosa città nel nord della Svizzera, dove la Juventus conquista, il 16 maggio del 1984, la Coppa delle Coppe. Soltanto il Milan (due volte) e la Fiorentina hanno iscritto il proprio nome nell’albo d’oro italiano della manifestazione. La Juventus insegue un altro sogno internazionale dopo quello coronato nel 1977 a Bilbao, in Coppa Uefa. Basilea è straordinariamente bella, le costruzioni sono carezze al verde smeraldo dei prati e dei campi. Il Medio Evo si respira negli angoli delle strade, nei selciati dei viali, nelle piazzette che spuntano come incantesimi improvvisi, nelle torri con gli orologi, nelle colonne e nelle fontane che rappresentano allegorie campestri, guerresche e religiose. La Juventus vi approda in un giorno di primavera. Il cielo ha il colore dei pastelli e sfuma all’ora del tramonto in un rosa struggente. La vigilia è scandita da un’eccitazione strana: c’è bagarre per i biglietti che scarseggiano e che puntualmente ricompaiono, nelle mani dei bagarini, il giorno della finale. Il ricordo della sconfitta di Atene in Coppa Campioni, le immagini dei bianconeri più simili a fantasmi che a calciatori, il pianto di tifosi vinti dal disinganno sono fotogrammi da cancellare. È l’imperativo categorico e Trapattoni fa leva su questi elementi psicologici per preparare il match con il Porto. La Juventus conta ancora su cinque Campioni del Mondo (Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli e Paolo Rossi; non c’è più Zoff, che ha scelto la strada del pensionamento per raggiunti limiti d’età). Tacconi, Bonini, Brio, e Vignola completano la truppa italiana, gli stranieri sono Platini e Boniek, due assi di Coppa. Trapattoni conosce i portoghesi per averli osservati attraverso i videotapes. Li studia con ossessione. La zona, il pressing, il rischioso espediente del fuori gioco. Tutto è mandato a memoria, con puntiglioso scrupolo. Trapattoni è come un elefante, non dimentica i rilievi che gli vennero mossi all’indomani della sconfitta con l’Amburgo, ad Atene nel 1983. E sono diventati, con il tempo, scheletri scomodi dentro l’armadio delle sue ambizioni. Perciò nella vigilia di Basilea, il Trap convince Platini ad una posizione prudente, a rinunciare a licenze stilistiche per mettersi al servizio del collettivo. Un sacrificio tattico val bene una Coppa! L’arbitro è il terribile Prokop della Germania democratica, un dirigente industriale che ha partecipato ai Mondiali di Argentina e di Spagna. Le dichiarazioni degli strateghi, Trapattoni da una parte ed Antonio Morais dall’altra, si sviluppano secondo temi diversi: il Trap è sicuro di essere il più forte e dispone di uomini goal come Platini, Boniek e Paolo Rossi; Morais si sente più debole, ma ricorda la finale di Atene, quando i super favoriti bianconeri chinarono il capo davanti al sinistro infido di Magath. Inoltre, il trainer portoghese sa di contare più sul complesso che sulle individualità. L’aspetto scenografico si annuncia stupefacente. La Svizzera assiste, in quei giorni, al più colorito e massiccio trasferimento di tifosi. Quelli bianconeri sono 50.000 ed arrivano con ogni mezzo, percorrendo strade perfino impossibili, e sono pacificamente chiassosi. Il serpente di macchine di fan juventini sembra che raggiunga i 200 chilometri di lunghezza. Inaudito! Ma non tanto, se si pensa che la “Vecchia Signora” è la squadra che vanta il maggior numero di sostenitori in Europa. Nel giorno della finale, alle 18:30 della sera, lo stadio St.Jakob è un’esplosione di pacifica ebbrezza. I 10.000 portoghesi, paganti per la verità, oppongono una resistenza un po’ sbiadita nell’innocente gioco di colori. Il tramonto è dolcissimo anche se nell’aria c’è un vago annuncio di pioggia. All’improvviso, un treno dipinto in bianco e nero sbuca da un filare di alberi fioriti. E sembra sfiorare i muri di cinta dello stadio. È una tradotta con un carico di tifosi juventini. Quando passa davanti al St.Jakob, il macchinista mette in funzione il segnale festoso, è un fischio che attira l’attenzione del pubblico che affolla lo stadio. Ma già s’intravvede, più indietro, un secondo convoglio con un carico di bandiere bianconere. Sono attimi di commozione. La partita è stupenda. La Juventus ha appena vinto lo scudetto e tenta il bis in Coppa, come nel 1977, quando aggiunse al titolo italiano una prestigiosa Coppa Uefa. È definita, quella di Basilea, una battaglia di stili e di uomini. Spunti di notevole intensità tecnica da una parte, compattezza strategica dall’altra. Fiammate bianconere illuminano il cielo di Basilea, che si fa sempre più triste e piovigginoso; un gioco consorziale è quello dei portoghesi che sono organizzatissimi. Vignola, piccolo centrocampista dal sinistro preciso come un cecchino, fa esplodere di gioia lo stadio dopo 13 minuti. L’illusione che il match sia deciso da quella prodezza non contagia nessuno, anche se il più delle volte il successo in Coppa va alla squadra capace di passare in vantaggio. Trascorrono infatti sedici minuti e Sousa rimette tutto in gioco con un pallone molto tagliato. Il Porto mostra la miglior immagine di sé, perfino inedita, la Juventus non indulge a raffinatezze tecniche e leziosismi stilistici e pensa soltanto a dare concretezza agli schemi. La vecchia guardia, da Tardelli a Gentile (partita superlativa, la sua), da Cabrini a Brio e Bonini, si rimbocca le maniche ed estrae la scimitarra dal fodero. I fendenti della difesa tengono a distanza il pericoloso Frasco, il cannoniere Gomes, ex scarpa d’oro, ed il vitale Vermelhinho. L’umiltà e la determinazione della Juventus hanno il sopravvento. Dall’esperienza di Atene trae utilissimi insegnamenti. Platini si sacrifica in un gioco oscuro ma utile e tiene impegnato Pacheco che lo marca da vicino, alla faccia della zona. Boniek cresce con il trascorrere dei minuti e diventa per il Porto una mina vagante. Il pubblico è rapito da quel gioco senza pause, senza risparmi di risorse fisiche e mentali. Quattro minuti prima che i giocatori imbocchino il boccaporto che conduce negli spogliatoi per la sosta, la dama in bianco e nero passa di nuovo in vantaggio. L’iniziativa a percussione è del polacco Boniek. Zibi è attorniato da tre avversari, compreso il portiere Zé Beto, e la sua straordinaria potenza muscolare gli permette di sfondare quel muro. Lo stadio ha un sussulto. Ma non è fatta. Manca ancora un tempo da consumare. Il tema non cambia, nella ripresa: il Porto non si rassegna, attacca con manovre ad ampio respiro e porta le offensive per linee esterne. Il cuore della “Signora” è robusto, la vecchia guardia si esalta, Gentile diventa il protagonista di una difesa insuperabile. La partita a scacchi tra Antonio Morais e Giovanni Trapattoni è vinta dal tecnico lombardo, Vignola e Boniek sono gli alfieri che danno “matto” al Porto. La Juventus conquista la seconda coppa internazionale, aspetta quella dei Campioni, al cui assalto si dedicherà a partire dal settembre successivo. Negli spogliatoi c’è l’aroma inebriante della felicità. Soltanto per Boniek e Gentile l’aria è di smobilitazione. L’Avvocato ha parole di elogio per il polacco, ma con una eloquente riserva: «È stato molto bravo, ma un giocatore non si deve giudicare per una sola partita. Del futuro non mi piace parlare». Trapattoni sospira: «Atene è vendicata ed i tifosi che quella volta rimasero delusi possono rifarsi oggi». Boniperti esulta, madido di tensione, sudore e spumante. Aveva promesso di restare legato 90 minuti alla sedia della tribuna d’onore. Non ha resistito ed ha aspettato il termine delle operazioni nel chiuso dello spogliatoio. Sofferenza o scaramanzia? Un dilemma al quale il presidente non saprà mai dare una risposta. Nemmeno per se stesso. Ricordo ancora oggi la tensione che mi accompagnava, l’incredulità nel vedere Paolo Rossi che nel finale di partita si mangiava gol praticamente già fatti. E tutte quelle bandiere bianconere che sventolavano: sembrava che fossimo un “corpo unico”, sugli spalti ed a casa, il Popolo Juventino! Alla fine, che goduria! E voi? Qualcuno ha dei ricordi che vuole condividere? Grazie anticipatamente a chi vorrà partecipare Un caro saluto (*): quante cose sono cambiate; ricordi personali e fatti accaduti: nel 1984 la Apple metteva in commercio il primo PC della serie Macintosh Veniva inventato il videogioco Tetris Presidente della Repubblica era ancora Sandro Pertini, al Governo Bettino Craxi. Moriva Luigi Berlinguer Negli Stati Uniti il Presidente è Ronald Reagan Strage del Rapido 904 Carlo Rubbia vince il Nobel per la fisica Esce C’era una volta in America, capolavoro di Sergio Leone Esce Non ci resta che piangere, con Benigni e Troisi Springsteen pubblica Born in the USA Prince pubblica Purple Rain De André pubblica Creuza de mä A Sanremo vincono Al Bano e Romina con “Ci sarà” Le Olimpiadi si svolgono a Los Angeles, con la consacrazione del “figlio del vento” Carl Lewis; quelle invernali a Sarajevo (la guerra in Bosnia -Erzegovina era ancora lontana) La Roma perde in casa la finale di Coppa dei Campioni (chi c’era, non può aver dimenticato Bruce Grobbelaar!) Moser vince il Giro d’Italia, Fignon il Tour de France Niki Lauda su McLaren vince mondiale Formula 1 L’auto più venduta in Italia è la Fita Uno
  10. juventino milanese

    16 maggio 1984, la Coppa delle Coppe è bianconera

    Siamo in tanti a provare questa sensazione. Vorrei citare una frase di Nelson Mandela: “Il ricordo è il tessuto dell’identità” Come Juventus, dovremmo sempre guardare in avanti, alla prossima partita, al prossimo trionfo. Ma ricordare quei momenti, dove potevi vincere o perdere accettando (normalmente) il verdetto del campo, aiuta a rafforzare il nostro essere, la nostra percezione di appartenenza. C'è chi ha avvelenato i pozzi, reso insalubre l'aria, ucciso la competizione e la sana rivalità sportiva; sta a noi tifosi decidere con che occhi e quale spirito guardare il nostro calcio. Buon pomeriggio
  11. Non sono stelle, sono asterischi. Caro Stefano, grazie ancora per i preziosi aneddoti che ci regali. Un'ora di permesso dal lavoro ben spesa. Buona giornata
  12. Che palle ste frasi fatte. Campionato ormai finito, piuttosto rispondi che nonostante gli sforzi avete fatto una stagione mediocre. Perché sentire ripetere che dovete lavorare, e di miglioramenti se ne vedono assai pochi, finendo per altro regolarmente sotto sul piano fisico, ad una certa sembra che ci prendiate per il *
  13. juventino milanese

    Buon 5 maggio

  14. juventino milanese

    Guida in stato d'ebbrezza: Rugani a processo

    detto che prima di giudicare bisognerebbe conoscere come sono andate veramente le cose, la parte che ho citato è molto interessante. Dato che i soldi senz'altro non gli mancano, andare a sporcarsi un pò le mani non è certo una pena che molti di quei milionari accetterebbe volentieri. Anzi, la maggior parte avrebbe pagato facendosi pure una bella risata. Caro Daniele, vai a pulire un pò di sederi in qualche gerontocomio, ed avrai la mia massima stima
  15. Roger, già un'altra volta abbiamo avuto un malinteso. Per me nessun problema, sei un fratello gobbo che leggo comunque con piacere; per farti capire meglio il mio punto di vista leggi le risposte che ho appena fornito a Manny. Ciao
  16. Ho sempre pensato che il mio scritto e parlato non sia particolarmente all'altezza, ma dirsi convinto che molti farebbero come me, non vuol dire dare per scontato che siano la maggioranza. Per carità, se vuoi aprire un sondaggio fai pure, non mi cambia la serata. Per farti capire con chi hai a che fare, ti dico solo che alcune di quelle inutili partite le ho viste pure io (non tutte, ad una certa età cala la palpebra) e ad alcune, persino all'estero, anche de visu. Mi ripeto, qui si parla solo ed esclusivamente nello scegliere tra una finale di CL ed una partita inutile, senza pretese e di fine stagione, di questa Juve. Se pensi che stia tacciando di ipocrisia tutti coloro che non la pensano come me, mi scuso. Il mio riferimento era verso gli amici che sparano la boutade, l'acchiappalike, meglio un Juve-Vigliano Biellese di Real-Bayern! Qui, se permetti, mi ferisci, e mi viene persino il dubbio che stai cercando di provocarmi; la presunzione è proprio un atteggiamento che non mi appartiene, sul forum e nella vita di tutti i giorni; scrivo poco per mancanza di tempo, ma quando lo faccio cerco sempre di pormi in uno stato di pari dignità verso l'interlocutore, che spesso per altro esprime concetti migliori dei miei, ed in maniera più efficace. Se do quest'impressione, riprendetemi, richiamatemi, bannatemi. Per cui l'accusa di pretendere alcunché, non sta proprio ne in cielo ne in terra. Ciao
  17. No Manny, sono parole che non ho mai detto. Non do per scontato proprio niente; parlo di scelta, in caso di contemporaneità per altro non consentita, tra una ipotetica partita senza significato e di fine stagione di questa Juve ed una finale di CL tra 2 squadre che esprimono un bel calcio. Non ho alcuna pretesa di avere ragione, e nemmeno la cerco, ma resto convinto che sarebbero in molti quelli a scegliere di guardare la CL. E, come ti ho detto in precedenza, non provare emozioni per questa Juve non vuol dire essere diventato un semplice appassionato. La Juve è sempre una sorta di religione, ma ho gli occhi per vedere ed il cuore per giudicare. Ma ho capito, certe volte è meglio sparare ipocrite panzane, fa più fico e attira consensi. Con la consueta stima, un saluto a tutti
  18. Interpretazione che dai tu delle mie parole. Ho scritto potrebbe. Non sono un ipocrita alla ricerca di like, come qualcuno che guarda caso si è fiondato come un avvoltoio, io un Juve(questa Juve)-Frosinone di fine stagione, senza significato di classifica, lo lascio volentieri a te, vero tifoso bianconero. Io, che per la Juve ho pianto, litigato, speso migliaia e migliaia di euro, ed altro che tu nemmeno immagini, evidentemente non mi posso definire tale, perché come hai scritto in precedenza l'amore si dimostra in ogni momento; e mi guardo Real- City. Ma per piacere.....
  19. Non sono d'accordo. L'amore per la Juve non si dimostra solamente guardandola "a prescindere". Anzi, non guardare quelle partite-scempio che spesso ci vengono propinate potrebbe essere giudicato un gesto d'affetto, uno sprone a fare in modo che i nostri eroi tornino a farci provare le famose emozioni. E poi, senza ipocrisia, sarei proprio curioso di sapere quante persone preferirebbero guardare un Juve - Frosinone (o una partita a caso di fine stagione senza nessun significato per la classifica) se venisse giocata in contemporanea (cosa per altro vietata dai regolamenti, ma è per rispondere alla discussione) ad una finale di Champions tra Real e City.
  20. durante l'era della triade, dal 1994 / 1995 al 2005 / 2006, la Juventus ha vinto 7 scudetti, il Milan 3, Lazio e Roma una volta a testa. Le merdacce nemmeno una. Le merdacce sono arrivate seconde 2 volte (dietro la Juve) Le merdacce, anche nel caso gli avessero regalato altri scudetti arrivando terzi dopo Juve e Milan, non sarebbero mai arrivati a 25. Quindi Moratti, oltre ad essere brutto come la fame, è ignorante come una capra:
  21. Del Bayern e del Real frega il giusto anche a me: quindi veramente poco, anzi direi che entrambe le società mi stanno discretamente sulle balle. Nel mio primo contributo a questa discussione spiegavo però che partite come Real - City riconciliano con la bellezza di questo gioco meraviglioso. Quindi vedere i continui capovolgimenti di gioco, per altro accompagnati da gesti tecnici di primissimo livello, crea emozioni. La Juve attuale, diciamolo chiaramente, è una noia. Opinione personale, giocatori mediocri e tattica alla Nereo Rocco. L' unica forte emozione che ci ha regalato è stata l'incazzatura di vederla ancora una volta oltraggiata da questo schifo di sistema-calcio italiano, senza possibilità e vera volontà di difesa. Dici che probabilmente sto diventando simpatizzante e non più tifoso? Non lo so, non credo. Come dicevo ad altro amico in precedenza, le notizie sulla Juve sono sempre le prime che cerco, persino in un momento come questo dove la cronaca di tutti i giorni dovrebbe portare le nostre menti altrove. L' ho seguita (anche nei momenti più bui) e la seguirò sempre, nella speranza che possa riaccendere quella passione sopita, quelle emozioni al momento scomparse. A breve avremo modo di vedere la finale di Coppa Italia: il rischio forte è quello di essere sconfitti dall'Atalanta (ottimo percorso negli ultimi anni, ma stiamo sempre parlando dell'Atalanta...); la speranza è quella di vincere, sempre e comunque, magari esprimendo un buon calcio e possibilmente con emozioni positive, non solo lacrime e sangue e quella sensazione di vuoto assoluto. Un saluto
  22. Sarà che ne ho viste tantissime, forse sei più giovane di me, ma personalmente emozioni forti questa Juve non le accende. Credimi, per anni ci sono stati momenti che l'adrenalina era talmente forte che durante la partita dovevo nascondermi sul balcone od in bagno, possibilmente quello chiuso e con la ventola al massimo, per evitare l'infarto o il tracollo. A volte mi sono persino perso azioni leggendarie (il gol di Nedved contro il Real, ad esempio, lo vidi solo al replay. Durante i rigori nella finale di Roma -in presenza all'Olimpico- avevo persino perso lucidità nel conteggio, e gli amici mi dovettero risvegliare dallo stato vegetativoi n cui ero sprofondato). Una sofferenza, un godimento, un turbinio di emozioni che da 3-4 anni non provo più.
  23. Caro amico, affermazione vera al 100%. Ed io mi posso definire malato cronico, tant'è vero che nonostante il periodo storico, le incazzature ed il gioco narcolettico, la prima cosa che faccio quando accendo il device è quella di controllare se ci sono notizie sulla nostra amata. Ma la domanda dell'autore della discussione è chiara: E la risposta, nel mio caso, è no. Molto più emozionante Real- City del recente Juve-Milan (affermazione impensabile fino a qualche anno fa). Addirittura 2 sport diversi. Amo la Juve, ma i mal di pancia per la tensione, la gioia per le vittorie e la delusione per le sconfitte, sono emozioni che attualmente non provo più.
  24. juventino milanese

    30 anni dalla scomparsa di Ayrton

    Buongiorno a tutte ed a tutti. Il 1° maggio 1994 moriva uno dei più grandi piloti della storia della Formula 1, per molti forse il migliore. Non ero un suo tifoso, come tanti altri tifavo Ferrari, la rivalità con il francese Alain Prost caratterizzò molto quegli anni, ma gli riconoscevo una superiorità indubbia. Personalmente, tra le altre cose, ricordo una capacità straordinaria nel saper frapporre tra sé ed il diretto inseguitore un "doppiato", superandolo poco prima della parte mista del circuito, facendo in modo che quest'ultimo facesse da "tappo" e quindi sottraendo preziosi decimi di secondo a chi cercava di avvicinarsi. Ma non era certo solo questo il suo più grande talento: 3 volte Campione del Mondo 41 Gran Premi vinti 80 volte sul podio 65 volte in pole position Ma i numeri non dicono tutto: insuperabile nella guida sotto la pioggia, fortissimo nei circuiti cittadini (detiene ancora adesso il record di vittorie a Monte Carlo), eccezionale nella messa a punto del veicolo e nella scelta degli pneumatici. Il 1° maggio 1994 si correva il Gran Premio di San Marino, autodromo di Imola. Quel pomeriggio io e altri amici ci stavamo recando con il pullman allo stadio (uno dei tanti Juventus Club che all'epoca percorrevano, come un serpentone unico, la Milano - Torino); la partita per la cronaca era contro l'Udinese e vincemmo 1-0 con gol del compianto Gianluca Vialli. Ricordo lo sgomento e la preoccupazione nel vedere su quei piccoli televisori l'incidente alla curva del Tamburello, ed il pilota immobile a parte un lieve movimento del capo. Non ricordo nulla della partita, ma ho ben impresso nella memoria il pensiero che quel giorno sarebbe mancato una Leggenda dello Sport (la dichiarazione ufficiale venne fatta poco prima delle 19). Quel weekend a Imola fu tragico, ci fu anche la morte il giorno prima del pilota austriaco Ratzenberger, e numerosi incidenti caratterizzarono tutto il fine settimana. Qui di seguito riporto una ricostruzione, fonte Wikipedia: La competizione è nota per essere stata uno degli eventi di Formula 1 con più incidenti dall'esito grave o mortale: nell'arco dei tre giorni di gara vi persero infatti la vita i piloti Roland Ratzenberger e Ayrton Senna, mentre Rubens Barrichello rimase ferito, così come (pur con esito meno grave) alcuni meccanici e vari spettatori, coinvolti passivamente in ulteriori incidenti verificatisi durante la corsa. Venerdì La sequenza di gravi incidenti che segnò il weekend ebbe inizio già nelle prove libere del venerdì: durante la sessione la Jordan di Rubens Barrichello, a causa del cedimento della sospensione posteriore sinistra e della velocità troppo elevata, uscì di traiettoria alla Variante Bassa, passò di traverso sul cordolo esterno e decollò, superando le gomme di bordopista e impattando contro le reti di protezione. L'auto quindi rimbalzò all'indietro, si cappottò un paio di volte e infine si fermò ribaltata nella via di fuga. Essendo manifesta la gravità della situazione, le prove vennero subito interrotte onde consentire di prestare i soccorsi. Barrichello venne estratto esanime dall’abitacolo e rianimato sul posto dai sanitari: ripresi i sensi, venne trasportato al centro medico e in seguito all'ospedale, ove venne stabilizzato e medicato (avendo riportato una frattura al setto nasale, tagli alla bocca, un braccio rotto, una costola incrinata ed una leggera amnesia). Pur non potendo prendere parte al resto dell'evento, già la mattina del sabato si ripresentò nel paddock. Sabato Il secondo incidente avvenne durante le prove ufficiali di sabato 30 aprile: Roland Ratzenberger era impegnato in un giro lanciato nel tentativo di abbassare il suo tempo di qualificazione. Giunta nel rettilineo all'uscita della curva Tamburello, la Simtek del pilota austriaco subì la rottura dell'ala anteriore: il brusco calo di deportanza e l’elevata velocità (314,9 km/h) la resero ingovernabile, mandandola a sbattere contro il muro esterno della successiva svolta, intitolata a Gilles Villeneuve. Nel forte impatto la cella di sopravvivenza dell'abitacolo resse abbastanza bene, ma la decelerazione fu tale da far perdere immediatamente conoscenza al pilota, provocandogli una frattura della base cranica. Anche stavolta la gravità della situazione fu subito manifesta: mentre il relitto della vettura (rimbalzato contro il muretto) continuava ad andare in testacoda per poi fermarsi in mezzo alla curva Tosa (successiva alla Villeneuve), si vide distintamente la testa del pilota oscillare mollemente, appoggiata ai bordi dell'abitacolo. L'allarme fu ancora una volta immediato e fu esposta la bandiera rossa: in due minuti i medici di pista, diretti dal dottor Sid Watkins, si accostarono alla Simtek, trovando Ratzenberger privo di sensi e con copiosa perdita di sangue dalla bocca e dal naso. I sanitari intervennero su di lui dapprima nell’abitacolo, dopodiché lo estrassero e lo distesero a terra, tentando di rianimarlo. Dopo essere riusciti quantomeno a farlo uscire dall’arresto cardiaco, lo caricarono su un’ambulanza e quindi sull’elicottero del 118 Emilia-Romagna, che lo trasportò al pronto soccorso dell'Ospedale Maggiore di Bologna; a causa del grave trauma subito il pilota austriaco morì sette minuti dopo l'arrivo all'ospedale. La ricostruzione più credibile dell’incidente indicò come causa scatenante un danno all’alettone anteriore della Simtek, riportato durante il giro di lancio a causa di un probabile passaggio scomposto su un cordolo. Tale rottura non venne ravvisata né dal pilota né dal muretto, ma allorché Ratzenberger affrontò il rettilineo del Tamburello, il forte carico aerodinamico dell’alta velocità andò a spezzare definitivamente la superficie alare. A conforto di tale teoria vi furono le registrazioni delle telecamere Rai puntate su quel tratto di pista, una delle quali, poco dopo il passaggio della Simtek numero 32, riprese un oggetto di colore violaceo (visivamente compatibile con la forma del flap frontale) volare in mezzo al tracciato. Secondo le leggi italiane l'autodromo sarebbe dovuto andare immediatamente sotto sequestro a causa dell'incidente mortale, per consentire al pubblico ministero competente di effettuare i rilievi. Essendo però i medici riusciti a riattivare il cuore di Ratzenberger, il successivo decesso avvenne al di fuori del circuito e non comportò la sospensione del programma di gara. Era dal 1986 che un pilota di Formula 1 non moriva “sul lavoro” (l’ultimo era stato De Angelis nel corso di un test privato) e ancor più tempo era passato dall’ultimo accadimento luttuoso nel corso di un evento ufficiale (l’incidente di Riccardo Paletti al Gran Premio del Canada 1982). L'ambiente della Formula 1 ne risultò immediatamente traumatizzato: allorché le prove vennero fatte ripartire, Ayrton Senna e tutti i piloti della Benetton e della Sauber decisero di non effettuare altri giri (...) Domenica Il terzo grave incidente del weekend si verificò già alla partenza della gara: allo scattare del semaforo verde la Benetton di JJ Lehto, quinta in griglia, ebbe un problema tecnico e spense il motore, rimanendo ferma sulla piazzola. Le macchine che la seguivano scartarono bruscamente sui lati per evitarla, ma Pedro Lamy, partito dalle retrovie, si avvide dell'ostacolo solo all'ultimo momento: l'elevata velocità e la presenza di altre monoposto al suo fianco resero inevitabile il violento impatto, con la Lotus che letteralmente sfondò il retrotreno della Benetton, andando poi alla deriva per un centinaio di metri e fermandosi allo sbocco della pit-lane. Entrambi i piloti non riportarono conseguenze (salvo alcuni indolenzimenti), ma i detriti persi dalle auto coinvolte volarono in tutte le direzioni; alcuni di essi scavalcarono le recinzioni e finirono sulle tribune ferendo nove spettatori, dei quali uno, colpito da una gomma, rimase qualche giorno in coma. Poiché il rettilineo dei box si era riempito di detriti, la direzione di gara ordinò l'ingresso in pista della safety car (condotta dal pilota Max Angelelli), per rallentare i concorrenti e dare modo ai commissari di ripulire il tracciato e spostare i relitti delle auto incidentate. (...) Una volta pulita la pista la gara riprese: Senna aveva mantenuto il comando e subito segnò un buon tempo cronometrato (risulterà essere il terzo crono più veloce della gara), inseguito a breve distanza da Schumacher. Nel corso del settimo giro, alle ore 14:17, la Williams del brasiliano approcciò normalmente la svolta del Tamburello a una velocità di circa 310 km/h. In questo frangente il piantone dello sterzo (modificato frettolosamente dai meccanici su istruzioni dello stesso Senna prima della gara) cedette alle sollecitazioni e la vettura divenne ingovernabile. Senna, accortosi di non riuscire a curvare e di stare andando dritto, frenò bruscamente fino a ridurre la velocità a 211 km/h, ma la via di fuga era troppo stretta: nel giro di 2 secondi la Wiliams impattò con un angolo di circa 22 gradi contro il muretto a bordo pista. La grande energia cinetica fece rimbalzare la macchina all'indietro verso la pista: essa toccò di traverso la striscia d'erba che separava il tracciato dalla via di fuga e ritornò verso l'esterno, per poi arrestarsi una cinquantina di metri più avanti. Nella carambola una sospensione dell'auto si spezzò con ancora attaccata la gomma e colpì Senna alla testa, provocandogli un grave trauma cranico: il braccio scheggiato della sospensione penetrò nel casco attraverso la visiera, ferendo gravemente il pilota nel lobo frontale destro, poco sopra l'occhio. Resasi conto dell'immobilità del pilota nel relitto della macchina (salvo alcuni lievi spostamenti del capo probabilmente dovuti alle lesioni a livello cerebrale), la direzione di gara espose la bandiera rossa e chiamò i soccorsi. Nel giro di due minuti i medici guidati dal dottor Sid Watkins intervennero presso la vettura. Le condizioni di Senna erano palesemente gravissime: il pilota era esanime e la testa era mollemente appoggiata al bordo laterale dell'abitacolo. I sanitari sfilarono il casco al pilota tagliando la cinghia di ritenuta, constatando che il brasiliano era in stato di gasping: oltre alla ferita sopra l'occhio destro manifestava una fuoriuscita di sangue dal naso e dalla bocca e non reagiva ad alcun tipo di sollecitazione. Lo estrassero dalla vettura e lo stesero a terra per stabilizzarlo: anzitutto si provvide a tenergli aperte le vie respiratorie con la praticazione di una tracheotomia d'urgenza, a tamponare l'emorragia e a trasfondergli del materiale ematico. Watkins, appurata l'estrema gravità della situazione (a posteriori dichiarò di aver avuto "la percezione che il suo spirito lo stesse abbandonando in quell'istante", dopo aver osservato un improvviso rilassamento del corpo del pilota), chiese l'intervento dell'elisoccorso, che in modo del tutto inedito per la storia della Formula 1 fu fatto atterrare direttamente in pista, presso il sito dell'incidente. In quei momenti concitati qualcuno autorizzò erroneamente il rientro in pista di Érik Comas, che non era ripartito insieme agli altri all'uscita della safety car, ma era rimasto fermo a lungo nei box per riparare l'alettone posteriore rovinato da una toccata. Il francese della Larrousse, ignaro della situazione, arrivò al Tamburello a discreta velocità, evitando per poco di investire i mezzi di soccorso. Incredulo per la situazione creatasi, egli uscì dalla vettura per sincerarsi dello stato del collega ferito (che peraltro qualche tempo prima l'aveva a sua volta soccorso a seguito di un incidente in gara). Quindi, prima che la direzione di gara lo squalificasse per il grave pericolo causato, decise sua sponte di ritirarsi dalla gara. Alle ore 15:00 Senna venne caricato a bordo dell'elicottero, che decollò dalla pista alla volta dell'Ospedale Maggiore di Bologna: al seguito del pilota si imbarcarono il dottor Watkins e il primo assistente Giovanni Gordini, medico anestesista. Durante il volo gli fu trasfuso altro sangue, per un totale di 4,5 litri. (...) A gara conclusa tutte le attenzioni si concentrarono sulle condizioni di salute di Ayrton Senna, che era nel frattempo giunto all'ospedale di Bologna. L'équipe del reparto di rianimazione guidata dal primario dottoressa Maria Teresa Fiandri (che aveva raggiunto il nosocomio subito dopo aver visto l’incidente in televisione) esaminò sommariamente il pilota, constatando che l’unica ferita visibile era quella già citata sopra l’occhio destro (larga tre o quattro centimetri), oltre a un complessivo gonfiore del viso (altrimenti disteso e sereno), mentre il resto delle membra appariva illeso. Allorché tuttavia lo spostarono dalla barella si accorsero che essa era piena di sangue, in quantità giudicata sproporzionata rispetto alle lesioni visibili. La squadra medica provvide subito a trattare l'insufficienza cardiaca e respiratoria in cui versava Senna, fino a quasi stabilizzare polso e respirazione; di tale situazione venne dato conto in due bollettini medici che vennero letti dinnanzi alla folla di giornalisti che si era raccolta presso il reparto di rianimazione, mentre la gara era ancora in corso. In seconda istanza, dopo un consulto con il dottor Gordini (che fin da subito dichiarò nulle le speranze di arrivare a buon fine), il pilota fu sottoposto a TAC ed elettroencefalogramma, che rivelarono tutta la gravità dei traumi subiti e l’assenza di attività cerebrale. Tutto ciò non era tuttavia sufficiente, ai sensi delle leggi italiane in vigore, a dichiarare la morte, che nelle normative era intesa come cessazione dell'attività cardio-respiratoria. Alle ore 18:15 Leonardo, fratello del pilota (che aveva raggiunto l’ospedale insieme all’addetta stampa Betise Assumpcao), chiamò un prete affinché amministrasse ad Ayrton l'estrema unzione: a stretto giro la dottoressa Fiandri li raggiunse ed espose loro il risultato degli esami, avvertendoli dell’irreversibilità dello stato comatoso, per poi dare analoga infausta prognosi anche agli operatori mediatici. Allorché alle 18:37 subentrò un nuovo arresto cardiocircolatorio, l'equipe medica decise di non insistere ulteriormente: tre minuti dopo la stessa dottoressa Fiandri si presentò nella sala stampa improvvisata al 12º piano dell’Ospedale Maggiore, annunciando ai giornalisti ivi convenuti il decesso di Senna. Nel referto l'ora effettiva della morte venne tuttavia indicata alle 14:17, momento dell'impatto con il muretto, sebbene il suo cuore abbia cessato di battere alle 18:40, a significare come ogni tentativo di salvataggio fosse stato vano. I funerali di Stato di Senna, ebbero luogo il 5 maggio 1994 a San Paolo in Brasile, alla presenza di tantissimi rappresentanti del mondo delle corse. Il 7 maggio, invece, ebbero luogo a Salisburgo, in Austria, i funerali di Roland Ratzenberger, alla presenza del presidente della FIA, Max Mosley. L'incidente di Senna resterà l'ultimo con conseguenze mortali in una competizione di Formula 1 fino al Gran Premio del Giappone 2014, segnato dal grave incidente occorso al francese Jules Bianchi, poi deceduto il 17 luglio 2015 dopo più di 9 mesi di coma. Concludo inserendo un brano di Lucio Dalla Buon primo maggio
  25. Partite come quella di ieri sera, o anche come Manchester City - Real, riconciliano con il gioco del calcio. Non capisco come si possa preferire vedere una partita di questa Juve, dove il pallone viaggia in orizzontale alla stessa velocità di un 90enne che attraversa le strisce pedonali, correndo il rischio di addormentarsi e non risvegliarsi più. Detto da uno che prendeva giorni di ferie per andare a vedere anche le amichevoli.
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