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Friedrich der Große

Un referendum per serbi e croati di Bosnia

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Un referendum per serbi e croati di Bosnia

 

Proposta shock del candidato premier della destra austriaca. Palalic a Tempi: «L’Occidente non deve annichilire noi serbi che siamo una diga naturale contro il fanatismo»

 

Quando, commentando i fatti di Barcellona, il leader della destra austriaca e candidato premier della Fpoe, Heinz Christian Strache, si è duramente scagliato contro la Ue che non ha proferito verbo per tutelare il diritto alla autodeterminazione dei popoli, molti sono rimasti senza parole. Già pronti a scatenarsi contro il “fascista-populista” amico dei picchiatori della polizia spagnola nero-vestita, sono rimasti spiazzati. Il nazionalista Strache è forse impazzito? Perché sta coi catalani? Qualche rarissimo esperto ha pensato che potesse essere una posizione utile a rivendicare un giorno un referendum per l’indipendenza del Sud Tirolo, terra cui in effetti la Fpoe guarda sempre con grande affetto e attenzione, ma sempre con una buona dose di realismo, sapendo bene che, in ogni caso, i diritti dei germanofoni in Italia sono ben tutelati. È vero che negli ultimi mesi il confine del Brennero è ridiventato bollente per via di quella che Vienna ha definito una “invasione incontrollata” di migranti, ma oggi il confine appare sigillato e in sicurezza e, in verità, Strache pensava ad altri confini, ben più pericolosi: quelli coi Balcani.

Da sempre, forse per un riflesso austro-ungarico, la Fpoe ha una grande attenzione per quel che succede tra Lubiana, Belgrado e Sarajevo, che, volenti o nolenti, sono un po’ il cortile di casa e, da anni, conduce una forte campagna di sensibilizzazione sulla islamizzazione dei Balcani e della Bosnia in particolare. Ecco dunque che Strache, a tre giorni dal referendum catalano e a 10 giorni dalle elezioni austriache lancia una vera e propria bomba dagli schermi di Rtrs, tv della Repubblica Serba di Bosnia, e chiede che anche i serbi e i croati di Bosnia, ingessati e costretti in un paese artificiale, possano scegliere il proprio destino attraverso un referendum. Che lo stato bosniaco diviso in due entità (la federazione croato-musulmana e la Republika Srpska) con una presidenza tripartita ma, de facto, guidato da un Alto Commissario straniero, non funzioni affatto lo sanno tutti e lo ammettono osservatori di ogni etnia e colore politico, ma per la Ue la questione è un tabù assoluto ed è quasi vietato parlarne.

 

Strache però lo fa e dice: «La comunità internazionale dovrebbe smettere di usare la forza per tenere artificialmente in vita la Bosnia-Erzegovina e dovrebbe permettere ai suoi popoli di autodeterminarsi. Un diritto che non dovrebbe essere negato a nessuno». Nella stessa intervista il leader austriaco ha ricordato come la Bosnia sia oggi il rifugio di molti terroristi di ritorno dalla Siria e ha ricordato l’importanza storica di Serbia e Croazia come bastioni cristiani contro il fanatismo. Musica per le orecchie dei vertici di Banja Luka e Belgrado con cui Strache coltiva eccellenti rapporti grazie anche all’instancabile lavoro del suo vicepresidente e vicesindaco di Vienna, Johann Gudenus e della sua bellissima moglie serba, Tajana, ma anche per i croati che all’Erzegovina, sempre sognata dal rifondatore della patria, Franjo Tudjman, non hanno mai davvero rinunciato.

Tutto sommato non si tratterebbe nemmeno di secessioni, ma di semplici ricongiunzioni alla rispettiva madre-patria con Sarajevo che rimarrebbe capitale di una Bosnia più piccola ma più omogenea e governabile abitata in prevalenza dai cosiddetti bosgnacchi convertitisi sotto l’occupazione ottomana. Sulla questione il governo di Belgrado non si è pronunciato, ma il presidente Vucic, pur convintamente filo-Ue ed equi-vicino a Usa e Russia, dopo il referendum catalano ha fortemente criticato il “doppio standard” di Bruxelles e della comunità internazionale che, da un lato, non riconosce alcuna legittimità al voto dei catalani a casa loro ma, dall’altro, ha riconosciuto senza problemi l’indipendenza del Kosovo strappato alla Serbia senza qualsivoglia consultazione popolare. Chi non ha dubbi è il segretario del Partito popolare serbo, formazione di governo guidata da Jovan Palalic, che dice a Tempi: «Vorrei capire – dice – perché i musulmani albanesi in Kosovo hanno ottenuto l’indipendenza su terra serba contro il diritto internazionale e senza referendum e perché invece ai serbi di Bosnia viene negato persino il diritto di svolgere una regolare consultazione. I Balcani si confrontano con una recrudescenza del terrorismo islamista e noi serbi siamo tra Bosnia e Kosovo dove la situazione è fuori controllo. Penso che l’Occidente non debba ripetere l’errore di annichilire noi serbi che siamo stati per secoli e continuiamo ad essere, nonostante tutto, una diga naturale contro il fanatismo che tenta di invadere l’Europa».

 

@MaxFerrari

 

Fonte: tempi.it (http://www.tempi.it/...ia#.Wdaa01u0Pcc)

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Non credo che i referendum risolvano granché, specie in quelle terre. Nella sostanza comunque ha ragione.

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La cosa drammatica dei movimenti anti-unionisti,in generale di entità comunque moderate,è che potrebbero rinfocolare i sentimenti scissionisti di altre entità molto meno moderate.

C'è davvero bisogno di ciò?Mah.

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La cosa drammatica dei movimenti anti-unionisti,in generale di entità comunque moderate,è che potrebbero rinfocolare i sentimenti scissionisti di altre entità molto meno moderate.

C'è davvero bisogno di ciò?Mah.

 

Certe fiamme, almeno nei Balcani, non si sono mai spente.

Dai un'occhiata all'area jugoslava: http://i.imgur.com/HCl4QTc.jpg

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Certe fiamme, almeno nei Balcani, non si sono mai spente.

Dai un'occhiata all'area jugoslava: http://i.imgur.com/HCl4QTc.jpg

Se è per questo nemmeno nei paesi baschi o in Irlanda,ma la sovraesposizione della vicenda Catalana potrebbe riportare al clima di terrore che ETA e IRA avevano instaurato fino ad una 30ina di anni fa,ce n'è davvero così bisogno?

E' davvero il caso di vedere un altro Milosevic o di un altro Arkan nei balcani?

Io non credo.

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Ha perfettamente ragione.

Gli europei hanno la sindrome di Stoccolma e si scandalizzano solo se viene torto un capello ad un musulmano.

 

Se i Catalani tramite plebiscito e Parlamento chiedono l'indipendenza è giusto menarli a sangue, perché la Costituzione dice proprio "menate a sangue chi è contro l'unità indissolubile dello Stato", invece ovunque ci sia la "religione di pace" no, lì si fanno anche guerre senza mandato ONU per strappare territori ad uno Stato legittimo e creare sacche di "religione di pace" dove poi, ovviamente, vanno a campeggiare provvisoriamente i pacifisti prima di compiere le loro azioni di pace anche negli altri Stati.

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Il congelamento dello status-quo in BH non è stato dovuto ad un capriccio, né all'idea di avere trovato la soluzione migliore per risolvere la questione bosniaca, ma è stato il ripiego meno-peggio affinché tacessero le armi. In pratica una soluzione "provvisoria" (ma di un provvisorio consapevolmente sine-die) per lasciare che si calmassero le acque, che scomparissero di scena certi protagonisti della guerra, e che alla lunga le pulsioni etnocentriche delle varie parti in causa finissero per diluirsi nel calderone più grande della UE, in cui tutte le varie entità del mosaico balcanico avrebbero dovuto idealmente entrare via via a fare parte: in altre parole, imbrigliare definitivamente il conflitto attraverso il tessuto della UE in modo che col tempo perdesse d'attualità risolvendosi da solo.

 

Per tale ragione gli accordi di Dayton hanno in pratica "fotografato" la situazione sul terreno più o meno come era stata prodotta dalla guerra e l'hanno messa nel congelatore senza ovviamente risolvere (perché sarebbe stato impossibile) le questioni alla base del conflitto, in particolare le rivendicazioni serbe su una larga parte del territorio "bosniaco".

È fuori di dubbio che i serbi abbiano solide ragioni per avanzare pretese su circa metà della Bosnia, in quanto tanto la Krajina Bosniaca quanto la valle della Drina sono storicamente ed etnicamente serbe; anzi, la Krajina lo è anche in senso per così dire "ontologico" visto che le Krajine sono state, fin dal XVII secolo le marche militari di frontiera dell'impero asburgico nelle quali Vienna aveva mobilitato, come coloni-soldati, migliaia di cristiani (valacchi, magiari, croati, ma soprattutto serbi), in fuga dai turchi, allo scopo di proteggere le frontiere dell'impero.

Da questo punto di vista quindi, le rivendicazioni serbe su parte della Bosnia sono sacrosante, così come lo sono (soprattutto dal punto di vista cultural-religioso) quelle sul Kosovo e che proprio per tale motivo è oggettivamente antistorico che il popolo serbo si ritrovi suddiviso tra almeno tre diverse entità statuali (Serbia, Republika Srpska e serbi del Kosovo) e che per queste ed altre ragioni sarebbe opportuno trovasse una sua unità definitiva.

 

Tuttavia, al di là dell'idealismo storico mi chiedo: siamo sicuri che tirare fuori dal congelatore la fragile architettura di Dayton sia una cosa sensata ed indolore, in grado di risolvere questioni vecchie di centinaia di anni, o non sia invece un tragico errore capace di incendiare nuovamente tutti i Balcani?

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Lubiana, Belgrado e Sarajevo, che, volenti o nolenti, sono un po’ il cortile di casa

 

Ma veramente? Sarei curioso di sapere se i serbi, croati, bosniaci e sloveni considerano i loro paesi "il cortile di casa" dell'Austria e l'infuenza di un impero che è morto da un secolo. Oppure il parere degli stessi austriaci sulla questione.

A naso direi che, a meno che i suoi discorsi non portino acqua ai loro mulini rispettivi, i popoli dei balcani saprebbero dare il giusto peso alle esternazioni di uno dei tanti demagoghi megalomani che infestano la nostra epoca.

Per il resto mi pare un articolo di parte, a dir poco - cosa ce ne può importare della bellezza della moglie del vicesindaco di Vienna?

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Ma veramente? Sarei curioso di sapere se i serbi, croati, bosniaci e sloveni considerano i loro paesi "il cortile di casa" dell'Austria e l'infuenza di un impero che è morto da un secolo. Oppure il parere degli stessi austriaci sulla questione.

A naso direi che, a meno che i suoi discorsi non portino acqua ai loro mulini rispettivi, i popoli dei balcani saprebbero dare il giusto peso alle esternazioni di uno dei tanti demagoghi megalomani che infestano la nostra epoca.

Per il resto mi pare un articolo di parte, a dir poco - cosa ce ne può importare della bellezza della moglie del vicesindaco di Vienna?

 

I croati hanno sempre avuto un buon rapporto con austriaci e tedeschi.

I serbi? ti rispondo così: Gavrilo Princip.

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Il congelamento dello status-quo in BH non è stato dovuto ad un capriccio, né all'idea di avere trovato la soluzione migliore per risolvere la questione bosniaca, ma è stato il ripiego meno-peggio affinché tacessero le armi. In pratica una soluzione "provvisoria" (ma di un provvisorio consapevolmente sine-die) per lasciare che si calmassero le acque, che scomparissero di scena certi protagonisti della guerra, e che alla lunga le pulsioni etnocentriche delle varie parti in causa finissero per diluirsi nel calderone più grande della UE, in cui tutte le varie entità del mosaico balcanico avrebbero dovuto idealmente entrare via via a fare parte: in altre parole, imbrigliare definitivamente il conflitto attraverso il tessuto della UE in modo che col tempo perdesse d'attualità risolvendosi da solo.

 

Per tale ragione gli accordi di Dayton hanno in pratica "fotografato" la situazione sul terreno più o meno come era stata prodotta dalla guerra e l'hanno messa nel congelatore senza ovviamente risolvere (perché sarebbe stato impossibile) le questioni alla base del conflitto, in particolare le rivendicazioni serbe su una larga parte del territorio "bosniaco".

È fuori di dubbio che i serbi abbiano solide ragioni per avanzare pretese su circa metà della Bosnia, in quanto tanto la Krajina Bosniaca quanto la valle della Drina sono storicamente ed etnicamente serbe; anzi, la Krajina lo è anche in senso per così dire "ontologico" visto che le Krajine sono state, fin dal XVII secolo le marche militari di frontiera dell'impero asburgico nelle quali Vienna aveva mobilitato, come coloni-soldati, migliaia di cristiani (valacchi, magiari, croati, ma soprattutto serbi), in fuga dai turchi, allo scopo di proteggere le frontiere dell'impero.

Da questo punto di vista quindi, le rivendicazioni serbe su parte della Bosnia sono sacrosante, così come lo sono (soprattutto dal punto di vista cultural-religioso) quelle sul Kosovo e che proprio per tale motivo è oggettivamente antistorico che il popolo serbo si ritrovi suddiviso tra almeno tre diverse entità statuali (Serbia, Republika Srpska e serbi del Kosovo) e che per queste ed altre ragioni sarebbe opportuno trovasse una sua unità definitiva.

 

Tuttavia, al di là dell'idealismo storico mi chiedo: siamo sicuri che tirare fuori dal congelatore la fragile architettura di Dayton sia una cosa sensata ed indolore, in grado di risolvere questioni vecchie di centinaia di anni, o non sia invece un tragico errore capace di incendiare nuovamente tutti i Balcani?

 

Le entità statali potrebbero essere addirittura di più se, zone tipo il Sandzak (Sangiaccato) o la Vojvodina, iniziassero a chiedere l'indipendenza così come ha fatto la Catalogna.

Sulla Bosanska Krajina hai ragione, ma i serbi si spinsero anche oltre il confine bosniaco. Nel 91 proclamarono l'indipendenza della Republika Srpska Krajina (con capitale Knin, storica città croata) non ricevendo nessun riconoscimento internazionale. Qualche anno più tardi i croati misero in atto l'Operacija Oluja (Operazione Tempesta) e in pochi giorni cacciarono più di 200.000 serbi da Knin, Gracac, Vukovar, Okucani ecc.

Sul Kosovo hai ragione, anche se lì il discorso sarebbe molto più lungo.

 

Spero di sbagliarmi, ma ho come l'impressione che la questione Catalogna abbia acceso la miccia dell'indipendentismo...

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Giallo->Republika Srpska (serbi)

Arancione->Herceg-Bosna (croati)

 

Nella cartina che riporti però manca il dato più saliente e per certi aspetti più interessante. Ammesso che sia possibile evidenziarlo graficamente, quanti sono i musulmani che, prescindendo dalla loro etnicità razziale, preferiscono comunque vivere in una Bosnia sovrana piuttosto che in Croazia o in Serbia?

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Nella cartina che riporti però manca il dato più saliente e per certi aspetti più interessante. Ammesso che sia possibile evidenziarlo graficamente, quanti sono i musulmani che, prescindendo dalla loro etnicità razziale, preferiscono comunque vivere in una Bosnia sovrana piuttosto che in Croazia o in Serbia?

 

I bosgnacchi (bosniaci musulmani) sicuramente preferiscono vivere in una Bosnia sovrana.

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I bosnacchi (bosniaci musulmani) sicuramente preferiscono vivere in una Bosnia sovrana.

 

Ma numericamente che percentuale rappresentano? E come sono distribuiti sul territorio bosniaco?

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Ma numericamente che percentuale rappresentano? E come sono distribuiti sul territorio bosniaco?

 

 

45% Islam sunnita

36% Ortodossi

15% Cattolici

1% Protestanti

3 % Altri

 

In verde i bosniaci (musulmani), in blu i serbi (ortodossi), in arancione i croati (cattolici).

 

800px-DemoBoHe2006it.png

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Mamma mia, come si fa a "ripartire" un territorio con una distribuzione di razze e religioni del genere? É una marmellata etnica...

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Mamma mia, come si fa a "ripartire" un territorio con una distribuzione di razze e religioni del genere? É una marmellata etnica...

Il problema è che quello che ora è la Bosnia, prossimamente saranno gli altri stati europei, grazie all'immigrazione di massa e alle cittadinanze regalate a popoli non integrati e con pseudoculture in netto contrasto con quelle preesistenti.

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Il problema è che quello che ora è la Bosnia, prossimamente saranno gli altri stati europei, grazie all'immigrazione di massa e alle cittadinanze regalate a popoli non integrati e con pseudoculture in netto contrasto con quelle preesistenti.

 

Non è esattamente la stessa cosa.

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Mamma mia, come si fa a "ripartire" un territorio con una distribuzione di razze e religioni del genere? É una marmellata etnica...

 

È sempre stato uno dei problemi della vecchia Jugoslavia. Diciamo pure che è il "peccato originale" della vecchia Jugoslavia, l'aver cioè voluto fondere in un unico stato genti del tutto diverse fra di loro per cultura, tradizioni, lingua, religione ecc ecc ecc., oltretutto non precisamente distribuite sul territorio ma piuttosto inframmezzate tra di esse a causa dei movimenti storici e fin dall'inizio gravate da una pesante difformità di vedute tra il revanscismo serbo (sovralimentato dal fatto di aver vinto la prima guerra mondiale) e l'irredentismo croato (che comunque scontava agli occhi de serbi e degli alleati dell'Intesa il fatto di essere stato, volente o nolente, dal lato degli sconfitti della guerra, almeno fino all'agosto 1918): da qui la nascita, nel dicembre 1918 di uno stato che era formalmente jugoslavo ma che in realtà non era altro che una Serbia enormemente allargata. Quindi non si trattava di una unione tra pari, bensì di una vera e propria "colonizzazione" da parte dei serbi nei confronti di croati e sloveni. Anche perché, dopo la sua nascita, alla Jugoslavia furono giocoforza applicati, sic et simpliciter, l'amministrazione, la burocrazia, le leggi, i regolamenti, la gendarmeria e l'esercito serbo, in quanto la vecchia amministrazione asburgica nei territori di Croazia e Slovenia (che stati erano annessi alla Jugoslavia) si era dissolta con il crollo dell'impero, essendo stata composta in gran parte da funzionari austriaci e ungheresi nel frattempo rientrati nei loro paesi.

Da qui la frustrazione dei croati che non venivano messi su un piano di parità con i serbi ma in posizione subordinata.

Tutto questo ha prodotto una insanabile rottura tra serbi e croati, cresciuta tra gli anni Venti e la metà degli anni Trenta e poi esplosa in maniera catastrofica tra il 1941 ed il 1945, durante gli anni dell'occupazione tedesca, quando entrò in gioco un ulteriore elemento divisivo, vale a dire l'ideologia comunista diffusasi con l'insurrezione partigiana, ma che però era trasversale a tutte le etnie, senza essere patrimonio specifico di nessuna: da qui l'emergere di situazioni assurde che vedevano ad esempio, ultranazionalisti serbi (cetnici) combattere sia contro i comunisti di Tito, sia contro gli ultranazionalisti croati (ustasha), salvo talvolta vedere cetnici a fianco dei comunisti contro i tedeschi, ma anche cetnici a fianco dei tedeschi contro cetnici antitedeschi, oppure cetnici e ustasha assieme ai tedeschi contro i comunisti, oppure cetnici di qualsiasi estrazione contro i musulmani che erano sostenuti dagli ustasha... e poi entrarono in gioco i bulgari, gli italiani, i russi anticomunisti fuggiti in Jugoslavia dopo il 1917... potrei continuare all'infinito.

Il tutto, naturalmente, accompagnato da inenarrabili massacri reciproci.

 

Tutto questo casino indescrivibile fu congelato nel 1945 quando Tito prese il potere e decise di trasformare la Jugoslavia in una specie di gigantesco laboratorio etnico-sociale, cercando cioè di "fabbricare", attraverso il suo enorme carisma, la forza del partito ed il pugno di ferro, una "coscienza jugoslava" laddove vi erano state queste pazzesche divisioni. Un compito che fu in qualche modo agevolato sia dalla stanchezza della gente per quattro anni di stragi, sia dalla scomparsa di alcune scomode variabili dal vecchio panorama etnico jugoslavo (tedeschi, ungheresi e italiani che furono espulsi in massa), che rese più semplice la composizione della popolazione in almeno tre regioni (Banato, Vojvodina e Dalmazia).

Naturalmente, neanche per Tito fu possibile eliminare le enormi differenze che dividevano i popoli jugoslavi, tuttavia tali differenze furono cloroformizzate e tenute a bada dall'imposizione di una forza superiore in grado di controllarle e contenerle tutte: l'ideologia livellante del PCJ.

Addirittura, nel suo lavoro ideologico, Tito riuscì in qualche modo a creare una mitopoiesi per incardinare gli jugoslavi (soprattutto i giovani) a questa nuova coscienza comune e lo fece sia sacralizzando la guerra di liberazione (che divenne una sorta di religione civile), sia volgendo a proprio vantaggio quelle differenze che avevano fino a quel momento diviso il suo popolo e che ora -"sotto la guida del nuovo spirito socialista", venivano (forzatamente) considerate come elementi propulsivi e non più divisivi; esiste un ritornello, che durante gli anni di Tito veniva ripetuto come un mantra dai ragazzi delle scuole, che rappresentava questo concetto e che diceva più o meno così:

 

"Jugoslavija ima šest Republika, pet nacija, četiri jezika, tri religije, dve azbuke i samo jednu partiju.

 

"La Jugoslavia ha sei repubbliche, cinque nazionalità, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti ED UN SOLO PARTITO"

 

Per circa 45 anni il coperchio ha tenuto. Dopo, dopo la morte di Tito, è saltato nuovamente perché nessuna causa era stata rimossa, ma solo temporaneamente accantonata. È impossibile quindi, capire cosa sono state le guerre degli anni Novanta se non si guarda al passato jugoslavo, a partire dalla sua repentina nascita che paradossalmente segna anche l'inizio della sua lunga, infinita, morte.

 

 

PS: mi si perdoni la prolissità, ma sono argomenti che non si possono trattare in poche righe.

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È sempre stato uno dei problemi della vecchia Jugoslavia. Diciamo pure che è il "peccato originale" della vecchia Jugoslavia, l'aver cioè voluto fondere in un unico stato genti del tutto diverse fra di loro per cultura, tradizioni, lingua, religione ecc ecc ecc., oltretutto non precisamente distribuite sul territorio ma piuttosto inframmezzate tra di esse a causa dei movimenti storici e fin dall'inizio gravate da una pesante difformità di vedute tra il revanscismo serbo (sovralimentato dal fatto di aver vinto la prima guerra mondiale) e l'irredentismo croato (che comunque scontava agli occhi de serbi e degli alleati dell'Intesa il fatto di essere stato, volente o nolente, dal lato degli sconfitti della guerra, almeno fino all'agosto 1918): da qui la nascita, nel dicembre 1918 di uno stato che era formalmente jugoslavo ma che in realtà non era altro che una Serbia enormemente allargata. Quindi non si trattava di una unione tra pari, bensì di una vera e propria "colonizzazione" da parte dei serbi nei confronti di croati e sloveni. Anche perché, dopo la sua nascita, alla Jugoslavia furono giocoforza applicati, sic et simpliciter, l'amministrazione, la burocrazia, le leggi, i regolamenti, la gendarmeria e l'esercito serbo, in quanto la vecchia amministrazione asburgica nei territori di Croazia e Slovenia (che stati erano annessi alla Jugoslavia) si era dissolta con il crollo dell'impero, essendo stata composta in gran parte da funzionari austriaci e ungheresi nel frattempo rientrati nei loro paesi.

Da qui la frustrazione dei croati che non venivano messi su un piano di parità con i serbi ma in posizione subordinata.

Tutto questo ha prodotto una insanabile rottura tra serbi e croati, cresciuta tra gli anni Venti e la metà degli anni Trenta e poi esplosa in maniera catastrofica tra il 1941 ed il 1945, durante gli anni dell'occupazione tedesca, quando entrò in gioco un ulteriore elemento divisivo, vale a dire l'ideologia comunista diffusasi con l'insurrezione partigiana, ma che però era trasversale a tutte le etnie, senza essere patrimonio specifico di nessuna: da qui l'emergere di situazioni assurde che vedevano ad esempio, ultranazionalisti serbi (cetnici) combattere sia contro i comunisti di Tito, sia contro gli ultranazionalisti croati (ustasha), salvo talvolta vedere cetnici a fianco dei comunisti contro i tedeschi, ma anche cetnici a fianco dei tedeschi contro cetnici antitedeschi, oppure cetnici e ustasha assieme ai tedeschi contro i comunisti, oppure cetnici di qualsiasi estrazione contro i musulmani che erano sostenuti dagli ustasha... e poi entrarono in gioco i bulgari, gli italiani, i russi anticomunisti fuggiti in Jugoslavia dopo il 1917... potrei continuare all'infinito.

Il tutto, naturalmente, accompagnato da inenarrabili massacri reciproci.

 

Tutto questo casino indescrivibile fu congelato nel 1945 quando Tito prese il potere e decise di trasformare la Jugoslavia in una specie di gigantesco laboratorio etnico-sociale, cercando cioè di "fabbricare", attraverso il suo enorme carisma, la forza del partito ed il pugno di ferro, una "coscienza jugoslava" laddove vi erano state queste pazzesche divisioni. Un compito che fu in qualche modo agevolato sia dalla stanchezza della gente per quattro anni di stragi, sia dalla scomparsa di alcune scomode variabili dal vecchio panorama etnico jugoslavo (tedeschi, ungheresi e italiani che furono espulsi in massa), che rese più semplice la composizione della popolazione in almeno tre regioni (Banato, Vojvodina e Dalmazia).

Naturalmente, neanche per Tito fu possibile eliminare le enormi differenze che dividevano i popoli jugoslavi, tuttavia tali differenze furono cloroformizzate e tenute a bada dall'imposizione di una forza superiore in grado di controllarle e contenerle tutte: l'ideologia livellante del PCJ.

Addirittura, nel suo lavoro ideologico, Tito riuscì in qualche modo a creare una mitopoiesi per incardinare gli jugoslavi (soprattutto i giovani) a questa nuova coscienza comune e lo fece sia sacralizzando la guerra di liberazione (che divenne una sorta di religione civile), sia volgendo a proprio vantaggio quelle differenze che avevano fino a quel momento diviso il suo popolo e che ora -"sotto la guida del nuovo spirito socialista", venivano (forzatamente) considerate come elementi propulsivi e non più divisivi; esiste un ritornello, che durante gli anni di Tito veniva ripetuto come un mantra dai ragazzi delle scuole, che rappresentava questo concetto e che diceva più o meno così:

 

"Jugoslavija ima šest Republika, pet nacija, četiri jezika, tri religije, dve azbuke i samo jednu partiju."

 

"La Jugoslavia ha sei repubbliche, cinque nazionalità, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti ED UN SOLO PARTITO"

 

Per circa 45 anni il coperchio ha tenuto. Dopo, dopo la morte di Tito, è saltato nuovamente perché nessuna causa era stata rimossa, ma solo temporaneamente accantonata. È impossibile quindi, capire cosa sono state le guerre degli anni Novanta se non si guarda al passato jugoslavo, a partire dalla sua repentina nascita che paradossalmente segna anche l'inizio della sua lunga, infinita, morte.

 

 

PS: mi si perdoni la prolissità, ma sono argomenti che non si possono trattare in poche righe.

 

Intervento da applausi, complimenti.

 

C'era anche un altro ritornello: Druze Tito mi ti se kunemo.

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