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Il VoStro Striscione per Napoli - Juventus: Complimenti ai vincitori!

Post in rilievo

Mi ero completamente dimenticato di questa cosa e sono andato a vedere solo ora il topic delle votazioni.

Ma che davvero abbiamo vinto? ahaha, ma dai, grazie a tutti.

Sono contento che alla fine sia stato giustamente aggiunto il nome di alengiu come autore,

la battuta in realta' era sua.

Molto belli anche gli slogan degli altri due finalisti. Speriamo che portino bene per stasera.

 

grazie fratello bianconero ma senza il tuo contributo non avremmo mai vinto, l'hai resa in maniera perfetta .ok

grazie a tutti, speriamo sia di buon auspicio per stasera

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Mi ero completamente dimenticato di questa cosa e sono andato a vedere solo ora il topic delle votazioni.

Ma che davvero abbiamo vinto? ahaha, ma dai, grazie a tutti.

Sono contento che alla fine sia stato giustamente aggiunto il nome di alengiu come autore,

la battuta in realta' era sua.

Molto belli anche gli slogan degli altri due finalisti. Speriamo che portino bene per stasera.

grazie fratello bianconero ma senza il tuo contributo non avremmo mai vinto, l'hai resa in maniera perfetta .ok

grazie a tutti, speriamo sia di buon auspicio per stasera

Dopo questa " INCREDIBILE UNIONE " ( neanche in " FARSOPOLI " hanno taroccato e stravolto le regole come nel Vostro caso .ghgh ) preso atto di quanto ormai è stato certificato . .mmm ..altro non mi resta da fare che .... .paceebene .....BENEDIRVI ..ed .. UNIRVI ..PER IL RESTO DELLA VOSTRA VITA ! Felicitazioni ed Auguri ! Stefano! - ( P.S. : Mi raccomando ...Figli Maschi ! Ci servono un paio di esterni che sappiano saltare l'uomo e crossare come DIO COMANDA ! sefz ) -

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Dopo questa " INCREDIBILE UNIONE " ( neanche in " FARSOPOLI " hanno taroccato e stravolto le regole come nel Vostro caso .ghgh ) preso atto di quanto ormai è stato certificato . .mmm ..altro non mi resta da fare che .... .paceebene .....BENEDIRVI ..ed .. UNIRVI ..PER IL RESTO DELLA VOSTRA VITA ! Felicitazioni ed Auguri ! Stefano! - ( P.S. : Mi raccomando ...Figli Maschi ! Ci servono un paio di esterni che sappiano saltare l'uomo e crossare come DIO COMANDA ! sefz ) -

 

ahah ahah ahah

caro stefano non hanno stravolto le regole; se unisci i voti dello striscione mio e quello di pr20 e' stato un plebiscito come la piazza di napoli sefz

 

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Dopo questa " INCREDIBILE UNIONE " ( neanche in " FARSOPOLI " hanno taroccato e stravolto le regole come nel Vostro caso .ghgh ) preso atto di quanto ormai è stato certificato . .mmm ..altro non mi resta da fare che .... .paceebene .....BENEDIRVI ..ed .. UNIRVI ..PER IL RESTO DELLA VOSTRA VITA ! Felicitazioni ed Auguri ! Stefano! - ( P.S. : Mi raccomando ...Figli Maschi ! Ci servono un paio di esterni che sappiano saltare l'uomo e crossare come DIO COMANDA ! sefz ) -

Mazzarri, anche lei qui? .asd Si scherza, eh

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" E' UN PLEBISCITO COME LA PIAZZA DI NAPOLI " è ancor più bella dello striscione ! :) - ATTENZIONE : CHE SIA BEN CHIARO ..... "SCHERZAVO "..... A DIFFERENZA DI QUELLI CHE HANNO ELABORATO " FARSOPOLI " I QUALI INVECE , AHINOI , NON SCHERZAVANO AFFATTO ...ANZI ..MALEDETTI ..HANNO ESCOGITATO IL TUTTO IN MANIERA ASSAI SERIA e FRAUDOLENTA ! uum Comunque dai , datevi da fare , anche Tu lo sai .... GLI ESTERNI CI SERVONO COME IL PANE E L'ACQUA :d ! Buona Serata , anche perché, qualcosa mi dice , che se sarà Buona per Te , probabilmente lo sarà anche per me ! Ciao! Stefano! -( UNA VITTORIA IN " TANDEM " NON S'ERA MAI VISTA : A DISTANZA DI ANNI SI E' RIPROPOSTA LA COPPIA " BIANCHETTO-BEGHETTO " CHE TRIONFAVANO IN OLIMPIADI e MONDIALI DI CICLISMO SU PISTA ! :d ) -

DI STEFANO,la «Saeta rubia» («Saetta bionda»), è stato qualcosa di più di un grande campione, e

non ci sono schemi dove collocarlo e le prose che lo hanno raccontato sono state in ogni caso

inferiori al suo talento, che era qualcosa di eccezionale nella misura in cui era originale.

I veri assi non si ripetono, i geni anche nel calcio improvvisano con l'eccellenza di un'ispirazione che

li fa ringiovanire ogni volta. Possono avere tutti i vizi del mondo ma li sublimano in quegli istanti, in

quei minuti, in quelle ore, sia Pablo Casals il violoncellista quasi cieco e quasi sordo che a ottantanni

suonava come un dio, sia Paganini il violinista genovese pagàno che metteva nel suo Stradivarius

sortilegi e cavava note come tele di ragni e come arcobaleni sanguigni, sia Alfredo Di Stefano

appunto di cui tento un profilo.

 

 

Ci hanno provato in tanti magni crani a raccontarlo. Carlos Zeda, scrittore e giornalista madrileno, ha

affermato che in lui c'era il compendio delle qualità dell'atleta sognato da Platone.

Gioanbrerafucarlo, la cui opera «Coppi e il Diavolo» è un capolavoro di scrittura e di sensibilità a

memoria di un giornalismo sportivo che onora la cultura italiana, ha scritto che è stato superiore a

Pelè. 1.75 di atleta per 77 chili oscillanti che sul prato verde diventava un gigante con cento occhi e

mille piedi, l'espressione fuori da iperbole del calcio eclettico, per cui assolveva al lavoro di tutti i

ruoli, sapeva essere difensore incontri sta e attaccante rifinitore, nonché lussuoso elegante leggero e

 

 

 

possente centravanti. Si assommavano in Di Stefano effettivamente tutte le doti del calciatore ! -

Come classe pura era esemplare in quanto

eseguiva le cose più difficili con semplicità. Cosi gli

arresti ovvero gli stop sulle parabole più astruse,

così gli shot per il passaggio come usava solo

«Farfallino» Borel, così il colpo di testa secco a

seguire in fondo alla rete, così a tempo e luogo il

dribbling, quando un compagno andava a liberarsi,

ma soprattutto la consapevolezza che in campo non

si deve mai sprecare niente, che il pallone deve

essere esercitato come un tesoro, subito passato

al volo senza perditempo, un passaggio immediato

e tempestivo supera in ogni caso l'avversario, lo

disorienta.

Alfredo Di Stefano era nato a Buenos Aires nel

rione di Barracas il 4 giugno 1926. Subito si pensa

che un genio come lui poteva nascere soltanto in

quella capitale del mondo, in quella città senza

confini, dove ogni razza è libera di vivere, dove

bianchi e neri, siciliani e turchi, trovano, un angolo,

 

 

 

 

 

 

un riparo.

VIVERE NELL'AGIATEZZA

Alfredo nacque nella squadra ragazzi del River Plate. Il suo idolo era Arsenio Erico, centrattacco

dell'Inde-pendiente, un tipo fosco che non degnava di un saluto nessuno, che veniva a prelevare lo

stipendio trovandolo sempre inferiore ai suoi meriti che erano del mas grande mai visto in tutto

l'orbe terracqueo. Alfredo quattordicenne ne possedeva tutti gli opuscoli biografici e un mazzo di

fotografie, esattamente centodue fotografie di cui sei firmate dal suo idolo. Era andato ad aspettarlo

e lo invocava bevendoselo con i suoi occhi chiari di ragazzo innamorato di pallone e di gloria. Il

talento di Di Stefano fu subito notato, ma i tecnici non convenivano che potesse riuscire a farsi largo.

Nel River Plate giocava un altro fuoriclasse dai piedi magici, ovvero «Il divino» Adolfo Pedernera, che

era per natura sospettoso e cominciò in allenamento a fare dei dispetti a quel ragazzo fin troppo

ambizioso. Fatto è che il River Plate pensò bene di cederlo in prestito all'Huracan. E Di Stefano andò

per dimostrare le sue qualità. Era cresciuto a diciotto anni il suo fisico con il suo gioco. Ormai

giocava alla Di Stefano, riempiva il campo da solo, risolveva un sacco di problemi tattici

all'allenatore che poteva disporne. Un particolare del carattere di Di Stefano si deve subito precisare,

perché sia lampante come il suo stile di calciatore arrivasse già dai grattacieli. I genitori piccolo

borghesi non gli avevano mai fatto mancare nulla. E lui voleva vivere nell'agiatezza, voleva avere

sempre soldi in tasca e vestire da signore. Quello che sembri sei era il suo motto. Gli piaceva già

tutto, a diciotto anni. Mangiare, bere, fare all'amore. Ma senza stancarsi troppo, senza concedere

troppo. Per divertire lo spirito.

Di_Stefano_River.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'ATTACCO DEI PRODIGI



Nell'Huracan Di Stefano gioca le sue prime

eccezionali partite. Il mondo argentino del

calcio è in subbuglio. Pedernera il divino accusa i

morsi degli anni. Il nuovo allenatore del River

Plate, Pepe Monella, accogliendo con entusiasmo

l'incarico di guidare la squadra, pone come

condizione il recupero del giovane, ora ha

vent'anni, è il 1946, anzi il rientro alla base, di

Alfredo Di Stefano. Naturalmente col sacrificio

di Pedernera. Viene accontentato. E così il River

Plate ha un trio d'attacco dei prodigi Moreno, Di

Stefano, Labruna, Chi li può fermare? Chi può

fermare Moreno, secondo solo a Di Stefano

Ma chi può fermare soprattutto il genio di Di Stefano? La scuola di Moreno è quella che serve.

Moreno è un mezzo matto, in campo ha un suo modo di gestire la professione, di esercitarla.

A parte una specie di grido di guerra che lancia «A papà, a papà!», come un richiamo al

capofamiglia, come un solleticare le sue più ancestrali ambizioni a farsi ammirare, Moreno è

rabbioso e truculento nella lotta, ma furbo, furbissimo. Nessun arbitro gli ha mai visto fare un fallo,

ma quanti ne ha azzoppati lui! Accanto a Moreno, Di Stefano svolge la sua parte di orchestratore,

ispira e inventa il gioco per tutti, è sempre smarcato a seguire, l'uomo-squadra è lui, di altri, dello

stesso Moreno, possono essere certe squisitezze o ghirigori, di Labruna è il tiro di inaudita potenza,

ma di Di Stefano è l'arte del comando, la disci- plina tattica. Nel 1947 il River Plate vince lo

scudetto e Di Stefano segna ben ventisette gol. I giornali son pieni di lui. Lui è la «Saeta rubia». Ma

ora deve andar militare. Ci va mugugnando, perché son tutti quattrini persi e lui vive per i guadagni.

 

 

A CACCIA DI DENARO E GLORIA

Al suo biografo ufficiale, Cesar Pasquato di «El Grafico», Di Stefano a fine carriera ha detto: «Per

diventare bravi giocatori occorre pensare giorno e notte al pallone. I giovani che vogliono fare

solo quattrini senza fatica o svolgere altri mestieri, anche soltanto per distrarsi, mentre giocano

da professionisti, sbagliano, perché infallibilmente toglieranno, anche senza accorgersene,

tempo prezioso al loro mestiere. Io non sono mai stato molto disciplinato nella vita privata, ho

bevuto botti di vino e ho mangiato quintali di pesce fritto, ma tutto questo mi serviva per

stordirmi e non pensare ad altro. E dormire. Ma in sostanza io mi sono mortificato in campo in

allenamenti durissimi, mentre nei giovani d'oggi c'è la tendenza ad allenarsi poco e a non

saper soffrire. Gli allenamenti duri, massacranti, estenuanti, sono indispensabili ad un

campione, formano il campione. A me hanno dato l'ossatura. Il campione deve essere

ambizioso ogni giorno di più, ogni giorno più ambizioso del giorno prima».

 

 

Passione per il calcio, sterminata ambizione a titolo personale, creano il mito di Di Stefano. «La

Guita», il denaro, è tutto per lui. A un certo punto non gli basta più il River, il denaro che gli danno

gli par poco, nel 1950 viene a sapere che la Colombia, il paese sudamericano uscito dalla

Federazione Internazionale, c'è la possibilità di guadagnare venti volte di più. Insalutato ospite,

sparisce dalla circolazione, si imbarca nottetempo in un aereo e va a giocare in Colombia.

Dal '50 al '53, da 24 a 27 anni, gioca nel Millonarios di Bogotà, gol come se piovesse, donne a

profusione, piaceri di ogni genere, gloria gloria gloria. E l'eco delle sue gesta raggiunge l'Italia,

precisamente la Roma, che nel '53 avrebbe la possibilità di ingaggiarlo. Ma quei nostri furboni di i

romanucci, dopo l'ennesima riunione di consiglio, ispirati da un biondo Frascati freddissimo,

arronzano che è troppo vecchio, no, no, non vale la spesa...

Di_Stefano_color.jpg

Di_Stefano_Coppe_Real.jpg

CON KOPA E GENTO A MADRID

E' nato il Real Madrid di cui Saporita è il genio tecnico

organizzativo, riesce a soffiarlo al Barcellona e lo fa suo.

Di Stefano parte alla conquista della Spagna, il Paese si

può dire della sua vita. La Spagna lo intenerisce e lo

appassiona. II Real Madrid gli entra nel sangue. Tocca i

vertici funambolici del rendimento. La «Saeta rubia» è

più «Saeta» che mai. Con la squadra madrilena di tutte le

leggende vince dal '54 al '60 cinque Coppe dei Campioni,

percependo ogni anno 39 milioni d'ingaggio e uno

stipendio mensile di 500 mila lire. Per acquistarlo, il Real

Madrid aveva pagato al River Plate 150 milioni di lire,

nove scudetti di Spagna vinti da Di Stefano col suo Real.

Dominguez il portiere, Marquitos e Zarraga i terzini

ondeggianti, Santisteban, Santamaria e Ruiz la mediana-

diga, Kopa il cervello del gol, sette di maglia, Mateos

l'interno destro, Di Stefano il perno della strategia,

l'uomo-guida, il maestro in campo, guai a sgarrare,

Di%20Stefano%202_01.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 



Come classe pura era esemplarein quanto

eseguiva le cose più difficili con semplicità. Cosi gli

arresti ovvero gli stop sulle parabole più astruse,

così gli shot per il passaggio come usava solo

«Farfallino» Borel, così il colpo di testa secco a

seguire in fondo alla rete, così a tempo e luogo il

dribbling, quando un compagno andava a liberarsi,

ma soprattutto la consapevolezza che in campo non

si deve mai sprecare niente, che il pallone deve

essere esercitato come un tesoro, subito passato

al volo senza perditempo, un passaggio immediato

e tempestivo supera in ogni caso l'avversario, lo

disorienta.

Alfredo Di Stefano era nato a Buenos Aires nel

rione di Barracas il 4 giugno 1926. Subito si pensa

che un genio come lui poteva nascere soltanto in

quella capitale del mondo, in quella città senza

confini, dove ogni razza è libera di vivere, dove

bianchi e neri, siciliani e turchi, trovano, un angolo,

un riparo.



predice tutto, insegna col gesto, gioca a testa alta e vede gli errori, Rial mezzo sinistro e ala sinistra

Gento il funambolico, il piede di velluto più dolce e melodioso dopo quello di Rinaldo Martino. Nel

1960, quando ha trentaquattro anni, l'anagrafe non conta per lui, Di Stefano è valutato cifre

iperboliche. Vale un miliardo di lire, i giornali spagnoli si occupano più di lui che di politica. Diventa

famosa una battuta, in Italia, all'arrivo di Del Sol, forte corridore e campione: «Ha portato le valigie a

Di Stefano». Qualsiasi campione può portare le valigie ad un asso così.Nel 1963, il 24 agosto, i

castro-comunisti lo rapiscono, lo vanno a prelevare nell'albergo in cui dormiva, il Potomac, alle sette

del mattino, spacciandosi per ufficiali di polizia del reparto antidroga. Il colpo avrà un eco

mondiale. I rapitori dopo 56 ore libereranno Di Stefano senza torcergli un capello. Azione

dimostrativa per scuotere il mondo.

 

 

UN GENIO

Di Stefano si considera ormai spagnolo e si è naturalizzato da tre anni. Viene a trovarlo da Buenos

Aires Cesar Pasquato e Alfredo si sfoga, raccontandogli la sua vita. La Spagna ha saputo tenerselo,

ha saputo amarlo. Ci vogliono strepitose tenerezze, ci vuole una sopportazione infinita con i geni. In

ogni campo del vivere il genio è uomo scorbutico, duro e tenero, intrattabile e umile. Il biondo Di

Stefano che ormai perde i capelli cui tiene tanto, involontariamente ha inventato il calcio totale, il

calcio che ha superato i ruoli.

Lui è stato un centravanti, ma anche una mezzala, un mediano, un'ala, un terzino. In qualsiasi punto

del campo un genio è genio. I gol sono fioccati dal suo piede. In vent'anni di carriera ha infilato la

bellezza di 529 gol, in Spagna è stato capocannoniere nel '54, nel '56, nel '57, nel '58 e nel '59.

Quando non lo è stato è perché non ne aveva voglia. I suoi gol sono sempre il risultato di eccellenti

manovre. Nella nazionale argentina ha giocato 27 volte, e 31 in quella di Spagna. Nel 1957 e nel 1959

«France Football» gli ha assegnato il «Pallone d'oro» come migliore calciatore europeo.

Forse il suo sangue misto ne ha agevolato certi estri pungenti, certe ribellioni, certi spunti di rabbia e

passione gelavano gli avversari. Fu grandissimo

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Mazzarri, anche lei qui? .asd Si scherza, eh

Caro Amico, ciò che ho scritto per l'Amico Alengiù ...vale anche per Te ! Ciao e Complimenti ! Stefano ! -

DI STEFANO,la «Saeta rubia» («Saetta bionda»), è stato qualcosa di più di un grande campione, e

non ci sono schemi dove collocarlo e le prose che lo hanno raccontato sono state in ogni caso

inferiori al suo talento, che era qualcosa di eccezionale nella misura in cui era originale.

I veri assi non si ripetono, i geni anche nel calcio improvvisano con l'eccellenza di un'ispirazione che

li fa ringiovanire ogni volta. Possono avere tutti i vizi del mondo ma li sublimano in quegli istanti, in

quei minuti, in quelle ore, sia Pablo Casals il violoncellista quasi cieco e quasi sordo che a ottantanni

suonava come un dio, sia Paganini il violinista genovese pagàno che metteva nel suo Stradivarius

sortilegi e cavava note come tele di ragni e come arcobaleni sanguigni, sia Alfredo Di Stefano

appunto di cui tento un profilo.

 

 

Ci hanno provato in tanti magni crani a raccontarlo. Carlos Zeda, scrittore e giornalista madrileno, ha

affermato che in lui c'era il compendio delle qualità dell'atleta sognato da Platone.

Gioanbrerafucarlo, la cui opera «Coppi e il Diavolo» è un capolavoro di scrittura e di sensibilità a

memoria di un giornalismo sportivo che onora la cultura italiana, ha scritto che è stato superiore a

Pelè. 1.75 di atleta per 77 chili oscillanti che sul prato verde diventava un gigante con cento occhi e

mille piedi, l'espressione fuori da iperbole del calcio eclettico, per cui assolveva al lavoro di tutti i

ruoli, sapeva essere difensore incontri sta e attaccante rifinitore, nonché lussuoso elegante leggero e

 

 

 

possente centravanti. Si assommavano in Di Stefano effettivamente tutte le doti del calciatore ! -

Come classe pura era esemplare in quanto

eseguiva le cose più difficili con semplicità. Cosi gli

arresti ovvero gli stop sulle parabole più astruse,

così gli shot per il passaggio come usava solo

«Farfallino» Borel, così il colpo di testa secco a

seguire in fondo alla rete, così a tempo e luogo il

dribbling, quando un compagno andava a liberarsi,

ma soprattutto la consapevolezza che in campo non

si deve mai sprecare niente, che il pallone deve

essere esercitato come un tesoro, subito passato

al volo senza perditempo, un passaggio immediato

e tempestivo supera in ogni caso l'avversario, lo

disorienta.

Alfredo Di Stefano era nato a Buenos Aires nel

rione di Barracas il 4 giugno 1926. Subito si pensa

che un genio come lui poteva nascere soltanto in

quella capitale del mondo, in quella città senza

confini, dove ogni razza è libera di vivere, dove

bianchi e neri, siciliani e turchi, trovano, un angolo,

 

 

 

 

 

 

un riparo.

VIVERE NELL'AGIATEZZA

Alfredo nacque nella squadra ragazzi del River Plate. Il suo idolo era Arsenio Erico, centrattacco

dell'Inde-pendiente, un tipo fosco che non degnava di un saluto nessuno, che veniva a prelevare lo

stipendio trovandolo sempre inferiore ai suoi meriti che erano del mas grande mai visto in tutto

l'orbe terracqueo. Alfredo quattordicenne ne possedeva tutti gli opuscoli biografici e un mazzo di

fotografie, esattamente centodue fotografie di cui sei firmate dal suo idolo. Era andato ad aspettarlo

e lo invocava bevendoselo con i suoi occhi chiari di ragazzo innamorato di pallone e di gloria. Il

talento di Di Stefano fu subito notato, ma i tecnici non convenivano che potesse riuscire a farsi largo.

Nel River Plate giocava un altro fuoriclasse dai piedi magici, ovvero «Il divino» Adolfo Pedernera, che

era per natura sospettoso e cominciò in allenamento a fare dei dispetti a quel ragazzo fin troppo

ambizioso. Fatto è che il River Plate pensò bene di cederlo in prestito all'Huracan. E Di Stefano andò

per dimostrare le sue qualità. Era cresciuto a diciotto anni il suo fisico con il suo gioco. Ormai

giocava alla Di Stefano, riempiva il campo da solo, risolveva un sacco di problemi tattici

all'allenatore che poteva disporne. Un particolare del carattere di Di Stefano si deve subito precisare,

perché sia lampante come il suo stile di calciatore arrivasse già dai grattacieli. I genitori piccolo

borghesi non gli avevano mai fatto mancare nulla. E lui voleva vivere nell'agiatezza, voleva avere

sempre soldi in tasca e vestire da signore. Quello che sembri sei era il suo motto. Gli piaceva già

tutto, a diciotto anni. Mangiare, bere, fare all'amore. Ma senza stancarsi troppo, senza concedere

troppo. Per divertire lo spirito.

Di_Stefano_River.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

L'ATTACCO DEI PRODIGI



Nell'Huracan Di Stefano gioca le sue prime

eccezionali partite. Il mondo argentino del

calcio è in subbuglio. Pedernera il divino accusa i

morsi degli anni. Il nuovo allenatore del River

Plate, Pepe Monella, accogliendo con entusiasmo

l'incarico di guidare la squadra, pone come

condizione il recupero del giovane, ora ha

vent'anni, è il 1946, anzi il rientro alla base, di

Alfredo Di Stefano. Naturalmente col sacrificio

di Pedernera. Viene accontentato. E così il River

Plate ha un trio d'attacco dei prodigi Moreno, Di

Stefano, Labruna, Chi li può fermare? Chi può

fermare Moreno, secondo solo a Di Stefano

Ma chi può fermare soprattutto il genio di Di Stefano? La scuola di Moreno è quella che serve.

Moreno è un mezzo matto, in campo ha un suo modo di gestire la professione, di esercitarla.

A parte una specie di grido di guerra che lancia «A papà, a papà!», come un richiamo al

capofamiglia, come un solleticare le sue più ancestrali ambizioni a farsi ammirare, Moreno è

rabbioso e truculento nella lotta, ma furbo, furbissimo. Nessun arbitro gli ha mai visto fare un fallo,

ma quanti ne ha azzoppati lui! Accanto a Moreno, Di Stefano svolge la sua parte di orchestratore,

ispira e inventa il gioco per tutti, è sempre smarcato a seguire, l'uomo-squadra è lui, di altri, dello

stesso Moreno, possono essere certe squisitezze o ghirigori, di Labruna è il tiro di inaudita potenza,

ma di Di Stefano è l'arte del comando, la disci- plina tattica. Nel 1947 il River Plate vince lo

scudetto e Di Stefano segna ben ventisette gol. I giornali son pieni di lui. Lui è la «Saeta rubia». Ma

ora deve andar militare. Ci va mugugnando, perché son tutti quattrini persi e lui vive per i guadagni.

 

 

A CACCIA DI DENARO E GLORIA

Al suo biografo ufficiale, Cesar Pasquato di «El Grafico», Di Stefano a fine carriera ha detto: «Per

diventare bravi giocatori occorre pensare giorno e notte al pallone. I giovani che vogliono fare

solo quattrini senza fatica o svolgere altri mestieri, anche soltanto per distrarsi, mentre giocano

da professionisti, sbagliano, perché infallibilmente toglieranno, anche senza accorgersene,

tempo prezioso al loro mestiere. Io non sono mai stato molto disciplinato nella vita privata, ho

bevuto botti di vino e ho mangiato quintali di pesce fritto, ma tutto questo mi serviva per

stordirmi e non pensare ad altro. E dormire. Ma in sostanza io mi sono mortificato in campo in

allenamenti durissimi, mentre nei giovani d'oggi c'è la tendenza ad allenarsi poco e a non

saper soffrire. Gli allenamenti duri, massacranti, estenuanti, sono indispensabili ad un

campione, formano il campione. A me hanno dato l'ossatura. Il campione deve essere

ambizioso ogni giorno di più, ogni giorno più ambizioso del giorno prima».

 

 

Passione per il calcio, sterminata ambizione a titolo personale, creano il mito di Di Stefano. «La

Guita», il denaro, è tutto per lui. A un certo punto non gli basta più il River, il denaro che gli danno

gli par poco, nel 1950 viene a sapere che la Colombia, il paese sudamericano uscito dalla

Federazione Internazionale, c'è la possibilità di guadagnare venti volte di più. Insalutato ospite,

sparisce dalla circolazione, si imbarca nottetempo in un aereo e va a giocare in Colombia.

Dal '50 al '53, da 24 a 27 anni, gioca nel Millonarios di Bogotà, gol come se piovesse, donne a

profusione, piaceri di ogni genere, gloria gloria gloria. E l'eco delle sue gesta raggiunge l'Italia,

precisamente la Roma, che nel '53 avrebbe la possibilità di ingaggiarlo. Ma quei nostri furboni di i

romanucci, dopo l'ennesima riunione di consiglio, ispirati da un biondo Frascati freddissimo,

arronzano che è troppo vecchio, no, no, non vale la spesa...

Di_Stefano_color.jpg

Di_Stefano_Coppe_Real.jpg

CON KOPA E GENTO A MADRID

E' nato il Real Madrid di cui Saporita è il genio tecnico

organizzativo, riesce a soffiarlo al Barcellona e lo fa suo.

Di Stefano parte alla conquista della Spagna, il Paese si

può dire della sua vita. La Spagna lo intenerisce e lo

appassiona. II Real Madrid gli entra nel sangue. Tocca i

vertici funambolici del rendimento. La «Saeta rubia» è

più «Saeta» che mai. Con la squadra madrilena di tutte le

leggende vince dal '54 al '60 cinque Coppe dei Campioni,

percependo ogni anno 39 milioni d'ingaggio e uno

stipendio mensile di 500 mila lire. Per acquistarlo, il Real

Madrid aveva pagato al River Plate 150 milioni di lire,

nove scudetti di Spagna vinti da Di Stefano col suo Real.

Dominguez il portiere, Marquitos e Zarraga i terzini

ondeggianti, Santisteban, Santamaria e Ruiz la mediana-

diga, Kopa il cervello del gol, sette di maglia, Mateos

l'interno destro, Di Stefano il perno della strategia,

l'uomo-guida, il maestro in campo, guai a sgarrare,

Di%20Stefano%202_01.jpg

 

 

 

 

 

 



Come classe pura era esemplarein quanto

eseguiva le cose più difficili con semplicità. Cosi gli

arresti ovvero gli stop sulle parabole più astruse,

così gli shot per il passaggio come usava solo

«Farfallino» Borel, così il colpo di testa secco a

seguire in fondo alla rete, così a tempo e luogo il

dribbling, quando un compagno andava a liberarsi,

ma soprattutto la consapevolezza che in campo non

si deve mai sprecare niente, che il pallone deve

essere esercitato come un tesoro, subito passato

al volo senza perditempo, un passaggio immediato

e tempestivo supera in ogni caso l'avversario, lo

disorienta.

Alfredo Di Stefano era nato a Buenos Aires nel

rione di Barracas il 4 giugno 1926. Subito si pensa

che un genio come lui poteva nascere soltanto in

quella capitale del mondo, in quella città senza

confini, dove ogni razza è libera di vivere, dove

bianchi e neri, siciliani e turchi, trovano, un angolo,

un riparo.



predice tutto, insegna col gesto, gioca a testa alta e vede gli errori, Rial mezzo sinistro e ala sinistra

Gento il funambolico, il piede di velluto più dolce e melodioso dopo quello di Rinaldo Martino. Nel

1960, quando ha trentaquattro anni, l'anagrafe non conta per lui, Di Stefano è valutato cifre

iperboliche. Vale un miliardo di lire, i giornali spagnoli si occupano più di lui che di politica. Diventa

famosa una battuta, in Italia, all'arrivo di Del Sol, forte corridore e campione: «Ha portato le valigie a

Di Stefano». Qualsiasi campione può portare le valigie ad un asso così.Nel 1963, il 24 agosto, i

castro-comunisti lo rapiscono, lo vanno a prelevare nell'albergo in cui dormiva, il Potomac, alle sette

del mattino, spacciandosi per ufficiali di polizia del reparto antidroga. Il colpo avrà un eco

mondiale. I rapitori dopo 56 ore libereranno Di Stefano senza torcergli un capello. Azione

dimostrativa per scuotere il mondo.

 

 

UN GENIO

Di Stefano si considera ormai spagnolo e si è naturalizzato da tre anni. Viene a trovarlo da Buenos

Aires Cesar Pasquato e Alfredo si sfoga, raccontandogli la sua vita. La Spagna ha saputo tenerselo,

ha saputo amarlo. Ci vogliono strepitose tenerezze, ci vuole una sopportazione infinita con i geni. In

ogni campo del vivere il genio è uomo scorbutico, duro e tenero, intrattabile e umile. Il biondo Di

Stefano che ormai perde i capelli cui tiene tanto, involontariamente ha inventato il calcio totale, il

calcio che ha superato i ruoli.

Lui è stato un centravanti, ma anche una mezzala, un mediano, un'ala, un terzino. In qualsiasi punto

del campo un genio è genio. I gol sono fioccati dal suo piede. In vent'anni di carriera ha infilato la

bellezza di 529 gol, in Spagna è stato capocannoniere nel '54, nel '56, nel '57, nel '58 e nel '59.

Quando non lo è stato è perché non ne aveva voglia. I suoi gol sono sempre il risultato di eccellenti

manovre. Nella nazionale argentina ha giocato 27 volte, e 31 in quella di Spagna. Nel 1957 e nel 1959

«France Football» gli ha assegnato il «Pallone d'oro» come migliore calciatore europeo.

Forse il suo sangue misto ne ha agevolato certi estri pungenti, certe ribellioni, certi spunti di rabbia e

passione gelavano gli avversari. Fu grandissimo, fu mostruoso. Ne nascerà mai più uno così...?

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ahah ahah ahah

caro stefano non hanno stravolto le regole; se unisci i voti dello striscione mio e quello di pr20 e' stato un plebiscito come la piazza di napoli sefz

Il post 31 è per Te : mi son scordato di citare il tuo ! I'M sorry ...con la testa sono già al San Paolo !

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...

Complimenti fratè! Meritatissima vittoria per lo striscione "a firma congiunta", a cui tu hai contribuito per un 75-80% .sisi:d

Ad ogni modo, bravo anche PR20 e tutti gli altri vincitori e finalisti!

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Complimenti ai vincitori.

Soprattutto al secondo classificato, che secondo me ha scritto lo striscione più ferocemene sarcastico .uah

.juve.sciarpa1.jufan

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Complimenti fratè! Meritatissima vittoria per lo striscione "a firma congiunta", a cui tu hai contribuito per un 75-80% .sisi:d

Ad ogni modo, bravo anche PR20 e tutti gli altri vincitori e finalisti!

 

grazie carissimo .ok

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