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Il 30/10/2023 Alle 18:44, Deathclaw bianconero ha scritto:Premesso - spero in maniera superflua - che quando riporto un articolo non significa che ne condivida al 100% il contenuto, anch'io credo che la parte da te quotata sia una forzatura di Galli della Loggia (non fosse altro per il fatto che Israele ha alleanti molto potenti...), ma sulla tesi di fondo credo ci sia ben poco da ridere e da obiettare, anzi...chiunque abbia un minimo di senso storico della realtà - e senza inutile modestia, da appassionato di storia e assiduo lettore, credo di averne un minimo - sa che stiamo parlando di una verità fattuale.
Già che ci siamo, altra proposta di lettura a mio avviso interessante, in quanto complessa, da altro noto sionista...
QuotoIl terrore di Hamas, i diritti, la pace
L’antisemitismo può essere solo condannato e contrastato: chi nega a Israele il diritto di esistere va combattuto. Ma nelle università italiane e anglosassoni non ci sono solo antisemitiIllustrazione di Doriano SolinasL’antisemitismo può essere solo condannato e contrastato. Dall’assalto ai passeggeri all’aeroporto in Daghestan, alla violazione della bandiera alla Fao di Roma: chi nega agli ebrei e a Israele il diritto di esistere va combattuto. Tuttavia sarebbe sbagliato considerare l’ondata di empatia per la Palestina che pervade anche l’Occidente come una pura manifestazione di antisemitismo. Che, ripeto, esiste, a sinistra come a destra, e va fermato. Ma nelle università italiane e anglosassoni non ci sono soltanto antisemiti.
Ci sono molti giovani convinti che i miliziani di Hamas, pur usando metodi inaccettabili, stiano lottando per i diritti dei palestinesi e dei popoli arabi. È a loro, a quei giovani, che possiamo e dobbiamo parlare. Per dire che stanno prendendo un abbaglio. Non soltanto Hamas ha commesso il 7 ottobre un orrendo crimine. Non soltanto Hamas usa oltre due milioni di civili di Gaza come scudo umano. Non soltanto Hamas fa il male dei palestinesi. Dietro Hamas c’è il Qatar, che tratta gli immigrati come abbiamo visto nei giorni dei Mondiali di calcio: senza tenere alcun conto non soltanto dei diritti umani figli della Rivoluzione francese, ma neppure dell’uguaglianza degli uomini di fronte a Dio, che è uno dei fondamenti dell’Islam; perché ci sono luoghi in Qatar in cui un lavoratore egiziano o pachistano o anche palestinese non può entrare, essendo riservati ai qatarini e agli occidentali, oltre ovviamente ai capi di Hamas come Ismail Haniyeh che, a differenza dei civili di Gaza, non sono sotto le bombe ma comodamente ospitati a Doha. E dietro Hamas c’è l’Iran, che tratta le donne come abbiamo visto in questi giorni: le fa bastonare a morte dalla «polizia morale» — si chiama proprio così — se non portano correttamente il velo.
Dei diritti umani, ad Hamas e ai loro finanziatori e sostenitori non importa assolutamente nulla. Vogliono prendere il potere in Cisgiordania dopo averlo preso con le armi a Gaza, trasformando una vittoria elettorale in una dittatura del terrore.
Ogni dittatura, come ogni gruppo terroristico, ha sempre una base di consenso, che è difficile da misurare, visto che il dissenso non è tollerato. Tuttavia la grande maggioranza della popolazione di Gaza oggi è di fatto ostaggio di Hamas. Che Israele sia determinato a eliminare Hamas dal Medio Oriente è del tutto comprensibile. Ma non basterà ucciderne i capi. Nella primavera del 2014 Ariel Sharon uccise in tre settimane il leader spirituale di Hamas, lo sceicco Yassin, e il leader politico, Abdel Aziz Rantissi; e Hamas si diede dei capi ancora più spietati. Per eliminare il terrorismo occorre isolarlo politicamente e finanziariamente. In questo momento sta accadendo il contrario, come dimostrano le parole — gravissime — di Erdogan, che non condivide certo i nostri valori, ma ci piaccia o no comanda il secondo esercito della Nato ed è stato rieletto presidente della Turchia cinque mesi fa con ventotto milioni di voti. Infatti Biden, che non è certo nemico di Israele, sta cercando di frenare Netanyahu, per evitare sia lo spargimento di sangue innocente, sia l’allargamento del conflitto.
Chi si sta occupando dei civili di Gaza? Non l’Egitto, che ha chiuso il valico di Rafah e rifiuta di accogliere profughi. Non la comunità internazionale, che non ha voluto o potuto aprire corridoi umanitari, anche via mare.
Chi si sta occupando dei palestinesi della Cisgiordania? Neppure loro sono un blocco monolitico. A Jenin, al Nord, è forte la Jihad islamica; a Hebron, a Sud, Hamas; Ramallah resta la sede — assaltata ogni notte e difesa dalla polizia — dell’Anp, l’Autorità nazionale palestinese, che per quanto screditata è al momento l’unico argine contro il terrorismo islamista. Per questo dalla crisi di Gaza non si uscirà soltanto con le armi.
Israele non si fermerà finché non avrà raggiunto un obiettivo militare tale da poter proclamare che il 7 ottobre è stato vendicato, e che alla fine pure questa guerra, dichiarata da Hamas, è stata vinta. Ma una prospettiva politica andrà pure aperta.
Non sono stati soltanto Netanyahu, e la maggioranza relativa dell’elettorato israeliano che l’ha sostenuto in questi anni, a illudersi che la questione palestinese potesse essere accantonata. Si sono illusi anche i governi arabi che avevano sottoscritto i patti definiti propagandisticamente «di Abramo», adesso finiti a loro volta nel cestino.
La pace si è rivelata un’illusione, dopo il fallimento di Oslo e della trattativa Barak-Arafat; ma anche l’idea di annettersi la Cisgiordania a colpi di insediamenti, come da promessa elettorale di Netanyahu, si è rivelata impossibile.
Se l’Occidente — gli Stati Uniti d’America e l’Unione europea — può ancora sperare di giocare un ruolo in questa crisi, deve aver ben chiaro chi è, quali sono i suoi valori, quali i suoi interessi. La sicurezza di Israele e i diritti dei palestinesi non sono incompatibili, anzi sono connessi. Non basta proclamare la necessità di uno Stato palestinese; nessun governante di Israele, neppure il più illuminato erede di Netanyahu, accetterà mai uno Stato palestinese in mano ad Hamas o a qualsiasi altro gruppo che non riconosca Israele, anzi sia deciso a distruggerlo.
Criticare il governo israeliano è cosa diversa dall’antisemitismo, certo. Ma nelle piazze dell’Occidente oggi si vedono sia l’odio anti-ebraico, sia l’abbaglio sulla vera natura di Hamas. E questi due inquietanti fenomeni non aiutano né la comprensione delle cose, né la coesione interna delle società occidentali: una forza di cui avremo grande necessità, in vista del tempo durissimo che ci è dato in sorte.
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Jan il Rosso è tecnicamente, fisicamente e mentalmente pronto a vincere i tornei Slam, il vero, grande traguardo di ogni grande tennista, e lui lo è.
Intanto però godiamoci le Finals di Torino; spero di poter andare almeno un giorno.
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QuotoPregiudizi d’Occidente sui palestinesi
Israele viene criticato perché si affiderebbe solo alla forza senza neppure immaginare una soluzione politica. Ma neanche dalla controparte arriva alcuna proposta
Nella stragrande maggioranza dei talk televisivi e dei commenti della stampa, nelle dichiarazioni pubbliche di tutto lo schieramento di centro-sinistra (ma non solo) ha sempre più spazio il tema «consigli ad Israele». Dovunque, infatti, è tutto un mettere in guardia Gerusalemme contro gli eccessi della reazione al pogrom del 7 ottobre da parte del suo esercito, a non esagerare, a fare attenzione alle conseguenze. Sempre, naturalmente, sulla base di una premessa che non ci si stanca di sottolineare: e cioè che da decenni Israele ha sbagliato tutto e che dunque proprio noi «che come si sa siamo suoi amici» abbiamo il dovere di dirglielo. Lo Stato ebraico, infatti, non avrebbe mai pensato ad altro che a resistere ma senza mai curarsi d’immaginare una qualunque soluzione per la «questione palestinese», avrebbe sempre mostrato un deplorevole vuoto di iniziativa politica, si sarebbe sempre cullato nell’illusione che bastasse tirare avanti. E oggi esso commette più o meno lo stesso errore: si mostra capace solo di reagire in maniera inconsulta, pensa solo a bombardare, sparare, invece di fare politica: e non capisce che così prepara unicamente altri mali a proprio danno. È chiaro dunque qual è il nostro dovere di amici dello Stato ebraico: «Aiutiamo Israele a uscire dal brutto vicolo cieco» come s’intitolava esemplarmente un articolo di Gad Lerner sul «Fatto Quotidiano» di qualche giorno fa.
Una cosa soprattutto mi colpisce di questa posizione comune a tanti in Occidente: il suo implicito atteggiamento profondamente paternalistico-razzista nei confronti dei palestinesi. Ma come? Israele non riesce a immaginare una soluzione politica? Israele conta solo sulla forza? E allora i palestinesi? I palestinesi invece? I palestinesi loro sì farebbero «politica»? Ma su questo mai una parola.
Consideriamo i fatti: da 80 anni, da quando sono riuniti in un «movimento nazionale», i palestinesi hanno a disposizione risorse finanziarie praticamente infinite assicurategli da un gruppo di Paesi tra i più ricchi della terra; godono dell’appoggio diplomatico evidente di Stati assai importanti e di quello, meno evidente ma non meno reale, di giganti del calibro di Russia e Cina; infine, come si vede in questi giorni, possono pure contare sulla simpatia anche di una parte non indifferente dell’opinione pubblica di questa parte del mondo.
Ebbene, come ha usato di tutto ciò il movimento palestinese in 80 anni? Si è forse preoccupato di definire una serie di obiettivi intermedi e ragionevoli alla propria azione? Ha forse mai indicato una soluzione complessiva ma minimamente plausibile e accettabile dalla controparte? Ha forse mai pensato di dar vita a un vero chiarimento al proprio interno e di liberarsi dei gruppi jihadisti antisemiti e stragisti? Di fronte alla evidentemente strabordante forza militare israeliana ha forse mai immaginato — come pure sarebbe stato ovvio — di ricorrere a forme di mobilitazione e di lotta non violenta, ad esempio a scioperi prolungati dei palestinesi stessi che quotidianamente lavorano in Israele, a scioperi della fame? Ha forse mai pensato di organizzare grandi meeting pacifici nelle capitali dell’Occidente per sostenere i propri obiettivi?
La risposta è scontata. Nulla di tutto questo è mai accaduto. In realtà da 80 anni il movimento palestinese è immerso nel nullismo politico più assoluto. Di fatto con un solo obiettivo, mai ripudiato realmente ed apertamente da nessuna delle sue componenti: cancellare Israele. In tutto questo tempo i palestinesi non hanno messo in campo alcun progetto, alcun obiettivo, non si sono dotati di alcuno strumento che possa far pensare a qualcosa che abbia minimamente a che fare con la politica. Non può fare certo piacere sottolinearlo ma è la pura verità: da sempre quel movimento sa dare notizia di sé in un solo modo: con la violenza. Spesso con la violenza più gratuita (tipo investire con un’auto dei passanti o tirare dei missili a casaccio); ovvero, come il 7 ottobre, nel modo sterminazionista che si è visto. E sempre o quasi sempre — non riuscendo a nascondere l’antisemitismo ossessivo che lo agita — la volontà di colpire non il nemico israeliano ma l’ebreo. L’ebreo e basta.
Ma lo sguardo dell’Occidente sembra quasi che si vergogni a trattenersi su questi aspetti certo non secondari della «questione palestinese». Sembra che si vergogni, ad esempio, a parlare — non sia mai detto a denunciare — della diffusissima corruzione di tutti i suoi gruppi dirigenti, della loro notoria mancanza di effettiva autonomia dal momento che ognuno di loro è di fatto alle dipendenze politico-finanziarie di questo o quello Stato islamico e delle sue strategie. Il laicissimo Occidente sembra quasi che si vergogni anche a considerare per quello che è il carattere tutto imbevuto di richiami religiosi, dai toni da guerra santa (altro che politica!), della propaganda dei suddetti gruppi dirigenti verso le stesse masse palestinesi; il fatto che quelle loro parole non indicano nulla, non portano a nulla, sono solo bellicose vuotaggini utili solo a eccitare gli animi e a nascondere l’assenza di una autentica e intelligente dedizione alla causa cui fingono di dare voce.
Ma l’Occidente non ha occhi per tutto ciò che viene e sta dietro il movimento palestinese. Per la sua effettiva realtà. Quasi che nel suo inconscio abbia posto il pensiero inespresso — e inesprimibile perché ispirato al più ovvio pregiudizio razzistico: «be’, lo sappiamo. Che cos’altro possiamo aspettarci da quella parte? Che cosa altro possono essere se non quello che sono?». E così Israele — alla quale all’opposto non ci si stanca di fare la lezione a ogni piè sospinto, di dare tutti i consigli che passano per la testa, della quale non ci si stanca di computare tutti gli errori veri o presunti — Israele diviene paradossalmente anche il paravento dietro cui si nasconde il nostro timore di dire la verità ai suoi nemici, di rivelare ciò che pensiamo davvero di essi.
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12 ore fa, ytoong ha scritto:Ciao Brooo, ti sei perso un momento di crescita del ns campione!!!
Mancano i thread dei migliori @Godai @Ronnie O'Sullivan AJOOOO
Ciao Bro....scusami ma è un periodo abbastanza trambusto (per usare un eufemismo) per me.
Ho visto poco tennis ultimamente, anche se scorro sempre l'app atp.
A presto!
PS Migliori? Io non sono solo un giocatore dilettante attempato; nel forum ci sono maestri di tennis e giovani tennisti molto bravi... Godai è lo Scriba.
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16 ore fa, Granpasso ha scritto:Tutto più o meno condivisibile ma io chiedo a te e a tutti: la preannunciata operazione di terra, i bombardamenti continui e indiscriminati, la distruzione di palazzi, chiese, ospedali e infrastrutture civili a Gaza cosa potranno produrre se non una strage peggiore di quella del 7 ottobre e un più che probabile allargamento del conflitto con conseguenze disastrose (Terza guerra mondiale) ? Hamas non è solo un'organizzazione terroristica ma un ideologia che non si può sconfiggere con le bombe. Quei ragazzini palestinesi che sopravviveranno alla guerra non potranno che crescere con un odio ancora più profondo nei confronti di Israele e degli ebrei in generale.
Ciao Bro, confesso di trovarmi a disagio a scrivere in OT su di un forum di calcio, per giunta di questi argomenti (ma non solo su di un forum di calcio, diciamo che sono molto poco social, quasi zero).
La tua è una domanda retorica e ne consegue un'implicita risposta scontata; ma dobbiamo partire da qualche presupposto: 1 Israele ha storicamente il sacrosanto diritto di esiste; 2 Israele è circondata da nemici che le negano questo diritto e che, potessero, annienterebbero gli ebrei cancellandoli dalla faccia della terra, terminando il lavoro iniziato e ben condotto da altri un'ottantina di anni fa; 3 il governo di Israele - che io ritengo SPREGEVOLE - ha il DOVERE di difendere i suoi cittadini; 4 ciò che è successo il 7 ottobre ha dell'incredibile ed è senza precedenti (se non, ripeto, mandando indietro le lancette della storia di ottant'anni) per brutalità, disumanità e violenza; è impossibile che rimanga senza conseguenze; un atto talmente efferato che il solo far cenno a rapporti di causa-effetto - che ci sono: tutto è consequenziale negli accadimenti della storia; è un'ovvietà; persino Auschwitz si può storicamente spiegare come conseguenza di accadimenti pregressi - sa tanto di inaccettabile, cinico ed ottuso giustificazionismo; per questo, per me, ha ragione da vendere Paolo Mieli, come ce l'ha Federico Rampini, due noti conclamati sionisti, fra l'altro...
Io non ho la verità in tasca, e quindi non so proporre soluzioni ad un problema forse irrisolvibile, perlomeno irrisolvibile nel breve e senza ulteriori spargimenti di sangue e grandi sofferenze per gli INNOCENTI e i deboli - e fra questi, la parte più debole è certamente la popolazione civile palestinese - il che mi fa provare veramente una grande amarezza.
E' una ferita che infetta il mondo, e la viltà e inutilità dell'Europa, in tutto ciò, ancora una volta, grida vendetta al cospetto del cielo.
PS Credimi, e non vado oltre: se qualcuno mi desse del filo-sionista sarebbe veramente la fine del mondo...
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QuotoIsraele, la strage e il mondo alla rovescia
L’atto originario dell’attuale conflitto, gli oltre mille abitanti di Israele sgozzati, bruciati vivi e in parte rapiti, quell’atto è pressoché scomparso dall’universo della comunicazione
Fino ad oggi il colpo più duro inferto ad Hamas glielo ha assestato una giovane giornalista araba, Rasha Nabil, che, intervistando su Al Arabya, il leader dell’organizzazione terroristica, Khaled Meshal, lo ha messo più volte in difficoltà. Al Arabya — rivale della qatarina Al-Jazeera — è un’emittente televisiva fondata negli Emirati arabi uniti una ventina di anni fa, ha sede a Dubai e gode di finanziamenti sauditi. Per il resto, la risposta di Israele allo sconvolgente attentato del 7 ottobre è stata fin qui inefficace, poco comprensibile e, ad ogni evidenza, controproducente. Nel mondo intero — eccezion fatta per piccole minoranze — s’è levata un’onda possente anti israeliana e sempre più spesso antisemita dalle proporzioni preoccupanti. Onda che ha trovato eco addirittura al vertice delle Nazioni Unite dove il segretario generale Antonio Guterres — pur senza abbandonarsi a stereotipi antigiudaici — dopo parole di condanna all’attacco del 7 ottobre che potevano apparire insincere, ha ricondotto la responsabilità dell’accaduto a «cinquantasei anni di soffocante occupazione israeliana». Un’enormità. Parole dall’innegabile sottinteso giustificazionista. Anche se, per eccesso di precipitosità, ha sbagliato il delegato israeliano a chiedere le dimissioni del segretario delle Nazioni Unite. Guterres in ogni caso non è solo.
L’atto originario dell’attuale conflitto, gli oltre mille abitanti di Israele sgozzati, bruciati vivi e in parte rapiti, quell’atto è pressoché scomparso dall’universo della comunicazione. Ha dovuto cedere il passo al «genocidio» perpetrato contro la popolazione di Gaza cui allude il segretario dell’Onu. Grandi personalità del mondo intero — anche quello occidentale — seguono il «modello Guterres» e si adeguano ogni giorno di più a questo modo impressionante di guardare a ciò che sta accadendo in Israele. Ogni residua speranza è affidata alle «mediazioni» del Qatar (tra i principali supporter di Hamas) grazie alle quali si riesce ad ottenere, goccia a goccia, la liberazione di qualche prigioniero. Persino in Israele i giornali dibattono su quando verrà l’ora di dimissionare Netanyahu — per alcuni è già scoccata — e descrivono senza autocensurarsi divisioni all’interno dell’esercito. Raccontano di dirigenti politici e militari il cui principale intento è quello di mettersi al riparo da contestazioni e accuse dopo, quando tutto sarà finito.
Ma verrà presto quel dopo? Possiamo dire che sia questione di giorni, di qualche settimana? Ci sia consentito di dubitarne. Ogni paragone con le guerre del passato è improprio. Nel senso che quelle di cinquanta, sessant’anni fa (1956, 1967, 1973) furono guerre di uno Stato contro altri Stati. E in parte anche per quel che riguarda il Libano fu così. Ma contro le organizzazioni terroristiche — soprattutto se, come Hamas, hanno dato prova di godere di un qualche consenso nella popolazione civile — la faccenda è totalmente diversa. Da quando Sharon «liberò» Gaza (2005) le guerre con Israele si sono moltiplicate e ognuna di queste guerre si è conclusa in modo tale da poter ricominciare poco tempo dopo. Questo tipo di scontri con i terroristi si possono «vincere» solo nei modi che Putin usò a suo tempo per la Cecenia. Terreno su cui, ci auguriamo, nessun dirigente di Israele abbia in mente di avventurarsi.
Biden quando con coraggio ha rievocato come sono andate le cose in Iraq e, soprattutto, in Afghanistan, ha provato a farcelo capire. Non è quella la strada da battere. Il prolungato attacco a Gaza, accompagnato da immagini quotidiane di vecchi, donne e bambini che mostrano i loro lutti, non è «compensato» dalla notizia che è stato colpito questo o quel dirigente di Hamas. Neanche un po’. Progressivamente si è costretti ad assistere all’aumento delle tensioni e all’arrivo di missili anche nel resto di Israele avendo sullo sfondo la sempre più esplicita e provocatoria rivendicazione da parte dell’Iran della regia di tutto quel che sta accadendo.
A nulla vale che sia ogni ora più evidente il fatto che Hamas non ha minimamente a cuore la sorte dei palestinesi, che l’obiettivo dichiarato dell’operazione avviata il 7 ottobre è la distruzione dello Stato di Israele. L’Europa (non tutta, per fortuna) isola ogni giorno di più Ursula von der Leyen che — come già accadde per l’Ucraina — sembra essere tra i pochi a rendersi conto di quel che sta realmente accadendo. Le manifestazioni ostili agli ebrei vengono ignorate come accadde negli Anni Trenta. Fa una certa impressione assistere allo spettacolo di persone che non versarono una sola lacrima per l’uccisione di innocenti a Mariupol, e adesso si strappano le vesti per qualcosa che — fino ad ora — non è neanche lontanamente paragonabile a quel che si è visto in Ucraina.
Eppure, il fatto che Rasha Nabil abbia osato sfidare Khaled Meshal ci induce a sperare che quella tela tessuta con l’Arabia Saudita non sia definitivamente strappata. Che re Abdullah II di Giordania abbia rifiutato di incontrare Biden solo per opportunismo. Che, in Egitto, al Sisi sia preoccupato per quel che sta accadendo forse più di Netanyahu. Che gli Emirati arabi uniti stiano attentamente valutando il vero senso della «mediazione» del Qatar. Anni fa in occasioni consimili eravamo soliti evocare l’«islam moderato». Stavolta — per decenza verso noi stessi — abbiamo rinunciato a quell’appello. Però, forse, quando poneva quelle domande scomode a Meshal, Rasha Nabil era consapevole di avere alle spalle un mondo. Un mondo più grande di quel che oggi possiamo immaginare.
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Con tutto il rispetto per Totti (gran giocatore)...
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Purtroppo non ho potuto vedere il match; guardando gli highlights su YouTube ad un certo punto pensavo di essere capitato sulla demo di un videogame; incredibile.
Grande Jan il Rosso! Sarebbe tempo anche di battere Psycho, a dispetto dell’idiosincrasia tecnico-tattica.
Comunque vada, andrà più su di n. 4; e arriverà il turno anche degli slam….-
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Il 26/9/2023 Alle 10:21, Stino91 ha scritto:Per chi fosse interessato, su il Post.it c’è un articolo interessante sulla vergognosa campagna denigratoria messa in atto dalla Gazzetta dello Sport contro Sinner, reo di anon aver partecipato alla Davis, con tante accuse quotidiane che vanno al limite della diffamazione
per regolamento non posso incollare il link, ma vi consiglio di andare a leggere
E' un articolo che val la pena di essere letto per capire, ce ne fosse bisogno, quanto la gazzetta sia un giornale di mèrda. Gente spregevole.
E si badi bene che anch'io avevo storto il naso per la decisione di Sinner; ma ci vorrebbe decenza nella vita. Sono ai limiti della querela; troppo signore Jan a non proferire parola.
D'altra parte, noi juventini ne abbiamo una certa esperienza del loro "metodo di lavoro".
Da Il Post
QuotoJannik Sinner, la Nazionale e la Gazzetta dello Sport
Il principale quotidiano sportivo italiano sta facendo una campagna durissima ma con scarse ragioni contro il tennista altoatesino
Da due settimane il quotidiano sportivo più diffuso in Italia, La Gazzetta dello Sport, sta pubblicando articoli, interviste ed editoriali anche piuttosto accesi contro il tennista italiano Jannik Sinner. Le ragioni di questa campagna si basano sulla decisione di Sinner di non partecipare alle recenti partite di Coppa Davis, la principale competizione tennistica per squadre nazionali. L’ultimo numero di Sportweek, il settimanale della Gazzetta, gli ha dedicato tre articoli e la sua copertina, titolata «Caso Nazionale». L’espressione e i toni utilizzati potrebbero far pensare a chi non segue il tennis che lo sdegno per la decisione di Sinner sia stato trasversale, o comunque molto presente sui media nazionali: in realtà si è concentrato quasi solamente sulla Gazzetta.
La copertina di Sportweek, in edicola da sabato
La Gazzetta è un giornale che si occupa ormai da tempo principalmente di calcio, al tennis dà relativamente poco spazio e quando lo fa se ne occupa solo nelle ultime pagine del giornale, anche nelle occasioni più importanti. Ma la campagna contro Sinner è insolita anche perché le motivazioni a sostegno della tesi (sintetizzata dal sommario di Sportweek: «perché il numero uno del nostro tennis ha sbagliato a dire di no alla Coppa Davis») sono state giudicate decisamente deboli e poco centrate da molti esperti di tennis e siti specializzati.
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Nell’editoriale di Sportweek firmato dal direttore, per esempio, Sinner viene invitato a ispirarsi a Novak Djokovic e Roger Federer, indicati come esempio di attaccamento alla propria nazionale: in realtà entrambi in carriera hanno saltato spesso le convocazioni per la Coppa Davis. L’articolo è un lungo rimprovero che si conclude così:
Sinner è un talento assoluto del nostro sport, il giorno in cui imparerà a restituire al tennis un po’ di quello che ha ricevuto potrà diventare un grande campione. Uno di quelli che ti entrano nel cuore e non ne escono più.
Il lungo articolo che dovrebbe spiegare il tema in copertina invece si apre con un appello che gioca con il significato in inglese della parola sinner, “peccatore”:
E se Jannik Sinner, il Peccatore, chiedesse scusa del suo peccato?
Gli vengono anche suggerite le parole con cui dovrebbe scusarsi («Mi scuso per non essere stato all’altezza di quello che avrei dovuto essere») e si dice che scusarsi sarebbe «come un Wimbledon e un Roland Garros messi insieme» (cioè due dei quattro tornei di tennis più importanti al mondo). Dentro ci sono attacchi pesanti, che raramente si leggono su un giornale in questi termini:
In ogni caso, decisione deludente. Mediocre, più che sbagliata. Banale, più che mediocre. Se nei suoi programmi l’azzurro diventa accessorio, che cosa sta comunicando il ragazzo se non la sua scala di valori?
Partiamo dal contesto, la Coppa Davis. Le partite che si sono giocate negli ultimi giorni erano quelle della fase a gironi, da cui sarebbero uscite le 8 nazionali che parteciperanno alla fase a eliminazione diretta a novembre. Ogni nazionale ha un capitano che nei fatti è l’allenatore, per l’Italia l’ex tennista Filippo Volandri, che convoca al massimo 5 tennisti. Volandri di solito chiama i primi tre giocatori della classifica singolare e due adatti a giocare le partite di doppio, dal momento che i singolaristi sono poco abituati a giocare i doppi. Le sfide tra nazionali in Coppa Davis infatti sono formate da tre partite, due singolari e un doppio.
Sinner, che ha 22 anni, è al momento il miglior tennista italiano in circolazione, il settimo al mondo nella classifica maschile, quindi era stato convocato da Volandri per le partite di qualificazione. Il 7 settembre Sinner aveva comunicato pubblicamente che non avrebbe partecipato, con un breve messaggio sui suoi profili social: «Sfortunatamente non ho avuto abbastanza tempo per recuperare dopo i tornei in America», aveva detto. Due giorni prima aveva perso agli ottavi di finale degli US Open, uno dei tornei più importanti al mondo, contro il tedesco Alexander Zverev, in una partita terminata al quinto set con Sinner in preda ai crampi e in evidente difficoltà fisica.
Volandri aveva accettato la scelta senza nessun problema, anzi. Pochi giorni dopo aveva fatto capire di aver partecipato a quella decisione, proprio in un’intervista data alla Gazzetta: «Questa Davis arriva in un periodo complicato. I giocatori sono reduci da cinque settimane in America, e chi come Jannik ha giocato di più è provato. Nel match con Zverev era fisicamente in difficoltà, si è visto. Io ero lì, faceva un caldo insostenibile. La notte della sconfitta Sinner non riusciva a dormire, mi ha chiamato. Ha chiesto un po’ di tempo per capire come avrebbe reagito il suo corpo, poi abbiamo parlato anche con Vagnozzi [l’allenatore di Sinner, ndr] e deciso di preservare l’atleta». Nonostante questo, secondo il recente editoriale di Sportweek Volandri avrebbe fatto «buon viso a cattivo gioco».
In realtà l’assenza di Sinner non era sembrata un problema insormontabile, innanzitutto perché anche senza di lui l’Italia era data come ampiamente favorita in tutte le partite che avrebbe dovuto affrontare, contro Canada, Cile e Svezia. Dal momento della rinuncia di Sinner fino alla prima partita, la stessa Gazzetta non aveva fatto alcun commento negativo: aveva chiesto qualche opinione competente, come quella di Volandri, ma senza prendere posizione. Poi però il 13 settembre l’Italia aveva perso malamente la prima sfida contro il Canada, per 3 partite a 0. E il giorno stesso è uscito un articolo della Gazzetta che commentava la sconfitta così: «Servirebbe Jannik Sinner, ma è a Montecarlo ad allenarsi. Era stanco». Nei giorni successivi l’Italia ha poi vinto le altre due sfide contro Cile e Svezia, qualificandosi in ogni caso, come da pronostico.
Dalla “Gazzetta” del 14 settembre
Il tempismo scelto dalla Gazzetta è stato visto da molti come strumentale, pensato appositamente per costruire un “caso” e attirare maggiori attenzioni possibili. Lo ha notato per esempio Federico Ferrero, uno dei più esperti giornalisti di tennis in Italia, che nel suo podcast GonzoTennis ha detto: «Se la scelta era quella di criticare chi non risponde alla convocazione in Nazionale, bastava farlo subito, non dopo che si è capito quali potevano essere le conseguenze di questo rifiuto. Perché allora se l’Italia avesse vinto facile non se ne sarebbe parlato».
Le critiche della Gazzetta si concentrano sul fatto che questo sarebbe stato «l’ennesimo» rifiuto di Sinner alla Nazionale, il quarto: le prime due volte però aveva 18 anni e non c’erano grandi pretese sulla sua partecipazione, mentre la terza era infortunato alla mano, anche se in diversi articoli della Gazzetta si allude alla possibilità che l’infortunio non fosse poi così grave, senza prove a sostegno di questa ipotesi. Quella di inizio settembre è appunto la quarta, mentre in tutte le altre occasioni aveva regolarmente fatto parte della squadra.
A queste si aggiunge poi la mancata partecipazione alle Olimpiadi del 2021 a Tokyo, quando aveva 19 anni e rifiutò la convocazione dicendo di volersi concentrare sul suo percorso di crescita: fu un’altra decisione per cui venne criticato.
Alla luce di queste assenze la Gazzetta lo accusa di non tenere alla nazione, e negli articoli ci sono passaggi rivolti a lui direttamente, che spiegano come dovrebbe comportarsi. Nell’editoriale di Sportweek gli viene detto che partecipando a un’Olimpiade «cresci umanamente e magari trovi le risorse per vincere quel punto decisivo in fondo al labirinto del quinto set», con un caustico riferimento alla partita persa agli US Open contro Zverev. L’altro lungo articolo su Sportweek si chiude parlando del «conto in banca» di Sinner: «Non ce la farai nemmeno a spenderlo. Ci vuole troppa immaginazione e troppo tempo».
Sinner con l’asciugamano sul volto, durante la partita con Zverev (AP Photo/Adam Hunger)
Il 15 settembre la Gazzetta aveva intervistato una serie di atleti ed ex atleti italiani per commentare la decisione di Sinner, radunando le loro opinioni in un articolo intitolato «Tutti contro Sinner. I grandi dello sport italiano: “La Nazionale prima di tutto”». Tra gli sportivi in questione c’erano l’ex maratoneta Stefano Baldini, l’ex schermitrice Elisa Di Francisca, l’ex nuotatore Massimiliano Rosolino, il pallavolista Ivan Zaytsev e altri ancora. Nei loro virgolettati all’interno dell’articolo però non emergevano particolari critiche a Sinner, ma solo esaltazioni verso le proprie esperienze in Nazionale. Non sembra insomma che fossero perfettamente consapevoli di star partecipando a una strigliata collettiva contro Sinner, e in effetti alcuni di loro, interpellati sulla questione in privato, lo hanno confermato.
Ma a questo proposito c’è anche un’altra questione che gli articoli della Gazzetta non considerano, e che diversi esperti di tennis hanno fatto notare in questi giorni: cioè il fatto che la partecipazione in Nazionale nel tennis è imparagonabile a quella in altri sport, per ragioni legate alla sua tradizione e al modo in cui lavorano gli atleti. La maggior parte degli atleti contattati dalla Gazzetta praticava discipline olimpiche, in cui l’appartenenza a una Nazionale è un elemento fondante e imprescindibile. Ma anche per un pallavolista come Zaytsev le competizioni come i Mondiali o gli Europei sono assai più importanti dei campionati nazionali: perché si tengono ogni quattro anni, creando attese e aspettative, e perché sono molto più seguite dal pubblico.
Nel tennis vale il contrario. La Coppa Davis è una competizione minore e molto meno seguita dei tornei più prestigiosi del circuito. Inoltre si svolge ogni anno, allo stesso modo di tutti gli altri tornei. Negli ultimi anni è stata più volte riformata, perdendo rilevanza e venendo spesso evitata dai tennisti più importanti. Per qualsiasi tennista l’ambizione più grande non è tanto vincere qualcosa con la Nazionale, ma piuttosto ottenere grandi risultati nei cosiddetti tornei del Grande Slam, i quattro più importanti della stagione. Le finali dei mondiali di calcio, di pallavolo, le gare che valgono per una medaglia olimpica sono seguite da un pubblico numeroso che non necessariamente è appassionato di quello sport, mentre probabilmente in pochi tra chi non segue il tennis saprebbero dire chi ha vinto la Coppa Davis nel 2022.
L’evento clou della stagione tennistica è la finale di Wimbledon, o quella del Roland Garros (due dei quattro Slam), perché la storia dello sport e la forza attrattiva ed economica di quei tornei fanno in modo che sia così. In Italia la Coppa Davis esercita un certo fascino per via della storica vittoria del 1976, che però fu eccezionale per ragioni non solo sportive ed è molto ricordata perché fu uno dei pochissimi successi italiani in questo sport.
La condizione dei tennisti comunque è molto difficile da paragonare a quella di altri sportivi. I tennisti guadagnano principalmente dalla partecipazione ai tornei, e poi dagli sponsor. Questo significa che se non giocano, non guadagnano. Un tennista del livello di Sinner ha intorno a sé un gruppo di allenatori, preparatori atletici e altre figure professionali che può arrivare a essere di decine di persone, il cui stipendio viene pagato dal tennista stesso. Lo ha spiegato efficacemente sul sito Sportface Alessandro Nizegorodcew, telecronista per SuperTennis (il canale della federazione tennistica) e direttore di Sportface: «Se un calciatore si fa male viene pagato lo stesso, se un atleta di uno sport di squadra non è in forma e deve recuperare, giocherà qualcuno al suo posto, senza rischiare un problema fisico. Gli atleti dei gruppi sportivi militari (a meno che non siano campioni ricoperti di sponsor) non vivono nello sfarzo ma non devono rendere conto a 20/25 dipendenti o collaboratori».
La responsabilità individuale di un tennista sulla propria salute, e l’attenzione per la forma fisica, è più alta che in altri sport. Anche se la Gazzetta ha minimizzato le condizioni di Sinner, non si può sapere se la concentrazione di altre partite in questo momento della stagione gli avrebbe causato problemi fisici più gravi dell’affaticamento lamentato dopo gli US Open.
Proprio per questo il formato della Coppa Davis, con le partite sparse in mezzo alla stagione, è oggetto di critica perché costringe i tennisti a giocare troppo spesso. Paolo Bertolucci, tra i vincitori della Davis del 1976 e oggi commentatore di tennis per Sky Sport e la Gazzetta, ha ricordato a Sportweek che all’epoca «il calendario e la programmazione erano organizzati in funzione di quella manifestazione, qualcosa che oggi è lontanissimo».
La storia di Sinner comunque lo rende diverso dagli altri tennisti italiani, perché è l’unico dell’attuale generazione a non essere cresciuto all’interno dei percorsi della federazione nazionale. Sinner venne infatti preso molto giovane nell’accademia del noto allenatore italiano Riccardo Piatti, che per molto tempo ha investito sulla sua formazione prima che iniziasse a guadagnare. Gli altri tennisti italiani, come Matteo Berrettini, Lorenzo Musetti e Lorenzo Sonego, sono stati per anni sostenuti economicamente dalla federazione, che per sua consuetudine investe su un certo numero di tennisti a fondo perduto, a patto che questi promettano di non rifiutare le convocazioni in Coppa Davis una volta cresciuti.
Sinner non ha reagito agli attacchi della Gazzetta, finora non ha detto nulla pubblicamente. Invece il capitano della Nazionale, Volandri, ha fatto notare che Sinner è sempre stato molto disponibile alle convocazioni, anche in periodi in cui non era scontato che lo fosse, dopo brutte sconfitte o periodi particolarmente faticosi. Volandri ha detto che durante le recenti partite di Coppa Davis «Jannik ci ha scritto ogni giorno, ci ha chiamato ogni giorno», e ha garantito che farà di tutto per essere presente a novembre per la fase a eliminazione diretta, più importante: «Vuole essere a Malaga [dove si terranno le partite di novembre, ndr] e sono sicuro che ci sarà».
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Ad essere sincero, la Coppa Davis non mi ha mai entusiasmato, la retorica che l'ammanta mi piace fino ad un certo punto; col format attuale, poi, non riesco proprio ad interessarmene.
Detto ciò, vedere Nole Djokovic, fresco di ventiquattresimo slam, correre in Serbia per giocare per il suo paese, e al contempo Sinner rinunciare, dopo aver dato disponibilità, adducendo motivazioni abbastanza eteree (stanchezza?) diciamo che un po' stride...
Va detto che Sonego e Musetti avrebbero dovuto essere più che sufficienti per battere la seconda - forse terza - squadra del Canada; invece hanno miseramente toppato, ma proprio male male...
Ultimo appunto: Volandri, nell'ambiente, non nutre di grande simpatia, diciamo così...
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Potrei muovere molti rilievi alla famiglia Agnelli/Elkann, ma ho come l'impressione che in caso di cambio di proprietà (che per me non ci sarà), considerando il contesto socio-economico e geo-politico, avremmo alte probabilità di andare in peggio; ma molto alte...
Poi, sognare è lecito, per carità, e....ognuno si sceglie l'inferno che preferisce (cit).
Credo di più ad un (futuro) delisting (che costerebbe non poco) e ad un possibile nuovo adc. E a nuovi investitori, partner commerciali, più che soci. Vedremo.
PS Una volta si diceva Il Giornale di Montanelli... mala tempora currunt...
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Non ho visto la partita, ma, parafrasando un noto tifoso federeriano, direi che..."il GOAT non esiste, ma se esistesse sarebbe Novak Djokovic"...
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Non sono particolarmente sorpreso, per quanto ritenessi Achille il favorito per la vittoria del torneo.
Psycho è molto forte e sottovalutato da quelli che di tennis capiscono poco.
Ho visto i primi due set ed ha giocato in una maniera MOSTRUOSA; fra l’altro, è una mente superiore, da campione di scacchi; intelligenza tennistica allo stato puro; ha trovato la maniera di disinnescare il fenomeno, che comunque tale rimane. -
La cosa preoccupante - per gli avversari - è che Achille El Demolidor MIGLIORA di più e più rapidamente di loro...
e perciò il solco si sta allargando, se qualcuno non se ne fosse accorto.
Esempio fra i tanti possibili: sta ANTICIPANDO i colpi, sia di dritti che di rovescio, soprattutto in risposta, ma non solo, in una maniera che fino al Queen's (compreso) non si era mai vista; solo Federer giocava così di anticipo (con ancora più naturalezza e continuità; Roger lo faceva sempre, era nel suo dna); io non pensavo che Carlitos - scuola spagnola - fosse in grado di giocare così; eppure vi riesce e alla grande; oltre ad essere più potente, più veloce, più TECNICO, adesso toglie il respiro all'avversario non solo usando la sua proverbiale PRESSIONE, ma anche ANTICIPANDO in maniera esasperata molti colpi.
Quindi sì, attaccarlo, se non sei Djokovic, è l'univa via per fare partita; ma è, al contempo, sempre più difficile da attuare, come strategia; perché ti attacca lui per primo, e lo fa bene, oh se lo sa far bene...
Zverev senza infortunio sarebbe stato a ridosso del vecchio leone e del suo erede mandato dagli dei; anche davanti a Medvedev, del quale secondo me ha altre caratteristiche. Ma, come facevate notare, sta arrivando nella posizione che gli compete; e mi fa piacere, per quanto il suo tennis non mi esalti.
Vediamo Big Ben cosa riuscirà a combinare; sono molto curioso.
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Io non vado, ma quelli che se ne stanno a caso e fanno i sarcastici verso coloro che pagano il biglietto e riempiono lo stadio sono patetici.
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42 minuti fa, iaquintano ha scritto:Gran bella partita di Arnaldi per ora. Avanti 2 set a 0 contro Norrie. Fantastico il break/set point per il secondo set concluso con un lob.
Grandissima partita e grandissima vittoria. Prestazione straordinaria.
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4 ore fa, Victor Sullivan ha scritto:Ieri ha perso comunque con un tennista molto talentuoso come Zhang che mi ha impressionato molto però credo che possa fare molto molto di più
Molto… e Jakub Mensik mi ha altrettanto impressionato, se non addirittura di più; ha un tennis moderno, ma si nota il tocco elegante della scuola ceka.
Davvero da tenere d’occhio.-
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46 minuti fa, Lorenzojuventino1976 ha scritto:Li fanno vedere su super tennix sito a pagamento
Li fanno anche in chiaro e gratis sul canale 64 del digitale terrestre, da cui poi, premendo il tasto verde, puoi accedere ad altri tre canali, quindi c'è una discreta scelta di match anche free.
Su Musetti - non ho visto la sua partita - mi sono già espresso abbastanza chiaramente; veda lui.
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Non ho visto la partita, purtroppo.
In generale, credo che la presenza di Achille el Demolidor faccia bene all'ultima parte di carriera di Nole; certo, ci può perdere, ma lo tiene "arzillo" come un nipotino per un nonno. Gli è di grande stimolo.
E penso che il concetto sia perfettamente reversibile: Alcaraz beneficia enormemente di queste sfide con Djokovic, anche se alcune le perde. Di avversari di tale assoluta grandezza "rischia" di non incontrarne più per il resto della sua carriera.-
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1 minuto fa, SuperTalismano ha scritto:Mi arrendo, non so chi sia Lo Scriva😅
Lo Scriba era il grandissimo Gianni Clerici; ma io mi riferivo al nostro Scriba, @Godai, il letterato della racchetta, il poeta del tennis. 😁
1 minuto fa, SuperTalismano ha scritto:Sul resto, temo che lo Zverev della semifinale con Nadal difficilmente lo rivedremo (se fosse finita, quella partita sarebbe durata 7 ore, sarebbe entrata negli annali considerando che stavano ancora al secondo set ed erano già passate quasi tre ore)
Che crudeltà che si sia rotto proprio nel momento migliore della carriera (aveva buone possibilità di vincere a Parigi, e visto gli incastri del ranking quasi sicuramente sarebbe diventato numero uno entro l'estate) 😢
Eh sì, mi è dispiaciuto tantissimo per lui. Speriamo recuperi in pieno.
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4 minuti fa, blackwhiteduke ha scritto:@Godai
medveded > stramboide ci sta, é caruccio pure.. pero´ penso ci possan essere anche alternative divertenti
- il controllore: giá ne abbiam parlato 😄 .. d´altronde sarebbe stato il suo destino se in passato avessero deciso che il tennis si doveva giocare solo su terra rossa 😄
- il minestraro: qui´ emergono le mie radici romane, a roma vengono definiti minestrari quegli allenatori di calcio che mettono la squadra in campo avendo idea che in primis bisogni far giocare male l´avversario... e mi pare calzi a pennello per medvedev (forse son un po´ ingeneroso)
- caltagirone: noto costruttore romano , medvedev indubbiamente ama il cemento quanto lui (se non piú di lui)
Sei un po’ ingeneroso… a suo modo Medvedev è un genio del male… io lo chiamo Psycho lo Stramboide; ha il ghigno e il sadismo del serial killer, l’intelligenza di un giocatore di scacchi e movenze e gesti tecnici atipici (da qui, credo, il soprannome affibbiatogli dallo Scriba @Godai, Lo Stramboide) ma conditi da GRANDE sensibilità di braccio e manualità (meno a rete, a dire il vero).
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2 ore fa, SuperTalismano ha scritto:Sarà che per me parla il tifo piu che la ragione, ma io in chiave US Open un'occhiatina a Zverev come primo outsider (dietro i tre favoriti Alcaraz, Nole e Medvedev) la darei
È in crescita, lenta ma costante; però, come diceva Lo Scriva (vediamo se lo indovini questo… 😁) bisogna vedere se recupererà mai al 100% da quel gravissimo infortunio.
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Ho visto la semi fra Alcaraz e Hurkatz.
Orso Yoghi per larga parte del match è stato ingiocabile; servizio devastante e un timing perfetto nel colpire la palla in fase ascendente, sia di dritto, che di rovescio, hanno messo in grandissima difficoltà Achille El Demolidor.
Ma come al solito gli si è appannata la vista nei momenti topici; sul match point ha avuto la possibilità di chiudere di dritti, ma l’ha messo fuori. Lì si era già capito come sarebbe finita.
D’altra parte, con un’altra testa a Wimbledon avrebbe eliminato Djokovic e giocato per vincere il titolo.
Carlitos ancora una volta non al meglio, come in tutto il torneo (e come a Toronto), ma è talmente forte - sotto tutti i punti di vista - da essere comunque competitivo per i massimi traguardi .
Nole - che comunque non ho visto in questa settimana - per me stasera parte favorito. Vedremo.
Fare previsioni per lo US Open oggi mi parrebbe eccessivo.-
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Guerra Israele - Medio Oriente
in Off topic
Inviato
Beh…non è un sillogismo perfettamente applicabile a questa fattispecie: è vero che Israele ha sempre avuto (non proprio dall’inizio, ma quasi… alleati potenti, in primis gli USA, e l’ho scritto), ma questo non significa che non sia un fatto che, parimenti, i Palestinesi abbiano ricevuto finanziamenti enormi, che hanno alimentato la corruzione, e armi nemmeno tanto sottobanco, e che abbiano quanto meno ricevuto l’appoggio interessato, e di sponda, di Stati potenti e ricchi (e antidemocratici e quindi pericolosi).
Un casino, e come al solito a subire le conseguenze più devastanti della follia e della violenza sono gli innocenti, i deboli e i poveri.