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bidescu

Fabio Capello

Post in rilievo

Oscar Massei, un interno argentino di buona classe arrivato alla Spal, dopo l’esordio italiano con la maglia dell’Inter, era l’idolo di Fabio Capello. Il grande Giuseppe Meazza, osservatore della società neroazzurra lo aveva bocciato:

«Bravo ma lento, ottima tecnica ma poca verve».

E così Massei era approdato a Ferrara, dove aveva trovato l’ambiente adatto. Nella Spal dei giovani si stava mettendo in evidenza un goriziano forte ed intelligente, che giocava a centrocampo.

«Per me Massei era un fuoriclasse, uno che giocava come intendo io; mi ha insegnato tutto del calcio. Era in allenamento che guardavo, scrutavo, imparavo. Ricordo che anche mio padre ne aveva grande considerazione. Mi diceva: “Quello sì che è un giocatore” facendomi intendere che avrebbe voluto diventassi come lui. Ed io, dentro di me, ero sicuro che sarebbe accaduto. Forse era orgoglio un po’ eccessivo, ma io ho sempre avuto orgoglio», racconta Fabio Capello.

Una volta imparata la lezione, Fabio era stato ceduto alla Roma e dal giallorosso era passato al bianconero, insieme a Spinosi e Fausto Landini, un giovane attaccante, che non avrebbe avuto una lunga carriera. L’avventura romana ha trasformato Capello in un regista di qualità tecniche di grande respiro, uno di quei “pensatori” che illuminano il gioco con intuizioni improvvise.

Ma l’esplosione definitiva di Fabio avviene con la maglia bianconera, maglia che era stata, fra gli altri, di Giovanni Ferrari a cui lo paragonano. Gli viene affibbiato il nomignolo di “geometra”, perché la visione di gioco è completa, il campo è tenuto sotto controllo e dominato, quasi come se Fabio avesse la possibilità di vedere quel che accade dall’alto, in postazione sopraelevata. Capello fa il direttore d’orchestra, tagliando quelle fette inutili del campo per far giungere la palla al compagno il prima possibile: il lancio è millimetrico ed intuitivo, il corridoio smarcante colto con frequenza, persino il tiro a rete è spesso potente e preciso; ha la grande capacità di capire, dopo cinque minuti di partita, da che parte gira il fumo e di piazzarsi al posto giusto. Non sono pochi i goals che Capello riesce a realizzare, soprattutto di testa, nonostante la statura non eccelsa ed il fisico non proprio elegante (sedere basso e sporgente, rigido come un baccalà) e di questo si accorge anche la Nazionale. Con la maglia azzurra, infatti, realizza un goal “storico” al “Wembley Stadium” di Londra: il 14 novembre 1973, mette a segno la rete della prima vittoria dell’Italia in casa dell’Inghilterra. In totale le sue presenze “azzurre” saranno 32, con 8 realizzazioni. In maglia bianconera, invece, totalizza 239 partite e realizza 41 goals.

Dopo quasi trenta anni, ritorna in bianconero, come allenatore; i tifosi sono divisi, “Don Fabio” ha allenato la Roma ed ha sempre sparato a zero contro la Juventus e questo non può essere né dimenticato, né perdonato. Ma Capello è un vincente, dovunque è andato ha portato la propria squadra a primeggiare; prima il Milan, poi il Real Madrid ed infine la stessa Roma. È subito scudetto; dopo un lungo duello con il Milan, la squadra bianconera riesce a mettere in bacheca il suo 28° scudetto. Ma non sono tutte rose e fiori; i tifosi lo contestano apertamente per le troppe sostituzioni di Del Piero. Anche in Champions le cose non vanno meglio; dopo una splendida rimonta sul Real Madrid, la Juventus viene eliminata dal Liverpool e Capello è messo sul banco degli imputati, dopo lo scialbo pareggio casalingo.

Il secondo anno verrà ricordato per sempre dai tifosi bianconeri; la squadra è un carro armato che travolge tutti gli avversari, a Natale i giochi sembrano già chiusi. Ma con l’arrivo della primavera la Juventus comincia a segnare il passo; Capello non utilizza il turn over ed i giocatori sono allo stremo delle forze. Il Milan si fa sotto minaccioso, la Juventus subisce l’ennesima eliminazione dalla Champions League e viene clamorosamente contestata dai tifosi. Nonostante le prime avvisaglie di quello che sarà definito “Calciopoli”, la Juventus vince lo scudetto; nella giornata trionfale di Bari, Capello annuncia di voler restare alla Juventus, qualsiasi sia il responso della giustizia sportiva.

«Ci vedremo in ritiro il 15 luglio», annuncia; la tifoseria è fiduciosa ma “Don Fabio” ha sempre più contatti con i dirigenti del Real Madrid, fino al fatidico annuncio: Capello allenerà le “merengues”. Finisce nel modo più ignobile e più meschino la seconda avventura bianconera di Fabio Capello; non sappiamo se abbia mai amato la Juventus, di certo i tifosi non hanno mai amato lui.

 

Da Caminiti:

«Capello è diventato adulto a Roma, ma è nato calciatore a Ferrara. Egli si spiega attraverso tre stadi, ed il primo è Pieris nel Friuli, un paese meditativo e tranquillo, dove caccia, pesca e calcio sono tre momenti fondamentali del pensiero, e pure dello spirito, e chi non è sportivo annega letteralmente dentro il bottiglione (di vino). La geografia è alla base di tutto, a pensarci bene; Pieris sorge tra verdi orchestre di prati, Fabio è figlio di un maestro di scuola, un tipo di insegnante solido e pratico, tifosissimo di calcio. Quando Fabio aveva quindici anni tutta Pieris accorreva a vedere giocare il figlio del maestro, e ne restava ammirata; gli applausi scrosciavano.

“C’è un certo ragazzino figlio di un maestro”, dissero a papà Mazza presidente della Spal, “che ha la stoffa del campione”.

E papà Mazza mandò un suo uomo di fiducia, e costui venne.

“C’è un certo ragazzino figlio di un maestro, a Pieris, che gioca benissimo”, dissero a Gipo Viani, di Nervesa, omone rubizzo con il cuore di un nostromo, e Gipo Viani, come faceva sempre, si fece il viaggio, ed arrivò a Pieris, e bussò alla porta del maestro di scuola Guerrino Capello, e fu fatto accomodare. Tutti erano accomodati, pure la madre di Capello, Fabio in un angolo, compito come sempre. Viani girava intorno i suoi occhioni cilestrini, e si batteva il petto di bue:

“Debbo dirle che lei non era nella sua piena facoltà mentale quando ha firmato per la Spal. Il suo figlio benedetto ha un tesoro nei piedi, io ce lo porto nel Milan, gli assicurò il conto in banca a lui e famiglia, lei non era in piena facoltà mentale”.

Ha poi spiegato Fabio:

“Ero della Spal, Viani non poté portarmi al Milan. A diciotto anni, nel 1964, ho esordito a Genova, contro la Sampdoria. Vincevamo 1 a 0, poi ci hanno fatto tre goals uno più stupido dell’altro. No, io non giocai male il mio allenatore tra i ragazzi era Gian Battista Fabbri. Brava persona. Ma io imparavo tutto da Massei, che era un fuoriclasse, e giocava come intendo io; mi ha insegnato tutto quello che so. Era in allenamento che io guardavo ed imparavo”.

Il vero Fabio Capello tutti abbiamo cominciato a conoscerlo a Roma, dove trova l’allenatore che lo esalta e lui si sente il perno della squadra. A Roma trova i giornalisti permanentemente disimpegnati, pieni di “humor”, i quale ne ottengono interviste avvincenti. Capello diventa amico dei giornalisti e gioca partite bellissime. La squadra in campo obbedisce ai suoi piazzamenti, anche se qualche suo compagno dice di lui:

“In campo si fa sentire soltanto dopo il 2 a 0 a vantaggio”.

Noi lo conosciamo a Torino, dove (stagione 1970-71) è venuto per comandare in campo alla Juventus come alla Roma. Dice:

“Furino ottimo per come annulla ogni pericolo e per come lavora per tutti, Causio con quel qualcosa di più che lo rendeva imprevedibile, Anastasi aveva ritrovato sé stesso, Haller e Salvadore, due campionissimi”. Parla bene di tutti.

In sei campionati (sino a quello 1975-76 compreso) un ruolo di regista interpretato con sicuro impegno, fra lampi geniali e domeniche di routine. Uomo di ragionamento. questo campione sobrio figlio del maestro di scuola di Pieris. Anche un poco di Nazionale, intanto. Ragazzo di personalità. Non era un “coniglio”, anzi. E non ci stava mai a perdere. Non volle abbassare la testa neppure nell’ambiente bianconero, la sua partenza ebbe così il sapore di un divorzio forzato. Ma ha lasciato certamente un buon ricordo. Centrocampista con licenza di andare al tiro (e di segnare), con l’intuizione giusta per accorrere a sostegno della difesa. Un tipo apparentemente freddo, altezzoso. Ma giocatore di rendimento, senza dubbio».

 

 

capello.jpg

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fabione @@ mi commuovo ogni volta che penso al suo modo di allenare, di stare in panchina, di rispondere alle interviste, di essere allenatore insomma... Veramente un grande come nessuno, mi manca da morire.

 

Grazie mille Stefano @@

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fabione @@ mi commuovo ogni volta che penso al suo modo di allenare, di stare in panchina, di rispondere alle interviste, di essere allenatore insomma... Veramente un grande come nessuno, mi manca da morire.

 

Grazie mille Stefano @@

.ok

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Correva l'anno 1973, precisamente il 14 Novembre.

 

Una serata tipicamente inglese, con pioggia e nebbia a fare da contorno a quella che doveva essere l'ennesima lezione di calcio impartita dagli inglesi all'Italia dei "camerieri" (il riferimento era alle migliaia di nostri connazionali partiti alla volta del Regno Unito in cerca di fortuna). Mai era successo che gli azzurri tornassero in patria con la vittoria in tasca ed il 2-0 ottenuto cinque mesi prima a Torino (gol di Anastasi e Capello) rappresentava solo solo una goccia nel mare dei tanti, troppi successi inglesi.

 

Il gioco dell'Italia di Valcareggi era quello che ci ha reso famosi per anni agli occhi del mondo: catenaccio e contropiede, difesa protagonista e licenza di offendere solo quando c'era la possibilità di gettare il cuore oltre la metà campo

 

E la partita di Wembley si giocò sullo stesso copione: gli inglesi a fare la gara, con Riva spesso e volentieri sulla linea dei difensori. Qualche ottima occasione anche per i nostri attaccanti, ma alla fine quello che contava era tornare a casa salvando la faccia. Era l'86′ minuto e Nando Martellini, storico telecronista Rai, stava già preparando il commento ad una gara finita a reti bianche. Ma non aveva fatto i conti con Chinaglia, un passato da cameriere inglese e tanta voglia di riscatto.

 

13capello_wembley_1973.jpg

 

Fuga sulla fascia e cannonata a centro area, tuffo di Shilton, anticipato da Fabio Capello e palla in rete! I 100.000 di Wembley somigliavano ora ad una macchia colorata senza voce, persa nella nebbia della sconfitta. Per la prima volta avevamo dato una vera lezione agli inventori del calcio in casa loro.

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Auguri Don Fabio @@

 

Grandissimo giocatore da quello che ho visto dai filmati.

 

Immenso allenatore .allah

 

Grazie Bidescu .ok

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Come giocatore non l'ho mai visto, ma come allenatore non posso non elogiarlo.

Benchè non mi siano mai piacitui molto il suo gioco e il suo insistere semrpe sui titolari fino a spomparli :d però un vincente e un duro.

Spero ovviamente perda i mondiali in finale contro di noi !!

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