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Rhyme

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  1. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Il caos è proprio il fulcro del film. Più che caos, il mischiare e saltare costantemente tra realtà e immaginazione, tra sogno e veglia...questa è una caratteristica che negli anni '80-'90 è assai frequente, a partire da Cronenberg. Ma anche il circolo tra follia e non follia...con accenni anche a considerazioni più estese ("E se il motto dell'homo sapiens "andiamo a fare shopping" sia il grido del vero malato mentale?"). Caratteristiche che sono presenti, in modo differente, anche nel suo ultimo film. L'ho trovato davvero un gran film, riesce a far rimanere lo spettatore in uno stato di continua angoscia, incertezza, risucchiato nel vortice disturbato dei dubbi e del terrore dei protagonisti. Con una regia che è di effetto assoluto...quasi ogni immagine trasmette proprio fisicamente angoscia per come è inquadrata, per come è costruita, ma soprattutto per le distorzioni degli ambienti e dei volti tramite le lenti usate nella fotografia. Grande interpretazione soprattutto di Brad Pitt, il cui personaggio, per movenze ed espressioni, rimanda a tipici personaggi fantasy. Ottimo film, per me. Gli altri purtroppo non li ho visti ma sono sicuramente deciso a recuperarli, a partire da Brazil.
  2. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Dopo esattamente 20 anni ho rivisto La gabbianella e il gatto. Ma quant'è bello questo film d'animazione? E' il primo film di cui ho ricordo al cinema, il primo film di cui ho ricordo in generale e rivederlo è stato un piacere grandissimo. In quest'opera ci sono un cuore, un'anima immense, con un'animazione molto bella e una colonna sonora fantastica...poesia pura. Ho visto al cinema Gli Incredibili 2. Il primo mi piacque molto e ho apprezzato anche il secondo capitolo. Non raggiunge, però, il livello del primo...si adagia un po' troppo sulle caratteristiche del film precedente e cerca, in modo troppo forzato, di rendere protagonista la madre. I personaggi di contorno non sono realizzati in modo ottimale e le motivazioni dell'antagonista non sono strutturate...anche se ad essere strutturato diversamente è proprio lo sviluppo, con l'antagonista che si rivela solo in fondo. Film comunque piacevole e con supereroi più genuini e affascinanti rispetto a quelli dei film in live action. Jack-Jack è il personaggio dell'anno, comunque. L'uomo che uccise Don Quijote, di Terry Gilliam...senza spoiler. Finalmente il suo progetto dei sogni si realizza. Sono 25 anni che sta lavorando a questo film, che è un po' il suo sogno e che ha trovato continue ed infinite difficoltà. Durante le varie produzioni sono stati scelti e sostituiti tantissimi attori, Johnny Depp ed Ewan Mcgregor per il ruolo di Toby, ad esempio, arrivando infine ad Adam Driver. Alcuni attori scelti inizialmente sono morti prima di poter girare come John Hurt per la parte di Don Quijote... ma finalmente il film è uscito. La sceneggiatura è stata cambiata centinaia di volte e alla fin fine, forse il film è quasi totalmente proprio su questa Odissea, una sorta di film autobiografico. Parla di Toby, un regista talentuoso (Adam Driver) che sta girando uno spot in Spagna, con protagonista Don Quijote. Sul set è venerato, è coccolato, viene trattato come un genio, è una persona costantemente elegante e ordinata. Una sera trova, nel materiale venduto da uno zingaro, una copia del dvd di un suo vecchio film...il suo primo film, che aveva girato 10 anni prima come tesi di laurea, che si intotola proprio "L'uomo che uccise Don Quijote". Rimane immensamente stupito e pensa a quei fantastici periodi, quando era giovane e il suo talento era più puro e sperimentale. Si ricorda delle varie persone che lo affiancarono in quel lavoro, abitanti spagnoli di un piccolo villaggio, tra cui un anziano calzolaio che aveva scelto come Don Quijote (Jonathan Pryce); una persona che inizialmente non riusciva ad entrare nella parte ma in seguito aveva trovato una grande forza recitativa. Il regista decide di tornare in quel paesino per ritrovare l'ispirazione e per ritrovare quelle persone. Scopre che dai tempi di quel film, le cose non sono andate benissimo per alcune di quelle persone. Scopre anche che l'anziano signore è convinto di essere Don Quijote e ha vissuto tutti questi anni con questa convinzione, lavorando in una sorta di freak show, rigorosamente con la sua armatura. Quando i due si incontrano, l'anziano scambia il regista per Sancho Panza e da qui in poi inizia una serie infinita di avventure tra il comico e il fantasioso. Come da stile di Gilliam, la storia si perde tra realtà ed immaginazione, tra follia e lucidità, concludendo in un finale quasi felliniano. E' un film che ha dei difetti, in particolare per me nella seconda parte perde un po' di equilibrio in alcuni punti. Ma è, secondo me, un ottimo film, un film magico, un'avventura trascinante ed immersiva. Se si vuole guardare questo film si deve tener presente le vicessitudini che Gilliam ha dovuto attraversare in questi 25 anni, con continui problemi, continui rimandi, il serio rischio anche che non uscisse...perché il film è anche questo, è soprattutto questo. E' un film in cui c'è tutto Gilliam, c'è tutto questo arco di tempo, è anche una dedica a chi non c'è più come John Hurt che avrebbe dovuto interpretare Don Quijote. E' una visione di Gilliam sul cinema, sull'arte con i suoi lati anche negativi. Lui si rivede nel protagonista, nel regista che nelle scene iniziali appare svuotato rispetto alla sua versione giovanile, sembra aver perso la passione per il cinema e per il suo lavoro e che si trova ad affrontare quel viaggio picaresco, visto inizialmente come follia che si trasforma sempre più in realtà, fino a che non si trova a combattere contro quelli che sembrano i suoi demoni. E' un film che va visto senza schemi mentali, senza ragionare troppo così come trasmette il personaggio di Don Quijote, liberarsi dalle strutture e godere scena dopo scena questo film che ci trascina al confine tra sogno e veglia, tra realtà ed immaginazione. E' un film che sorprende costantemente e dove c'è davvero tutto: c'è il cinema, c'è il teatro, c'è il circo, la proiezione, c'è il fantasy, c'è una riflessione sulla vita, sull'arte. Un film con molte trovate divertenti e visivamente affascinanti. Visivamente è curato ed è ricchissimo e Adam Driver e Jonathan Pryce, soprattutto, sono fantastici. Ci sono scene, comunque, che sono già cult, per quanto mi riguarda. In precedenza ho visto anche "L'esercito delle 12 scimmie" sempre di Gilliam, per avvicinarmi a lui visto che lo conoscevo solo per i Monty Python. Non mi dilungo oltre...ma è un film che mi è piaciuto davvero tanto.
  3. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Onestamente nemmeno io conosco la vicenda. Lessi qualcosa quando uscì il film, ma ne so pochissimo. Personalmente e generalmente, ho sempre respinto queste diatribe in ambito cinematografico. Nel caso specifico, ho letto delle proteste della madre della persona che fu uccisa in quella vicenda che tramite il proprio avvocato ha addirittura chiesto 1 milione di euro. Ma rispose Garrone in persona. Il film è un film di fantasia, è solo ispirato alla vicenda...prende ispirazione dalla storia di base, ma poi prende strade proprie. Garrone ha detto che in fase di scrittura della sceneggiatura perdeva via via interesse verso quella precisa storia e non era suo interesse replicarla. Infatti comunque i nomi dei personaggi non sono gli stessi, il nome stesso del film è diverso e la storia è una storia universale, che si allarga molto oltre ad un singolo caso...così come le ambientazioni che sono splendidamente metaforiche.
  4. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Verissimo. Ora non ricordo perfettamente le varie situazioni degli scorsi anni, però c'è anche da dire che quest'anno per me c'è veramente un abisso e Dogman è un film troppo superiore. Avrei potuto capire un "duello" con Loro, anche se a me non è piaciuto e non trovo ci sia paragone, però tratta un argomento che piace molto anche all'estero e l'Academy già in passato ha dimostrato di apprezzare il cinema di Sorrentino, che è un nome conosciuto all'estero...però non essendoci, non c'era scampo. Altra scelta sarebbe potuta essere Lazzaro felice, ma è meno "forte", meno universale e meno completo di Dogman. Qualsiasi altra scelta non avrebbe avuto senso. Però appunto non si sa mai e a volte anche la qualità e il merito superiori vengono messi da parte. Perciò bene che abbiano fatto la scelta giusta e in bocca al lupo a Garrone.
  5. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Era scontato, ma non mi sarei stupito onestamente nel vedere un'altra scelta...vista la capacità distruttiva che abbiamo. Sarebbe stato folle ed insensato non scegliere quel grandissimo film che è Dogman che merita, nel suo piccolo, di poter concorrere per gli Oscar. Poi se riuscirà ad entrare nella cinquina o se non ci riuscirà è un altro conto...speriamo ovviamente che ci riesca.
  6. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Grazie all'ultimo week end di Fuori Orario ho avuto modo di vedere per la prima volta dei film di questi grandi autori del Risorgimento autoriale europeo anni '60-'70. Viaggio a Citera (1984) di Theo Angelopoulos. Il regista greco attinge argomenti e temi dalla mitologia e letteratura classica greca, riutilizzandoli per commentare la recente storia greca. E' un regista che ama i lunghi piani sequenza e i lunghi movimenti di macchina e che si ispira al cinema di durata di Antonioni. Questo film (sceneggiato anche da Tonino Guerra) parla di un anziano signore che torna in Grecia; da giovane aveva combattuto nella resistenza greca e successivamente era stato in esilio per 32 anni in Russia, dove si era fatto una nuova famiglia. Tornato in Grecia torna dalla moglie e dai due figli ormai adulti, ma è come un'ombra, un fantasma. Insieme alla famiglia torna in un paesino in cui aveva vissuto, tra le colline dove aveva combattuto, ritrovando un suo vecchio amico ma trovandosi fuori luogo...tutti gli abitanti di quella zona si stanno accordando per cedere i terreni ad un'impresa di costruzioni edili, lui è l'unico in disaccordo impedendo così la realizzazione dell'accordo e scatenando la furia degli abitanti. A quel punto, visto che non ha più la cittadinanza greca e che ha causato problemi in quel paesino, il governo ne decide l'espulsione dal paese. E' come una sorta di ritorno di Ulisse in patria, ma quello che torna non è più Ulisse e il luogo in cui torna non è più la sua patria. E' un'ombra in cerca di una casa per la sua anima. Si distinguono appunto i lunghissimi movimenti di macchina e la durata estenuante di molte scene. Un film che rimane molto nebuloso. Molto probabilmente non è tra i suoi film migliori o più famosi. Cercherò di recuperarne altri. La tragedia di un uomo ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci. Parla di un uomo, un industriale, a cui rapiscono il figlio. Lui e la moglie, in modi e con sensazioni differenti, si trovano a dover affrontare la faccenda. Un film con riferimenti politici, tendente alla commedia agrodolce e con sfumature noir...per il protagonista e per la voce over che esprime i suoi pensieri. Un film piacevole per la fotografia di Carlo De Palma, per le musiche di Morricone, per l'ottima regia di Bertolucci ma soprattutto per il ruolo di un grandissimo Ugo Tognazzi (vinse anche il premio per il miglior attore al Festival di Cannes, per quella che da molti viene definita come una delle sue migliori interpretazioni). Il film ruota tutto attorno alla sua figura, alla sua vita, al suo rapporto con il figlio, alla differenza generazionale, al suo ruolo da borghese italiano. Interpretazione magistrale, la sua presenza vale l'interno film, ma anche il suo personaggio, che sembra calato perfettamente su di lui...o probabilmente è l'inverso, è lui che fa propri in maniera unica i personaggi che interpreta. Troppo presto, troppo tardi (1982) di Straub e Huillet. Due autori praticamente sconosciuti al grande pubblico, ma considerati tra i più grandi personaggi della seconda metà del Novecento...sono una coppia, marito e moglie, francesi, che hanno lavorato tanto anche in Germania e Italia. Di certo sono tra i più sperimentali e anche tra i più difficili da guardare. Il loro cinema è svuotato da ogni elemento cinematografico: scenografie, sceneggiatura, recitazione, movimenti di macchina ricercati, era ritenuto un "ritorno al cinema dei fratelli Lumiere". Perseguivano un totale rifiuto della narrazione e di ogni aspetto commerciale e molti loro film sono letture di parti di romanzi o lettere o opere letterarie, credevano che il miglior adattamento di un libro fosse la lettura di esso. E spesso ci sono voci over che leggono o attori che non recitano e non interpretano, ma ripetono semplicemente dei testi, come se stessero leggendo; con la telecamera che "riprende il mondo". Chiaramente si può capire quanto sia difficile da amare e quanto sia estremo questo tipo di cinema. "Troppo presto, troppo tardi" è di questa tipologia, è un film dedicato a Friedrich Engels e si svolge in due parti. Nella prima ci sono immagini della campagna e di città francesi, semplici immagini fisse o panoramiche, e una voce over che legge una lettera di Engels a Kautsky; nella seconda parte ci sono immagini dell'Egitto e un'altra voce over che legge una parte di "Lotte di classe in Egitto" di Mahmoud Hussein. Onestamente è quasi impossibile portare a termine la visione, ho visto solo la prima parte. Per adesso trovo il loro cinema una provocazione abbastanza inutile, ma proverò in futuro a riguardare qualcosa. San Michele aveva un gallo (1972) dei fratelli Taviani. Per ultimo il film che per me è di gran lunga il migliore del lotto. Un film, ispirato ad un racconto di Tolstoj, che si divide in 3 atti. Siamo in Italia nel 1870 e il protagonista è un anarchico internazionalista che, a capo del suo gruppo, compie un tentativo rivoluzionario armato nel piccolo paesino in cui abita, per far conoscere le intenzioni e le idee del suo gruppo e della corrente che si sta diffondendo in Italia e in Europa. Viene catturato e condannato a morte, ma all'ultimo viene graziato e la pena viene trasformata nell'ergastolo. La seconda parte si svolge quindi in una cella di una prigione, dove rimane per 10 anni. Nell'ultima parte, dopo i 10 anni, viene fatto uscire per essere trasferito in un'altra prigione nella laguna veneziana, quindi, condotto in barca, incontra altri prigionieri politici con i quali si confronta. E' chiaramente un film storico e politico, quegli sono gli anni in cui si diffuse il socialismo con la Prima Internazionale e si creò la spaccatura tra la visione degli anarchici e la visione di Marx. Nel film appunto viene mostrata questa differenza, i diversi ideali, il diverso modo di intendere la rivoluzione. Il protagonista, Giulio Manieri (interpretato da un immenso Giulio Brogi), è un anarchico e ha l'idea della rivoluzione tramite attacchi armati...mentre i giovani che incontra sulla barca nella terza parte del film sono marxisti, lavorano in giornali, in associazioni, con una visione più politica e di attesa per preparare il terreno per la rivoluzione futura. Tra l'altro sono anche argomenti che, in parte, ho studiato recentemente, perciò ci ho ritrovato quanto studiato. Comunque detto così può sembrare un polpettone politico indigesto ma non è assolutamente così. E' un film per me bellissimo, con una magnifica capacità creativa e di immaginazione dei fratelli Taviani, un film per niente pesante e che si mischia anche con la commedia agrodolce. La scena della prigione è fantastica, per circa 30 minuti si svolge eslusivamente nella piccola cella in cui il protagonista è rinchiuso giorno e notte, senza aver la possibilità di uscire nemmeno per 1 secondo, ma è la forza del suo ideale a permettergli di resistere. Lui, molto semplicemente, si organizza la giornata ora per ora...ginnastica, pasti, riunioni politiche, studio di materie diverse giorno per giorno ed ora d'aria. Tutto si svolge grazia alla sua mente e alla sua fantasia, nelle riunioni politiche mentalmente interpreta 4 personaggi diversi, durante i pasti immagina di mangiare i piatti più lussuosi e golosi possibile, immagina anche di uscire all'aria aperta, immaginando di tornare a vendere gelati ai bambini. Sono tra i 30 minuti cinematografici più belli che abbia visto, i Taviani riescono in modo sbalorditivo e rendere quelle situazioni e a convincere veramente lo spettatore su quello che Giulio sta immaginando; la scena della riunione di lavoro, con il protagonista che grazie al montaggio interpreta 4 persone, è meravigliosa, così com'è grandiosa la scena in cui immagina di tornare a vendere i gelati, con le voci dei bambini, i suoni dell'esterno, l'erba o l'acqua che appare per un momento sulle pareti. L'essenza del cinema concentrata in una stanza di pochi metri quadrati, in circa 30 minuti...un mondo racchiuso in 20 metri quadrati. Tutto ciò è ovviamente esaltato dall'attore, Brogi, che è di una bravura estrema. In quei minuti si racchiudono 10 anni, con il passare delle stagioni e il ripetersi delle sue azioni, i pasti in particolare. Molto bella è anche la terza parte, nella laguna veneziana. La prima volta che vediamo Giulio all'aperto ci riabituiamo anche noi all'aria e all'esterno e la telecamera vola sul pelo dell'acqua riprendendo la laguna in una lunga carrellata, in una metafora dello sguardo e dello spirito del protagonista che da una stanza chiusa e limitata torna a espandersi nello spazio aperto. Spazio che è libero, ma è anche monotono, ripetitivo come se fosse un'altra prigione. Giulio è un personaggio bizzarro e lo era anche prima di andare in prigione, nella cella inoltre ha manifestato segni di squilibrio mentale ma è riuscito a superare i 10 anni grazie alla forza del suo ideale. Quando incontra altri prigionieri politici è contentissimo, vuole sapere a che punto è la rivoluzione, per quali attacchi sono stati catturati, ma quando scopre la verità rimane sconvolto. Sono passati 10 anni da quando era al centro della vita politica e adesso non è al corrente delle novità. La sua felicità e la sua voglia di notizie si infrange contro la consapevolezza che i giovani di quel momento avevano una concezione differente, una visione politica diversa. Come dicevo, lavorano nei giornali, viaggiano in Europa per convegni, fanno parte di associazioni...in poche parole, si sta assestando una visione socialista completamente differente dalla sua. E a Giulio sembra quasi che quei giovani lo sbeffeggino, lo prendano in giro. Ed è questa "scoperta" che lo abbatte, molto più dei 10 anni di prigione. Un film quindi sulla grande scissione del socialismo, su fatti storici, politici ma anche la rappresentazione di un intellettuale lontano dalla realtà e distante dal popolo...ed è un concetto che può espandersi molto più lontano rispetto al singolo anarchico Brogi. Da considerare che il film è del periodo successivo al '68, per far capire un po' il periodo... Ma è limitativo parlare di questo film in chiave esclusivamente politica, a me non frega nulla dell'idea in sè...trovo che sia davvero un film bellissimo per come è ideato, per l'equilibrio che ha, è un film che ha una forza pazzesca in ogni scena, è un film che incarna il cinema, ha una brillantezza enorme ed è interpretato da un attore che è bravissimo. E' il primo film dei Taviani che guardo e voglio recuperarne il più possibile. Ho visto anche il documentario su Salvador Dalì uscito ieri, il pittore che amo di più, probabilmente. E ho trovato il documentario un'occasione mancata e sprecata. Scelte a mio avviso pessime e lavoro sostanzialmente inutile...
  7. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Esatto. E questo per me fa perdere un po' la magia di tutta la vicenda che per me è bellissima. Il finale mi è suonato un po' come la classica frase "Non fatelo a casa", come un po' a voler rientrare in ambiti più convenzionali. Secondo me non ce n'era bisogno o poteva essere ideato in modo più efficace.
  8. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Seconda parentesi francese. Playtime (1967) di quel genio di Jacques Tati. E' il suo quarto e penultimo film cinematografico e senza dubbio il suo lavoro più complesso e ambizioso. In primis per il set; ha fatto costruire in pratica una piccola città, con una centrale energetica apposita, strade ed interi palazzoni. Il set fu chiamato Tativille e l'intezione di Tati era quella di donarlo alla città di Parigi per farne una "città del cinema" del tipo di Cinecittà, ma la sua idea non si realizzò e, se non sbaglio, parte delle strutture furono abbattute per farci passare un'autostrada; comunque per questo film furono spesi moltissimi soldi. Già in Mon Oncle aveva affrontato il tema del cambiamento sociale, della tecnologia dilagante e su come essa abbia influenzato non solo i compiti e le azioni dell'uomo ma anche i piccoli gesti, i comportamenti, i rapporti. In Playtime tutto ciò è reso in modo più colossale con questa città, che dovrebbe rappresentare la periferia di Parigi, formata da strade grige, auto grige, edifici tutti uguali, geometrici e grigi con all'interno labirinti di cuniculi, uffici e porte a vetri, lavoratori che vanno da una parte all'altra senza sosta, oggetti strani e buffi. Un mondo asettico, freddo, senz'anima. In tutto ciò, arriva un gruppo di turisti americani per visitare Parigi, ma di fatto Parigi non la vedono, vedono solo questi edifici e questo tram tram...le uniche viste di Parigi sono due riflessi in una porta a vetri, la Torre Eiffel prima e l'Arco di Trionfo poi. Tati ovviamente appare nei suoi classici panni, nel suo personaggio, ma di fatto è più uno spettatore. Il film tende quasi alle Sinfonie delle città degli anni '20-'30 ma in versione moderna e accentrata. Nella prima parte Tati entra in uno di quegli edifici per un appuntamento importante, ma si perde nel labirinto di cuniculi, uffici, stanze e non riesce ad incontrare la persona che cerca, che pure si trova sempre a pochi passi da lui...nonostante i sistemi di comunicazione più sofisticati, nonostante la trasparenza di contatto rappresentata dalle innumerevoli porte a vetri, trasparenti, c'è un'enorme incomunicabilità ed incapacità di contatto. Nella seconda parte viene mostrata la serata d'apertura di un ristorante di lusso e il film esplode con l'infinita serie di imprevisti che si verificano; dalla mattonella della pista da ballo che si stacca, ai contatti elettrici che non funzionano bene, alle difficoltà in cucina, ai camerieri poco professionali che si ubriacano, alla forma scomoda delle sedie che strappa gli abiti dei camerieri e si stampa sulle giacche o sulle schiene degli ospiti, al condizionatore d'aria che smette di funzionare e poi funziona troppo, alla porta (sempre a vetri) che va in frantumi e così via. E' tutta una serie di imprevisti che prende sempre più ritmo, una danza degli eventi che peggiora e aumenta di minuto in minuto fino a che una parte del soffitto crolla e allora crolla anche quel mondo asettico, standardizzato e freddo. Si forma, in un angolo del ristorante, un gruppo di ospiti, diversi di loro ubriachi, che fanno festa in modo informale, cantando canzoni popolari, facendo baccano, improvvisando al pianoforte, scherzando e ridendo. E questo calore contagia anche il mondo esterno, con al mattino questo gruppo di persone che va a fare colazione insieme, sempre con lo stesso atteggiamento solare e caloroso. Le strade poi iniziano ad essere popolate anche da auto colorate, che ruotano costantemente intorno alla rotonda come in una sorta di giostra, appaiono festoni colorati agli edifici, anche nei negozi le persone e gli atteggiamenti cambiano. Personalmente la interpreto proprio come netta rottura rispetto alla prima parte, come a voler significare che va bene la tecnologia e che ha senza dubbio vantaggi, ma non dev'essere modificato il nostro modo di vivere, i nostri piccoli gesti, la nostra vitalità, il comunicare e il rapportarsi con gli altri in modo confidenziale e caloroso, popolare...non deve quindi rendere i comportamenti umani freddi, asettici e standardizzati. Che appunto era un po' il concetto anche di Mon Oncle, con il passaggio dal mondo futuristico e tecnologico della famiglia della sorella di Tati, al borgo popolare in cui abitava lui. Playtime è un film più complesso da seguire, meno divertente degli altri, meno fluido nella narrazione...come dicevo, a me ricorda in un certo senso i film/sinfonie sulle città del cinema d'avanguardia. Ma è di una complessità enorme, ha delle gag visive e sonore assolutamente incredibili e geniali, ha tantissimi dettagli e in queste righe ho solo graffiato la superficie. E' veramente un'opera maestosa nel vero senso della parola. Cinematograficamente segue lo stile di Tati, con il sonoro che è protagonista (è uno degli autori che ha proprio rivoluzionato il sonoro); tutta la serie di gag è realizzata con piani lunghi, mai primi piani o piani ravvicinati, gag che nascono, si sviluppano e si compongono all'interno dell'inquadratura, come ad esempio la scena iniziale dove ogni dettaglio e aspetto ci porta a credere che siamo in un ospedale, invece nella scena seguente capiamo di trovarci in un aeroporto. Perciò le sue inquadrature chiedono massima attenzione, per cogliere tutto ciò che si svolge al loro interno. Generalmente, tutti i film di Tati sono assolutamente da vedere...un genio del cinema che si affianca a pieno merito ai migliori autori comici e non solo. La grande illusione (1937) di Jean Renoir. Questo film di certo non ha bisogno di presentazioni o di tanti discorsi, è uno tra i massimi film della storia del cinema. La straordinarietà pazzesca di due capolavori assoluti come questo e La regola del gioco è che sono al tempo stesso semplici e leggeri ma anche complessissimi. In questo Renoir è unico, riesce a fare film strutturati e densi di argomenti complessissimi in modo assolutamente leggero, con una tranquillità e una facilità disarmante. La grande illusione è ambientato durante la prima guerra mondiale e mostra degli ufficiali francesi catturati dai tedeschi e messi nei loro campi di detenzione. In particolare vengono mostrati 2 francesi, uno più anziano ed uno più giovane. I francesi tentano di fuggire dalle varie prigioni, non per sopravvivere, in realtà, perché sono trattati in modo egregio, viene concessa grande libertà e grande rispetto. I due protagonisti vengono spostati da prigione in prigione fino a che non vengono portati nel castello comandato dall'ufficiale tedesco che li aveva catturati. Qui si rinsalda il rispetto che si era creato tra l'ufficiale tedesco (interpretato dal grandissimo Erich Von Stroheim) e il detenuto francese di più alto grado che sfocia quasi in amicizia. Per lunghi tratti è un film che ha toni da commedia, per tutta la prima parte in particolar modo, ma sa essere anche molto amaro. La visione della guerra presente in questo film è disarmante, in tutti i sensi. Appare enorme la differenza tra generazioni, la guerra è stata voluta dalla generazione più vecchia, per porre rimedio ai fallimenti delle loro vite; i più anziani appaiono stanchi, logori, guardano alla morte quasi come sollievo per la loro vita e per i loro fallimenti. I più giovani invece si sono trovati incastrati nella guerra, non l'hanno voluta loro e lottano per la vita, non vogliono morire. Appare inoltre molto più netta la differenza tra persone di classe diversa piuttosto che tra persone di nazione diversa. I due francesi sono di classe diversa, hanno avuto educazioni diverse e sono molto distanti mentre tra l'ufficiale francese e quello tedesco, nonostante siano di nazioni diverse ed in guerra tra loro, si crea un'alchimia molto forte. Mentre invece l'altro francese, con un altro compagno, nella parte finale trova un forte rapporto con una contadina tedesca, che li ospita. Questi momenti, soprattutto il rapporto tra l'ufficiale francese e quello tedesco, sono tra i più belli nella storia del cinema. Ma in generale lo è tutto il film, di una bellezza disarmante. E quello che rimane impresso in modo indelebile appunto, è la facilità e la leggerezza con la quale si svolgono i film di Renoir nonostante i temi trattati. Uno tra i massimi poeti del cinema. Qualche volta ci poniamo la domanda su quali siano i film più importanti o più belli del cinema...pur avendo visto solo due suoi film, io credo che Jean Renoir debba sempre trovar posto. Parigi brucia? (1966) di René Clément, produzione franco-americana. Parla di un reale episodio della seconda guerra mondiale. Hitler nel 1944, ormai a fine guerra, ordinò al governatore nazista di Parigi di radere al suolo la città, visto l'arrivo degli alleati, distruggendola; il governatore, Choltitz, è passato alla storia per aver disobbedito all'ordine. Il film quindi mostra questo episodio, le azioni dei gruppi della resistenza francese che si adoperano per liberare la capitale e l'arrivo dell'esercito alleato. E' indubbiamente tra le produzioni più grandi della storia: la regia è affidata a Clement (che comunque non ha grande libertà, più che altro mette a disposizione la sua capacità di mestiere), la sceneggiatura è stata scritta da Gore Vidal e Francis Ford Coppola, nel cast figurano attori come Kirk Douglas, Alain Delon, Belmondo, Orson Welles (e il bello è che lì per lì non lo avevo riconosciuto e pensavo "In questo ruolo ci vedrei Orson Welles" ), Trintignant ma anche Michel Piccoli, Anthony Perkins, Jean-Pierre Cassel ed altri. Cast mostruoso e la cosa curiosa è che hanno tutti ruoli abbastanza piccoli...è un film corale e quasi tutti compaiono per pochi minuti o addirittura secondi. Ma come spesso accade in questi casi, il film è discutibile. Un'accozzaglia di scene, di azioni, di momenti scritti, realizzati e scelti male...in particolare legati con un pessimo, per me, montaggio. Generalmente è come se non si veda niente, i momenti drammatici vengono rappresentati in maniera insipida, i combattimenti ci sono ma sono caotici, confusionari, mal realizzati e mal montati, nessun personaggio rimane vivido, non c'è nessun tipo di tentativo di riflessione su quello che accade, vengono confusi anche i punti di vista. Se qualcuno era intenzionato a vedere questo film perché incuriosito dai nomi presenti o da altro, glielo sconsiglio Passando a visioni contemporanee, ho visto anche io Un affare di famiglia di Kore'eda. Bel film, ne ha già parlato sufficientemente PerfX. A differenza di Ozu, che indagava con sguardo contemplativo la famiglia, Kore'eda in questo film colpisce direttamente con una visione alternativa della famiglia, va un po' a scuotere i cardini di quella che è un'istituzione sacra; argomento, tra l'altro, che è sempre all'ordine del giorno in ogni decennio ed anche da noi, per esempio. Come detto da PerfX però, lascia in sospeso...lascia al giudizio dello spettatore. Se vogliamo può ricordare Captain Fantastic per certi versi, ovviamente con uno stile, dei toni e fondamenti cinematografici molto lontani...ma in questi film viene posta una visione differente della famiglia da una parte e dell'istruzione/famiglia dall'altra, andando un po' a sconvolgere quelle che sono le canoniche convinzioni. Il film di Kore'eda è realizzato con la classica dolcezza, leggerezza e sensibilità giapponesi. Non mi ha convinto moltissimo il finale, secondo me si trascina un po' troppo con una serie di "falsi finali". A me sarebbe piaciuto maggiormente senza gli ultimi 15-20 minuti, che secondo me tolgono anche un po' di coraggio al film e servono per dare una maggior chiarezza che per me va un po' a rompere la poesia. Complessivamente credevo mi colpisse maggiormente, ma è comunque un gran bel film. Ho iniziato a vedere anche la serie tv Sharp Objects, con Amy Adams. Lo sapete, io le serie tv non le guardo quasi mai, ma queste prime due puntate non mi sono dispiaciute...vedremo come andrà avanti.
  9. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Non sapevo che L'anno scorso a Marienbad fosse stato restaurato da poco. Se va in sala torno a vederlo. Hiroshima mon amour è l'altro capolavoro di Resnais e ho intenzione di recuperarlo così come altri di questo periodo...qualcosa di Rivette, Rohmer, Chabrol e qualcos'altro anche di Godard e Truffaut, Effetto notte l'ho in programma da molto e inserisco anche L'uomo che amava le donne. Pian piano cerco di recuperare un po' tutto, ma non è semplice Truffaut comunque è davvero un autore che mi è entrato nel cuore.
  10. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Ho messo direttamente qui sopra parte della discussione degli ultimi 2-3 giorni, così almeno gli ultimi messaggi del vecchio topic non vengono eliminati
  11. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Riprendiamo qui
  12. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Monica e il desiderio, del 1953. Questo film non lo conoscevo nemmeno, tra l'altro e l'aneddoto l'ho letto proprio oggi. Sembra che questo film alla sua uscita abbia diviso molto la critica, ma che abbia affascinato i critici francesi tra cui proprio Godard e Truffaut che ne sono stati influenzati per alcuni loro film, tra cui proprio la scena finale con lo sguardo del bambino ne I quattrocento colpi che riprende quella del finale del film di Bergman.
  13. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Indubbiamente non è un brutto film. La scena finale è molto bella ed è ottima anche la ricostruzione sociale, così come sono molto belle anche alcune scene di falò. Come dicevo, ha un argomento molto forte e che non invecchia con il tempo, rappresentato in modo vivido e brillante. Il protagonista, più che essere affranto, rimane folgorato dall'incontro con la ragazza...che rappresenta un po' la rottura di tutti i canoni, a partire dall'aspetto fisico (più avanti viene detto "Tutte le ragazze dovrebbero avere i capelli lunghi"). Lui viene contagiato dal suo spirito, dalla sua essenza e il fuoco divampa in lui sempre più forte. Non è comunque raro trovare film con l'aspetto così agrodolce o malinconico, così come personaggi di questo tipo...anzi, ci sono tanti tanti casi in cui questi elementi sono più integrati, più accentuati e più puri, a partire da altri film di Truffaut stesso, ma anche moltri altri film del periodo e non solo. Questo l'ho trovato, viceversa, più distaccato, più freddo, molto lontano dall'immersione intima ed umana che si ha per esempio in un Jules e Jim o in un I quattrocento colpi, lontano dalla poesia di altri film del genere...è un ottimo film che però per me non può essere di più perché si ferma alla costruzione sociale e degli ambienti, si ferma al messaggio generale, non sfonda la barriera dell'irrealtà, non penetra e non indaga nell'essenza sociale e umana. Le caratteristiche rivoluzionarie del cinema francese e non di quegli anni, in questo film sono meno presenti. In parte, come dicevo, è un fatto obbligato dalla barriera linguistica...perché appunto la maggior caratteristica di cineasti come Truffaut era quella di allontanare la sceneggiatura, di "ripudiarla", di creare sul momento, solo così potevano cogliere l'attimo, la scintilla, la poesia del reale e dell'animo che tanto ha elevato determinati film. Se invece un regista del genere è costretto a seguire passo per passo la sceneggiatura, la struttura crolla....è come prendere Cristiano Ronaldo ed impedirgli di calciare in porta. Ma si parla comunque di mancanze per raggiungere i massimi livelli, perché comunque per me rimane un buon/ottimo film di uno dei migliori autori della storia...Julie Christie è meravigliosamente brava, interpreta due ruoli opposti e lo fa in modo eccelso, inizialmente non l'avevo nemmeno riconosciuta. Tra l'altro ho scoperto adesso che ha fatto anche il ruolo di Madama Rosmerta in Harry Potter 3, ma pensa te Il remake invece non ha nessun motivo per essere visto, se non la curiosità...ma ne ho talmente tanti da vedere che ne faccio tranquillamente a meno
  14. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Giù la testa è l'unico film di Sergio Leone che non ho visto (anche Il colosso di Rodi, a dire il vero), ma lo recupererò. Per il finale teoricamente Truffaut ha preso molto da un film di Bergman che comunque non ho visto, quindi non saprei direi...ma è un film che è stato apprezzato e ripreso sia da Godard che Truffaut. Però è davvero una scena sontuosa.
  15. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Una prima parentesi francese. I quattrocento colpi (1959), Tirate sul pianista (1960) e Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut. Ero rimasto innamorato di Jules e Jim, ho aggiunto questi 3 film del regista francese. E' il regista più intellettuale della Nouvelle Vague, grande amante dei libri e del racconto e lo si vede perfettamente nei suoi film. In un certo senso, quello che penso di Herzog vale per Truffaut però non dal punto di vista visivo ma narrativo. Ha uno stile di narrazione straordinario e unico. Riesce a rendere magico l'ordinario; un bambino o due persone che passeggiano, una classe a scuola, due persone che parlano, una famiglia a tavola. Azioni ordinarie, semplici, banali rese straordinarie, rese magiche ma al tempo stesso le sentiamo intime e "nostre". Ha un modo straordinario di scrivere, descrivere, mostrare, inquadrare e dirigere i personaggi...le loro figure ci avvolgono e diventano a noi familiari nel giro di pochissime scene. In un'intervista ha detto che cercava di non fare film con sceneggiature originali perché tendeva sempre a normalizzare i film, togliendo azione, quindi se il soggetto lo scriveva lui portava l'azione quasi a 0, fin quasi a non far accadere niente, invece partendo da libri o racconti molto dinamici e animati la sua indole "normalizzante" avrebbe avuto meno effetto. Io, come dicevo, ritengo che la sua straordinarietà riguardi proprio le azioni più ordinarie e normali. "I quattrocento colpi" è il suo film più intimo, una sorta di autobiografia con al centro gli anni difficili della sua infanzia. E' un forte esempio di narrazione soggettiva, con la camera che segue costantemente il ragazzo protagonista, noi vediamo e viviamo attraverso di lui e quindi direttamente dagli occhi di Truffaut. E' un film magnifico, un esempio maestoso della sua capacità narrativa; il bambino è di fianco a noi, camminiamo ed agiamo di fianco a lui, ci troviamo in quegli stessi ambienti, i suoi problemi e le sue preoccupazioni sono anche le nostre. La celebre scena finale poi è una tra le più belle del cinema, con la corsa del bambino verso il mare, simbolo di estrema libertà ma al tempo stesso massima barriera e ostacolo insormontabile, con lo sguardo finale catturato in fermo immagine, uno sguardo che sembra rivolgersi allo stesso spettatore per chiedere un appiglio...che poi è stato ripreso, concettualmente, tantissime volte in altri film, vedi appunto Il laureato. Approfittando dell'occasione ho rivisto anche "Jules e Jim" ed è un film che mi sbalordisce sempre...trovo la parte finale un po' appesantita, altrimenti lo troverei un film perfetto. Non so quale tra questi due preferisca, sono due capolavori inimmaginabili e due tra i miei film preferiti in assoluto. "Tirate sul pianista", tratto da un romanzo, è un omaggio di Truffaut al cinema americano. A fianco di un amore tra un pianista timido e una ragazza, c'è una storia di gangster. Per sua stessa ammissione, Truffaut odia il genere gangster e se n'è accorto maggiormente girando questo film, perciò lo ha alleggerito rendendo goffi e quasi comici i due gangster. Film che mi è piaciuto, meno la parte del malviventi ma molto di più quella della vita del pianista, del locale in cui suona ogni sera, della casa in cui abita, dell'amore che nasce tra lui e la cameriera di quel locale, della passeggiata tra i due...in quei frangenti emerge il Truffaut che adoro. "Fahrenheit 451" è un altro film tratto da un romanzo, girato in Gran Bretagna in lingua inglese (credo sia l'unico) e a colori. Mostra una società del futuro dominata dalla televisione, in cui è vietato leggere e possedere libri, che vengono bruciati dai pompieri. E' una storia che definisce, per me molto bene e in modo molto brillante, la deriva della società occidentale nel secolo scorso; il ruolo sempre più marginale e sempre più negativo dato alla cultura, la formazione di modelli di comportamento, di aspetto, di vita sempre più rigidi e stereotipati, una borghesia sempre più attratta dalla forma e dal vacuo, il ruolo sempre più dominante della televisione. Questo film mi è piaciuto meno, ho visto meno la brillantezza e la magia di Truffaut, la sua capacità narrativa; lui chiaramente è rimasto affascinato da questo film per la componente legata ai libri e ha detto di aver voluto renderli protagonisti, più delle azioni e dei personaggi. E secondo me non ci è riuscito. E' chiaramente un buon/ottimo film, ma per me mancano gli elementi migliori del suo stile, è un lavoro più britannico inteso nell'accezione negativa. Ha sicuramente influito il fatto che lui non conoscesse bene l'inglese e quindi si sia limitato a seguire alla perfezione la sceneggiatura, mentre invece lui, come in generale gli autori della Nouvelle Vague, tendeva a non seguire la sceneggiature in modo fisso (alla Hitchcock, per intendersi) quanto invece a seguire l'ispirazione del momento. Generalmente comunque adoro Truffaut e voglio continuare a scoprirlo. Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (1965) di Godard, Orso d'oro a Berlino. Film noir/fantascienza che parla di un agente che si reca nella capitale di un'altra galassia, Alphaville, dominata e controllata da un supercomputer. E' una storia anche molto interessante e visivamente è spesso anche straordinario, con lavori eccellenti soprattutto sull'illuminazione; per questi due motivi ho anche un buon ricordo di questo film. Ma continua il mio rapporto di amore/odio con Godard. E' un film che mi ha confuso e ogni scena mi confondeva sempre di più; straniante, incomprensibile, irrazionale, assurdo. Non che non si capisca in senso stretto, ma non si capisce il perché di certi avvenimenti, di certe scene, è una narrazione controcorrente, non si riesce a seguire lo sviluppo. Proverò a riguardarlo. L'anno scorso a Marienbad (1961) di Alain Resnais, Leone d'oro a Venezia. Per quanto riguarda Resnais non siamo proprio nella Nouvelle Vague, appartiene più al movimento della "Rive Gauche", composto da registi meno cinefili e più intellettuali rispetto a quelli della Nouvelle Vague...è un movimento molto sperimentale soprattutto per quanto riguarda gli intrecci narrativi e temporali, quasi labirintici. E "L'anno scorso a Marienbad" ne è l'emblema perfetto ed è uno tra i film più sperimentali che abbia visto. E' ambientato in un sontuoso hotel, una reggia con giardini immensi, barocca, con mille corridoi, sale, specchi, statue, con i ricchi ospiti che passano il tempo in balli, dialogando, facendo passeggiate all'interno e nei giardini, incontrandosi nelle sale anche per fare giochi di carte. Ma non sembra di essere nella realtà, ma in un sogno o in un incubo, in una dimensione parallela...i camerieri e gli ospiti spesso rimangono immobili come congelati e ci perdiamo nelle ambientazioni labiritintiche e geometriche dei corridoi, delle sale, del giardino. Per alcuni aspetti la situazione mi ha ricordato Shining. Soprattutto l'aspetto geometrico e labirintico delle ambientazioni e per i personaggi immaginari di Shining, i fantasmi che sembrano popolare entrambi gli hotel. Tornando a Marienbad, un uomo e una donna ballano insieme, lui sembra conoscerla, lei no; l'uomo le dice che si sono incontrati ed amati in quegli stessi luoghi l'anno precedente e si erano salutati con la promessa di aspettare un anno per rivedersi e per andar via insieme, lei invece non ricorda niente di tutto ciò e insiste nel negare. A quel punto l'uomo le racconta i loro incontri e inizia una serie infinita di flashback con la voce narratrice dell'uomo permanente. Tutto il film si svolge così, con questi racconti, ma non c'è riferimento cronologico o narrativo; si fondono sempre più realtà ed immaginazione, passato e presente. Inoltre molto spesso ai racconti dell'uomo non viene associata la giusta scena, lui racconta delle azioni e noi ne vediamo altre, accadute in luoghi e periodo diversi. Un labirinto fisico, narrativo e temporale fino a che non si arriva alla confusione degli stessi ricordi e pensieri dell'uomo. Il tutto ripreso tramite sinuosi, lunghi e continui movimenti di macchina, che sembra fluttuare continuamente; così come sembra incorporea anche l'immagine stessa, che spesso cambia al proprio interno con lo spostamento della camera. Una regia immensa. Il montaggio inoltre, come si può intuire, svolge un ruolo fondamentale e probabilmente è proprio il lato maggiormente sperimentale e affascinante; con i continui salti temporali e narrativi ma salti anche non spiegabili o definibili, con dialoghi che iniziano in una sala e con i personaggi vestiti in determinato modo e che continuano all'improssivo con uno stacco di montaggio in una sala completamente diversa e con i personaggi vestiti in maniera differente, senza però nessuno stacco vocale e labiale. La bellissima fotografia va ad esaltare gli interni del palazzo e l'utilizzo del grandangolo rende ancora più onirica e deformata l'ambientazione. E' un film difficile da seguire, ma che affascina e calamita in modo incredibile. Il magnifico turbinio visivo e lo straniante, oscuro, incerto e affascinante intreccio narrativo tengono calamitato lo sguardo e ci perdiamo anche noi in questa dimensione. C'è anche la figura di un secondo uomo, quello che pare essere il marito della donna, ma non lo sappiamo con certezza...figura oscura, quasi minacciosa anche se non lo è, imbattibile in un gioco con i fiammiferi. Appare sempre più spesso e, non so bene perché, ma mi ha ricordato l'uomo misterioso di Lost Highway di Lynch. Complessivamente l'Overlook Hotel di Kubrick e certe atmosfere lynchiane sembrano nate proprio nell'albergo di Marienbad. E' difficile descrivere in maniera accurata questo film, consiglio a chi è interessato di guardarlo e di farsi anche la propria idea sul tema e sul significato. Principalmente si muove nella rappresentazione del linguaggio della coscienza, il pensiero, il ricordo, il sogno...che non hanno limiti, non hanno strutture fisiche, dove il tempo ha un'altra concezione. E in più sembra essere anche una critica all'alta borghesia, persa nel vuoto, incastrata in un labirinto senza tempo e senza forma, quasi congelata in una forma da fantasma. Veramente un film affascinante e bellissimo. Infine Giochi proibiti (1952) di René Clément, anch'esso Leone d'oro a Venezia. Film sulla seconda guerra mondiale, sulla guerra vista dai bambini, sulla guerra che diffonde brutalità e diffonde l'aura di morte finanche nei giochi dei bambini..."giochi proibiti", appunto. E' un film comunque dove la guerra rimane nello sfondo; una famiglia scappa da Parigi e durante un bombardamento un padre e una madre rimangono uccisi, la loro piccola figlia rimane sola e viene trovata da un suo coetaneo nei campi, perciò va a vivere con una famiglia di campagna. Da quel momento di sviluppa un film con toni più leggeri, viene mostrato il legame sempre più forte che si crea tra il bambino e la bambina, i loro passatempi e i loro giochi. Ma l'alone della morte è presente e porta alla morte del fratello più grande del bambino, ucciso da un calcio di un asino ed è presente anche nei macabri passatempi dei bambini, che creano un loro cimitero seppellendo alcuni animali...questo loro gioco li spingerà (il bambino, soprattutto) anche a rubare delle croci nel cimitero del paese, a tentare anche di rubare la croce in chiesa e ad uccidere uno scarafaggio per aggiungerlo alle loro sepolture. Il dramma della morte dei genitori, della bambina rimasta orfana e del suo adattamento in un contesto nuovo unito a momenti divertenti come alcuni legati ai giochi dei bambini ma anche alla rivalità della famiglia protagonista con la famiglia che abita vicino a loro, un po' come Totò con Mezzacapa. Il tutto rappresentato con realismo. Film molto bello, delicato ma, per la tipologia di film, mantiene per me un'atmosfera troppo confezionata e una patina di finzione cinematografica leggermente eccessiva, soprattutto nel creare il sentimento in alcuni punti. Manca quello sguardo totalmente immersivo e quella carica di perfetto realismo che contraddistingueva i film del neorealismo, ad esempio.
  16. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Il finale può essere ambiguo nell'effettivo pensiero dei personaggi, ma è chiaro nella sua amarezza e nella vacuità, incertezza e timore dei loro sguardi persi nel vuoto. Passano da risate fragorose, al guardarsi sorridendo, al tentare sorrisi sempre più brevi e isolati, senza riuscire più ad incrociare lo sguardo e finendo con lo sguardo perso davanti a loro...si crea tra loro quasi un imbarazzo, una sorta di risveglio. E' proprio quella la caratteristica principe per il quale viene ricordato e studiato. Ma comunque è un film influente per diversi motivi, sia socialmente che cinematograficamente. La scena dei titoli di testa di Jackie Brown è un omaggio a Il laureato, sì.
  17. Rhyme

    Occhio allo schermo!

    Mi fa molto piacere che ti siano piaciuti. Anche io ho seguito il tuo consiglio recuperando Paper Moon, ne ho parlato qualche pagina addietro. Per quanto riguarda la non facile lettura de Il laureato, questo fatto si concretizza in particolare nel finale. Può sembrare un lieto fine, ma è uno dei finali più amari della storia del cinema. Il sorriso che si stampa sulle loro facce nella scena finale che pian piano va spegnendosi sempre più, fino a lasciare nei loro volti espressioni vacue ed incerte...paura, amarezza che si ripresentano. Hanno compiuto la loro "ribellione", il loro gesto rivoluzionario, ma adesso? Era davvero quello che volevano? Cosa destinerà loro il futuro? Con la meravigliosa Sound of Silence che parte proprio quando inizia a cambiare la loro espressione. Uno dei finali più belli e più forti per me del cinema, mi vengono i brividi solo a pensarci. Uno schiaffo in pieno volto. Ma è una caratteristica che caratterizza l'intero film...commedia anche divertente in alcuni punti ma che nasconde una grandissima amarezza, grandissime incertezze e paure, film che indaga una generazione di giovani che sta cambiando in modo profondo e che smonta le false morali di una parte di America troppo puritana. Fanno piacere le tue recensioni chilometriche...così torniamo ad animare questo topic dopo la pausa estiva
  18. Non c'è una visione unica, non ci può essere un pensiero unico...è vero tutto e il contrario di tutto. Perché una squadra da mettere in Serie C non può avere solo giovani talenti che si affacciano al professionismo per la prima volta. Non ha senso pensare 'sta roba. Ma anche perché non avremmo nemmeno i giocatori per formarla...come si possa formulare un pensiero del genere ancora non l'ho capito. Dev'essere una squadra con una struttura. E, viceversa, non ci stiamo mettendo solo "scarti" e fuori quota. Ci dev'essere la giusta ossatura. Ci devono essere i giocatori più talentuosi su cui vogliamo puntare per il futuro, ci devono essere i giocatori che magari non trovano collocazione e ci devono essere anche giocatori che hanno già partite da professionista alle spalle per non far affondare immediatamente la barca. Serve tutto ed è ovvio che il primo anno sia quello maggiormente di formazione della struttura. Quindi sono giuste entrambe le visioni, nessuna esclusa. E' ovvio e scontato che servano anche giocatori più esperti, il Barcelona B per esempio ha avuto Soriano per diversi anni fino a 31 anni...comprato proprio per la squadra B. Ma ci stiamo inserendo anche giocatori talentuosi o che comunque abbiamo deciso noi di mettere lì rifiutando altre proposte (anche per averli "vicini" alla prima squadra). Vale per Beruatto che poteva andare altrove, vale per Del Favero, vale per Zanandrea, vale per Fernandes, vale per Olivieri, vale per gli acquisti Tourè e Fonseca eccetera eccetera. E per vedere a pieno regime il "progetto" occorrerà ancora tempo e qualche anno. Quando la squadra parte con una conformazione strutturata allora si può andare ad inserire maggiormente una tipologia di giocatore. Quindi NON può essere vera una sola linea di pensiero...è oggettivo. Perché una squadra è formata da 25 elementi minimo....e non possono essere tutti di una tipologia, vale anche per le squadre "normali". Poi se si preferisce estremizzare la visione per forza e per partito preso, va bene.
  19. Svuota la cartella dei messaggi

  20. Rhyme

    [Topic Unico] Star Wars

    E' vero anche quello che dici su Star Wars VII, in effetti...diciamo che è un'altra sfumatura di quello che dicevo riguardo all'ultimo film. Sul resto, per quanto riguarda le considerazioni su questo film, sono d'accordo. Comunque l'ho rivisto altre due volte in questi giorni e la seconda visione, come dicevo nell'altro topic, me la sono goduta maggiormente, una volta assimilato ed accantonato il giudizio che mi ero fatto. La terza volta invece mi sono quasi addormentato.
  21. Rhyme

    [Topic Unico] Star Wars

    Sì, forse il passo da 99 a 100 è stato un po' troppo rapido, nel passaggio al lato oscuro. Però da 1 a 99 viene raccontato in modo lento, inesorabile e quasi perfetto lungo l'arco di 3 interi film e in modo sempre più crescente. Forse quella rapidità a cui fai riferimento è quasi una conseguenza di tutto il conflitto interiore che si è svolto in precedenza...uno scatto automatico. Però anche a me sembra un po' troppo rapido quel passetto. E comunque sì, Lucas non è uno sceneggiatore di altissimo livello.
  22. Rhyme

    [Topic Unico] Star Wars

    Mah, il passaggio di Anakin al lato oscuro è lento ed incessante e in sostanza dura da capitolo I a capitolo III...già nel capitolo II la lotta al suo interno è netta ed inesorabile. Al di là di questo e di alcuni difetti che ovviamente il capitolo III ha, è un grandissimo film. Un film così, all'interno del mondo di Star Wars di oggi, temo sia inimmaginabile e lontano anni luce. E credo che tutta la trilogia prequel sia gravemente sottovalutata.
  23. Rhyme

    [Topic Unico] Star Wars

    Eh, quella sì che sarebbe una buona idea!
  24. Rhyme

    [Topic Unico] Star Wars

    Lo spero anche io, ma non so quanto sia possibile, onestamente. Credo che manchino proprio le basi, i pensieri e le volontà per fare un film differente e di qualità media. Magari la storia potrà essere sviluppata in maniera un po' migliore, potranno esserci meno difetti...ma la tipologia di film credo sia destinata ad essere la solita. Ma non credo che vogliano fare altrimenti...ovviamente la finalità è unicamente quella di fare soldi. Già il fatto che ogni film abbia registi, sceneggiatori e ideatori differenti a me ripugna e trovo che vada contro ad ogni speranza di coerenza poetica o stilistica. Ovviamente spero ugualmente in uno Star Wars IX migliore...ma ripongo maggiori speranze negli spin off. Sembrano progetti più semplici e con meno attenzioni della produzione, perciò è più facile che vengano fuori dei bei lavori. E magari la prossima trilogia, se è vero che tratterà argomenti completamente nuovi, permetterà di togliersi di dosso quella patina citazionistica e parodistica e di avviare un nuovo e interessante progetto.
  25. Rhyme

    [Topic Unico] Star Wars

    Ho visto il film. A mio modo di vedere non è più Star Wars ma la parodia di sè stesso. E' un film utile per essere preso e mostrato in tutte le scuole di cinema...da mostrare a tutti i giovani autori, i vari registi, sceneggiatori e montatori, e dirgli: "Ecco come non deve venire un film". Da un punto di vista filmico, è uno dei lavori peggiori che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni. Posso salvare giusto la fotografia, le riprese dei contatti tra Rey e Ben, l'aspetto visivo per esempio della sala di Snoke e qualche aspetto cromatico. Per il resto, secondo me, è una tragedia soprattutto dal punto di vista di regole e strutture narrative. E' un film che si apre già con una scena, strutturalmente, vista e rivista e banale nel suo sviluppo...già nei primi 5 minuti si capisce l'andazzo. Ed è così tutto il film...il 90% delle scene è strutturato in modo già visto ed ampiamente prevedibile. E' il classico modo di fare film action di questo decennio. E soprattutto, sia dal punto di vista narrativo che dal punto di vista del montaggio, è tutto uno sparare allo spettatore più azioni possibili, più scene possibili. Questo effetto crea caos e distrae dagli errori, dalle sbavature, dalle imperfezioni, dalle banalità. Il cinema action e di grande distribuzione di oggi è tutto così...ed è completamente contrario al vero significato e alla vera arte del cinema. Si ha paura che lo spettatore si annoi (e ormai la maggior parte delle persone di oggi si annoia con niente), perciò raddoppiano gli stacchi, raddoppiano le azioni...non c'è più riflessione, non c'è più caratterizzazione, non c'è più poesia visiva, non c'è più cinema. E Star Wars VIII è uno degli esempi maggiori di ciò. Ogni 3 secondi viene cambiata l'immagine e spesso anche luogo e personaggi, senza dar tempo di capire, di assimilare, di riflettere (perchè non c'è nulla su cui farlo). Con un film così trovo completamente inutile star a parlare di ipotesi, di sviluppi della saga, di considerazioni sul mondo di Star Wars attuale. Ho provato ad approcciarmi a questo film da amante di Star Wars e non da amante del cinema, ma non ci sono riuscito. In poche parole, è un film che ha fretta, tremenda fretta...fretta nel procedere veloce, fretta nel mostrare, fretta nel buttare là azioni e azione. E la fretta è sinonimo di approssimazione, di superficialità. Lo riguarderò perché sono comunque un grande fan e perchè voglio comunque provare a farmi un'idea sui singoli eventi...ma anche da questo punto di vista trovo sia tutto piuttosto chiaro Già Il risveglio della forza non mi era piaciuto...ma adesso lo rivaluto. Rogue One invece, nella sua semplicità, mi appare lontano anni luce. Non mi resta che sperare negli spin off e nella prossima trilogia...magari cambiando epoca e personaggi ritornano a fare qualcosa di buono.
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