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Juventus_addicted

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    ex juventino milanese

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    Juventus
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    Milano
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    JUVE, Springsteen, viaggi, buon cibo, grande cinema

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  1. Ragazzi, io sarò all’antica, ma tutto questo approccio “ingegneristico” di Comolli mi lascia parecchio perplesso. Anzi, mi fa venire il dubbio che Cobolli non esista, che sia solo una sorta di IA messa lì per testare il nostro grado di incredulità. Capisco i dati, capisco i processi, capisco la modernità… ma alla fine nel calcio conta la competenza vera, quella che nasce dal campo, non da un foglio Excel. È come quando hai fame: se vuoi mangiare bene vai da tua mamma, che ti fa il ragù che profuma da due isolati, non dal ristorante stellato dove ti portano un chicco di riso in un piatto enorme e ti presentano il conto come se avessero cucinato l’intera Pianura Padana. E se ti si rompe la macchina? Vai all’officina dove il meccanico ti guarda la Ritmo 60s e sa già cos’ha solo dal rumore, mica dal redattore di Quattroruote che può pure essere bravissimo… a scrivere articoli, però. È come quando devi tagliarti i capelli: ti affidi al barbiere sotto casa, quello che ti sistema in dieci minuti mentre chiacchieri della partita, non al parrucchiere super modaiolo che ti fa pagare 80 euro per “l’esperienza sensoriale”. O come se ti si rompe il lavandino: chiami l’idraulico, non il tizio che ha visto due tutorial su YouTube e pensa di sapere tutto perché ha fatto “ricerche”. Insomma… va bene la cultura, va bene la filosofia, va bene il mindset, ma in una squadra come la Juve serve gente che capisce di calcio, non solo di metriche e procedure. Tutto questo schema iper-gestionale mi sembra più adatto a un laboratorio che a un club che deve tornare a vincere. Spero davvero che oltre ai dati ci sia anche parecchia sostanza, perché qui non c’è Excel che tenga: alla Juve contano risultati, competenza e uomini veri. E su questo, permettetemi, qualche dubbio mi rimane…
  2. Probabilmente altrove non indossava la fascia semplicemente perché era più giovane e perché c’erano figure già affermate e più carismatiche davanti a lui nelle gerarchie. Alla Juventus, invece, la leadership se l’è guadagnata sul campo, stagione dopo stagione. E non è certo una sua responsabilità se, dopo i primi due anni chiusi con due scudetti, l’inevitabile cambio generazionale abbia portato una rosa complessivamente più scarsa: in quel contesto è naturale che chi mostra affidabilità e personalità diventi un punto di riferimento. Dopo di lui il capitano è diventato Locatelli. Gente alla Buffon, evidentemente, non c'era. Non ce l'ho certamente con te per aver espresso il tuo parere, ma dovremmo tutti quanti mostrare meno ostilità verso i nostri (ex) giocatori
  3. Juventus_addicted

    Tifo Juve perché

    Come tanti, tifo Juve perché la passione me l’ha trasmessa mio papà. Probabilmente, dopo “mamma” e “papà”, “Juve” è stata una delle prime parole che ha cercato di farmi dire… anche se non sono proprio sicuro dell’ordine di importanza. . Per me la Juventus è un’eredità collettiva, una passione che passa di generazione in generazione e che unisce le famiglie come poche altre cose sanno fare. Ed è proprio per questo che chi oggi la guida dovrebbe proteggerne lo spirito, alimentarne la fierezza e conservarne quell’eleganza che l’ha sempre resa unica. Perché tifare Juve, alla fine, significa portare avanti il rispetto per chi, prima di noi, ci ha messo il cuore e ci ha trasmesso questa passione. Leggere due messaggi così vicini, in cui si citano giocatori di epoche tanto diverse, ti fa davvero capire quanto sia immensa la storia di questa squadra. Da Anzolin a Del Piero, da Cinesinho a Davids, fino ai più recenti campioni… cambiano i nomi, le maglie, i tempi, ma la passione resta sempre la stessa, forte e viva, come il primo giorno. È questa la vera grandezza della Juve: un filo che unisce generazioni, ricordi e cuori bianconeri.
  4. Juventus_addicted

    Ufficiale: Damien Comolli nominato nuovo AD della Juventus

    con riferimento alla parte in grassetto, era così difficile scrivere "tra le altre cose"? No, proprio non ci arrivano. Inter alia’? Ma dai… già nella testa del tifoso juventino la parola ‘inter’ fa venire i conati, e loro ce la mettono pure nei comunicati ufficiali
  5. Solitamente mi sento soddisfatto delle mie capacità linguistiche in inglese. Da stasera, mi rendo conto di non sapere una beneamata fava. Però la Juve non smette mai di stupire: ora siamo pure “ESG compliant”! Come un atleta armato di buona volontà ho provato a leggere il “Sustainability Report”, ma tra “Corporate Sustainability Reporting Directive”, “Positive Impact Hub” e “Lifecycle Assessment” ho rischiato di rivedere la pastasciutta mangiata a mezzogiorno e chiedere il cambio al 45’. Ci sono più sigle inglesi che nel curriculum di un manager di Londra, ma oh… siamo i primi in Italia a farlo, quindi tanto di cappello. Tra “Black, White & More”, “Scudetto Sociale” e “Assist to Circularity” alla fine il messaggio è chiaro: la Juve non pensa solo al campo. E se nel frattempo pianta alberi, riduce emissioni e si becca pure una certificazione sul gender gap, ben venga. Certo, il report è lungo come una sessione di calciomercato dove non arriva nessuno, ma almeno questa volta ci porta un trofeo vero: quello della serietà. Insomma, bianconeri sì, ma sempre più green. E poi, volete mettere? grande Juve: la prima a misurare le “Scope 3 emissions” dei tifosi… cioè pure la mia macchina per andare allo stadio adesso è nel bilancio! Voglio i soldi!
  6. Ah beh, certo… quindi se sei proprietario allora improvvisamente diventi intoccabile e moralmente superiore. Bellissimo concetto di coerenza: “se lo fa un presidente è uno scandalo, se lo fa il padrone va tutto bene”. La doppia morale in salsa bianconera: Andrea cattivo perché ha patteggiato, ma John santo perché ha “solo” pagato 180 milioni al fisco e chiesto la messa alla prova, inoltre ci mette i soldi (peccato che li butti nel *)! Essere proprietario non ti rende un esempio etico — al massimo ti garantisce più avvocati e più margine di manovra. Il codice penale, per quanto mi risulta, non prevede l’articolo 1 bis: “chi possiede la società è automaticamente puro e senza peccato”. Poi oh, se per te il criterio è “vale tutto, basta che sia il capo”, allora diciamolo chiaramente: più che juventini, sembriamo sudditi del regno Elkann (o, nel tuo caso, visto che la giri sempre su questo argomento, odiatori di Andrea Agnelli). Un saluto anche a te
  7. La Procura di Torino ha avviato un’indagine relativa alla presunta evasione fiscale e alla successione dell’eredità di Marella Caracciolo Agnelli (morta nel 2019). Sono stati posti in sequestro alcuni beni (circa 75 milioni di euro) nei confronti di John Elkann, Lapo Elkann e Ginevra Elkann. John Elkann e i fratelli hanno raggiunto un accordo con l’Agenzia delle Entrate (fisco) per chiudere il contenzioso fiscale versando circa 175-183 milioni di euro. È stata avanzata da parte di Elkann la richiesta di “messa alla prova” (istituto penale che permette, se accolta, di chiudere il procedimento in assenza di sentenza di condanna) in questo procedimento. Agnelli ha chiesto e ottenuto un patteggiamento (accordo con l’accusa) nel procedimento relativo all’inchiesta “Processo Prisma”, che riguardava presunte plusvalenze fittizie e manovre stipendi nella gestione del Juventus. In base al patteggiamento approvato dal GUP del Tribunale di Roma, ad Agnelli è stata applicata una pena di 1 anno e 8 mesi di reclusione, con sospensione della pena. Agnelli ha dichiarato che la scelta del patteggiamento è stata “sofferta ma giusta”, precisando che non riconosceva la responsabilità penale (cioè non ha ammesso la colpa) ma ha preferito chiudere il procedimento. Da parte sportiva, Agnelli era già stato inibito (sanzione sportiva) per 16 mesi a seguito del procedimento sulle manovre stipendi. Penso Yaki non abbia nulla da invidiare al cugino. Secondo la tua logica, dovrebbe levarsi dai coglionii pure lui. Un saluto
  8. Juventus_addicted

    Non se ne può più

    Sei tu che dovresti citare quello che non ti sta bene. Quando leggo che un nostro giocatore è una *, ti do ragione. Se invece leggo che lo stesso giocatore è un mediocre, lo accetto. Si chiama diritto di critica
  9. Juventus_addicted

    Non se ne può più

    Hai perfettamente ragione sul fatto che il clima stia diventando pesante e che spesso si superino i limiti del confronto civile — ma credo anche che la critica, se fatta con rispetto e argomenti, resti non solo lecita, ma persino necessaria. Non possiamo fingere che vada tutto bene se qualcosa non funziona, o che un giocatore stia rendendo bene solo “per spirito di gruppo”. Il tifo non deve significare cieca approvazione, ma nemmeno trasformarsi in un continuo tiro al bersaglio. Il vero problema, come dici tu, è che il confine tra opinione e provocazione si perde troppo facilmente: c’è chi critica per discutere e chi lo fa solo per stuzzicare o denigrare. Con questi ultimi, la risposta migliore spesso è proprio il silenzio — ignorarli li disarma molto più di mille repliche indignate. Insomma, equilibrio: critiche sì, anche molto intense, ma con toni civili e rispetto per chi la pensa diversamente. E soprattutto, ricordiamoci che siamo tutti dalla stessa parte — quella bianconera.
  10. Intervista che non mi "esalta" per nulla: il rischio è che la “sostenibilità” diventi sinonimo di “mediocrità”. E questa parola, breakeven, che nasce in teoria come un concetto virtuoso: spendere solo ciò che si guadagna. Ma nel calcio moderno, dove la competizione è drogata da capitali esterni (fondi, Stati, miliardari), chi rispetta davvero i conti rischia di restare fuori dalle élite. Quindi il rischio è che puntare al breakeven senza una visione sportiva forte può diventare un livellamento verso il basso. 1: Se non entri in Champions, la sostenibilità si auto-distrugge. Lo sappiamo bene: il modello economico Juve dipende dalla Champions League. Senza Champions, perdi 60-100 milioni di ricavi; Per compensare, devi tagliare costi, ma tagliare costi peggiora la competitività: Squadra meno competitiva → meno risultati → meno appeal → meno sponsor. È un circolo vizioso. 2: Se vendi i talenti e tieni i mediocri, la sostenibilità diventa un placebo che da l'impressione di risolvere un problema, ma non lo risolve e può anche peggiorarlo nel tempo. La Juve, negli ultimi anni, ha venduto male e comprato peggio. Vendere Huijsen, Mbangula, Soulé per “fare cassa” e poi pagare vagonate di milioni per giocatori più maturi ma di medio livello non è sostenibilità: è gestione a breve termine. È contabilità, non strategia. 3: Reputazione e percezione: il danno invisibile ed incalcolabile per l’immagine. Ogni scandalo (plusvalenze, manovra stipendi, ecc.) ha un costo reputazionale enorme. Gli sponsor esitano (non esiste che una società come la Juve rimanga senza sponsor di maglia) I tifosi internazionali si disaffezionano. E la cosa più grave: il club smette di dettare la narrazione. Per decenni, la Juve aveva una chiara immagine pubblica: “Stile, lavoro, silenzio, vittoria.” Quella narrazione univa i tifosi e intimidiva gli avversari. Era un marchio. Oggi la Juve subisce la narrazione Negli ultimi anni i dirigenti o stanno sempre zitti, o parlano poco o tardi. I casi giudiziari vengono raccontati solo dai media esterni, e spesso nessuno nel club prende posizione pubblicamente. Risultato: la Juve non racconta più sé stessa, lascia che siano gli altri a farlo. E quando smetti di guidare il racconto, lo subisci: diventi un bersaglio facile, perdi credibilità, e persino i tifosi si dividono perché non capiscono più quale sia la linea ufficiale del club. 4: Il rischio “mediocrità sostenibile” Se un club come la Juve si accontenta di “non perdere soldi”, il rischio è enorme: diventi una società sana… ma irrilevante. È il destino di tante squadre “gestite bene” ma senza ambizione sportiva. L’equilibrio economico senza vittorie non genera crescita: i ricavi stagnano, i tifosi calano, e il marchio perde valore. 5: quale può essere la via d’uscita e cosa vorrei sentire da Chiellini: io non sono nessuno, ma penso che la sostenibilità non debba sostituire l’ambizione, ma bensì "finanziarla". Il modello vincente, seppur in contesti diversi da quello italiano, vedi Bayern, Liverpool, Real Madrid, è quello che unisce gestione economica rigorosa, visione sportiva chiara, brand forte e internazionale, investimenti mirati (non casuali), giovani valorizzati, e SOPRATTUTTO comunicazione moderna, e leadership pubblica (non silenziosa o difensiva). Chissà cosa ci aspetta, ma il timore è forte
  11. Guarda, provo a risponderti senza scadere nel solito ping-pong “juventini contro tutti”, perché il punto non è il tifo, è la sostanza economica e politica dell’operazione. Nessuno ha scritto che “Inter e Milan sono società di ladri” o che “la FIGC è un covo di tifosi milanesi”. Il punto è un altro, molto più concreto: quando un bene pubblico viene ceduto a privati in circostanze poco trasparenti (e con un’inchiesta per turbativa d’asta già aperta), è sacrosanto chiedersi chi ci guadagna e chi paga il conto. Questo non è tifo, è senso civico. Paragonare San Siro (un RUDERE? dai Garri, avercene di ruderi così) al Delle Alpi o a Wembley non regge: Wembley fu demolito solo dopo che l’intero progetto di riqualificazione dell’area era stato coperto da fondi pubblici e federali (oltre 750 milioni di sterline), e il nuovo stadio appartiene alla Football Association, cioè all’equivalente della FIGC, non a privati. San Siro, invece, viene venduto dal Comune a due società con proprietà straniere, con l’area circostante che diventa un enorme asset immobiliare privato. Non è una “riqualificazione”, è una privatizzazione mascherata. E sul fatto che “un privato ci mette i soldi e quindi è giusto che guadagni”, ti do ragione in linea di principio, ma qui non stiamo parlando di un investimento in un terreno privato. Parliamo della cessione di un’area pubblica, con un valore storico e simbolico enorme, a un prezzo che (secondo diversi esperti urbanisti) è ampiamente inferiore al valore reale. E, come già successo a Porta Nuova o a Farini, il Comune continuerà a pagare per infrastrutture, viabilità, sicurezza, verde e servizi che faranno aumentare il valore del patrimonio dei fondi RedBird e Oaktree. Risultato? Il privato incassa, la collettività sostiene i costi. Quanto all’indotto: certo, qualche posto di lavoro lo genera, ma non dimentichiamo che è lavoro temporaneo, e che una volta finiti i cantieri, la ricchezza rimane concentrata nelle mani di chi possiede e gestisce l’area. Lo Juventus Stadium ha portato indotto, sì, ma anche lì parliamo di un investimento molto più modesto e su un terreno già in possesso del club, non di un’operazione immobiliare miliardaria su suolo pubblico. Quindi no, non è “rosicamento”: è semplicemente la constatazione che in Italia le operazioni pubblico-private vengono spesso spacciate per progresso, ma finiscono per trasformarsi in rendite per pochi e debiti per molti. Se poi a Milano va tutto liscio e l’inchiesta non trova nulla, benissimo, ma pretendere trasparenza non è invidia, è democrazia. Ottimo spunto, ma permettimi di dissentire su un punto chiave: sulla carta i numeri possono sembrare sostenibili, ma nella realtà italiana il rischio è molto più alto di quanto si pensi. Un mutuo trentennale da 600 milioni potrebbe pesare “solo” 30-35 milioni l’anno, è vero, ma questo vale in uno scenario stabile, con tassi favorevoli e ricavi in costante crescita. Eppure parliamo di due club che non hanno bilanci solidi, che già oggi sopravvivono grazie a plusvalenze, prestiti-ponte e anticipi sui diritti TV. Inoltre, quei “200 milioni di ricavi annui” ipotetici per club sono estremamente ottimistici. Per arrivarci, Milan e Inter dovrebbero: - riempire lo stadio tutte le partite, - alzare sensibilmente il prezzo medio dei biglietti, - avere hospitality e naming rights al livello di Premier League, - e ospitare eventi extra calcistici di altissimo profilo per tutto l’anno (e come fanno se ci giocano sempre?). Insomma: non esattamente lo scenario tipico del mercato italiano. Guarda la Juventus: lo Stadium è un modello virtuoso, ma i ricavi totali da stadio (tra biglietti, hospitality e musei) si aggirano sui 70-80 milioni l’anno, in una città con costi di gestione molto più bassi. Poi c’è un altro dettaglio che spesso si sottovaluta: gli interessi. Con i tassi attuali, un finanziamento da 600 milioni per club può far salire il costo complessivo anche del 30-40% in più nel lungo periodo. Quindi il “peso annuale” reale potrebbe superare i 40 milioni, non 30. E tutto questo senza contare che, parallelamente, serviranno soldi per restare competitivi in campo, pagare stipendi, rifinanziare i debiti esistenti e tenere a bada l’UEFA (e qui stendiamo un velo pietoso) con la sostenibilità finanziaria. Insomma, sulla carta i conti possono tornare. Nella pratica, in Italia non tornano quasi mai , e soprattutto, tornano solo per chi gode di trattamenti di favore e di controlli “morbidi”. Quindi sì, sostenibile forse… ma solo se il sistema continuerà a chiudere un occhio.
  12. A me questa notizia ha fatto veramente incazzare. Scusate, lo sfogo, ci ho messo un pò a mettere giù questa piccola analisi. Perchè, onestamente, c’è da restare sdegnati e perplessi per come il Comune di Milano ha gestito la vicenda San Siro. La vendita di un bene storico e simbolico della città, il Meazza e l’area circostante, a due società private, nel giorno stesso in cui si scopre che la Procura indaga per turbativa d’asta, lascia più di un dubbio. Possibile che un’operazione del genere, da quasi duecento milioni di euro, sia stata confezionata in tutta fretta e con un bando “su misura”? E il Comune, che dovrebbe tutelare l’interesse pubblico, di chi fa veramente gli interessi? In un Paese come l’Italia, dove i soldi pubblici vengono sempre più tirati in ballo per “rigenerare” aree poi destinate a profitto privato, (per chi come me è di Milano, porto ad esempio le zone di Farini, Porta Nuova, Expo 2015) è lecito chiedersi se non sarà ancora una volta la collettività a rimetterci. Ci raccontano di sostenibilità, di rigenerazione urbana e di stadi “icona”, ma in realtà il valore immobiliare e commerciale finirà per arricchire chi controlla i club e i fondi (RedBird per il Milan e Oaktree -o come cazzosichiamano adesso- per l’Inter), non certo i cittadini milanesi. Parliamo di un’operazione da oltre 1,2 miliardi di euro. Anche ipotizzando che lo stadio e l’area circostante funzionino alla perfezione, che ogni posto sia sempre pieno, che gli eventi si moltiplichino e che i ricavi crescano ai livelli dei top club europei, ci vorranno almeno 12-15 anni per rientrare dall’investimento. Ma in un contesto più realistico, con i limiti del mercato italiano e gli inevitabili costi aggiuntivi, si può tranquillamente parlare di 20-25 anni prima di raggiungere il pareggio. E nel frattempo bisognerà restituire i finanziamenti miliardari a Goldman Sachs, J.P. Morgan, Banco BPM e BPER, con gli interessi che non saranno certo simbolici. Nel frattempo, come faranno Milan e Inter a rimanere competitive in campo, se buona parte delle risorse dovrà essere destinata a coprire debiti e costi di costruzione? È difficile immaginare che si possa investire su grandi giocatori e stipendi mentre si pagano i mutui per lo stadio. La Juventus, con un progetto molto più piccolo e un contesto più semplice, ha impiegato 14 anni solo per chiudere il mutuo dell’Allianz Stadium: figuriamoci un investimento triplo, condiviso da due club con bilanci già tesi. Ma sappiamo già che Milan e Inter rimarranno competitive, nonostante i debiti e i costi astronomici del progetto. Perché? Perché il loro player trading non verrà certo “vivisezionato” come accaduto ad altri club. È difficile pensare che i controlli, le plusvalenze o le operazioni di mercato delle milanesi saranno sottoposte alla stessa severità con cui è stata analizzata e punita la Juventus. E così, mentre una parte delle risorse servirà a coprire mutui e interessi, un’altra continuerà a finanziare le campagne acquisti, con la certezza che nessuno alzerà troppo il sopracciglio. Alla fine, i debiti pesano solo per chi non gode delle stesse attenzioni “morbide” del sistema. Eppure nessuno sembra farsi troppe domande: né sui conti veri dei club, né sulla sostenibilità dei loro debiti, né sul rischio di un’altra bolla calcistico-finanziaria. Nè tantomeno su un un nuovo, evidente intrallazzo sull'urbanistica milanese. Tutti applaudono al “nuovo stadio di Milano”, ma pochi si chiedono chi pagherà davvero il conto, e se, ancora una volta, non sarà la città a rimetterci mentre i fondi stranieri si preparano a incassare. Direi che prma di augurarsi che anche le altri grandi città seguano lo stesso modello, dovremmo tutti quanti indignarci come cittadini
  13. Juventus_addicted

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  14. Non so se la notizia sia ufficiale (non c’è ancora nulla nei comunicati del club), e non sono certo io, che faccio tutt'altro lavoro, a pretendere di voler spiegare in questo forum cosa significhi questa operazione. Attendo quindi che qualcuno più preparato ci spieghi la cosa. Ma immagino che un investimento di questo tipo non sia un “costo secco”, come quando paghiamo uno stipendio o compriamo un giocatore. In pratica, i soldi vengono spostati per comprare una parte di un’azienda o finanziare un progetto. Quindi la somma finisce nello stato patrimoniale, come un “bene” o una “partecipazione”, non subito tra le perdite, in pratica come il J Hotel. Detto questo, i soldi (poco più di un centinaio di milioni di euro) escono comunque dalle casse: cioè la Juve spenderebbe quei soldi, e questo può pesare sull’indebitamento, soprattutto in un momento in cui il club sta cercando di risanare i conti. Nel tempo, se il progetto funziona e porta utili, potremmo vedere nuovi ricavi. Se invece va male, la Juve dovrebbe “svalutare” l’investimento e registrare una perdita. Insomma, non è una follia in sé, ma nemmeno una mossa leggera: si tratta di mettere un piede in un settore diverso dal calcio (come già fatto con J Medical), con tutti i rischi e i potenziali benefici del caso. Prima di giudicare, però, aspettiamo di capire se la notizia è reale e ufficiale: finora non ci sono conferme nei documenti o nei comunicati della società. Io, comunque, resto estremamente perplesso. buona giornata a tutti
  15. Bene. Quindi, invece che farci dare i soldi dai nababbi arabi, siamo noi che andiamo a darglieli. Tutto fantastico.
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