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Mormegil

Guerra di Siria e situazione mediorientale: news e commenti

Post in rilievo

Intanto come primo viaggio all'estero (in genere molto significativo anche a livello simbolico) dove va Trump?

In Arabia Saudita!

Com'era quella che Trump è meglio perché Obama-Clinton sono troppo filo-sauditi? :risata3:

La risposta è nell'articolo che hai postato.

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La risposta è nell'articolo che hai postato.

La risposta è che tolti gli slogan elettorali Trump è molto più in sintonia con i sauditi di quanto non lo fosse Obama, probabilmente il presidente americano meno amato dai Saud.

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.................. .quoto

 

Io .... sono proprio uno dei tanti che ha votato Trump ( per dire ) perchè credevo in quello che prometteva in campagna elettorale ... :patpat:

speravo in a) : una riappacificazione con la Russia ( ovviamente avrebbe avvantaggiato anche l'Italia in primis ) ,

b) : il riconoscimento del diritto di determinazione dei Popoli ( Crimea & c.) ,

c) : terminare/smettere di collaborare con gli Stati canaglia che riforniscono e finanziano Daesh ( la maggior parte delle guerre terminerebbero in pochi mesi ) .

 

Invece mr. "volpeintesta" .schiaf ha continuato la politica estera promessa dalla guerrafondaia " Killary Clinton " .uffa !!

Anzi , adesso continua a soffiare sul fuoco nei Paesi Baltici , contro la Corea del Nord e non sta facendo niente per risolvere il problema Kosovo ( ormai Il Kosovo è oggi la regione del mondo che contribuisce pro capite di più ad esportare jihadisti per lo Stato Islamico davanti alla Bosnia-Erzegovina, un altro paese inventato dai globalisti. )

 

 

Però vorrei tanto capire come funziona questa benedetta "autodeterminazione dei popoli", se sia cioè un concetto universale, oppure se debba essere applicato a seconda se chi lo chiede ci sta simpatico o meno.

 

Per esempio, vale anche per i (musulmani) ceceni e daghestani nei confronti della Russia di Putin, nonché per i (musulmani) tartari della Crimea i quali, pur essendo contrario al referendum di Mosca e favorevoli a Kiev adesso si trovano annessi alla Russia?

Vale anche per i (musulmani) uiguri della Cina, oltre che per i tibetani (che quel fenomeno di Fulvio Grimaldi definisce fedeli dei "clericotiranni", cioè del Dalai Lama? .doh)?

Vale anche per i (musulmani) curdi siriani nei confronti di Assad?

Vale anche per i (musulmani) kosovari nei confronti di Belgrado e per quelli bosniaci della ex-Jugoslavia?

 

Ed è stato giusto farlo valere anche per estoni, lettoni e lituani nei confronti della defunta (?) Unione Sovietica, oppure anche in questo caso si deve parlare di "paesi inventati dai globalisti"?

 

Lo chiedo perché non mi è chiaro quando questo concetto debba essere applicato e quando invece no... .ehm

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Però vorrei tanto capire come funziona questa benedetta "autodeterminazione dei popoli", se sia cioè un concetto universale, oppure se debba essere applicato a seconda se chi lo chiede ci sta simpatico o meno.

...........ecc. , ecc...........

 

Lo chiedo perché non mi è chiaro quando questo concetto debba essere applicato e quando invece no... .ehm

 

Se non Ti è stato chiaro fino ad ora , con tanti di golpe filo-nazista (organizzato e finanziato con la complicità degli USA )

non Ti sarà chiaro più !! .ghgh

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La risposta è che tolti gli slogan elettorali Trump è molto più in sintonia con i sauditi di quanto non lo fosse Obama, probabilmente il presidente americano meno amato dai Saud.

No.

È che dietro Trump c'era poca sostanza e se c'era era incompetente o impresentabile a quei livelli del potere Usa.

Trump non ha una linea precisa, ma non perché fosse fatto solo di vacui slogan -ché questo vale per tutti in campagna elettorale-, bensì perché non è un politico né appartiene all'establishment e quindi a una delle strategie dominanti in esso in fatto di politica estera, con retrostanti poteri situazionali di fatto.

 

L'alternativa sarebbe credere che Trump fosse filo-saudita da sempre ma non ce lo dicesse.

E pure ci sarebbe da discutere sull'entità di questo riavvicinamento ai Saud, per il quale ti stai basando su un semplice viaggio.

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Se non Ti è stato chiaro fino ad ora , con tanti di golpe filo-nazista (organizzato e finanziato con la complicità degli USA )

non Ti sarà chiaro più !! .ghgh

 

Quindi ceceni, daghestani, uiguri, tibetani, curdi, tartari la loro autodeterminazione se la possono attaccare al tram, mentre i russi del Donbass e gli Houti dello Yemen è giusto che se la rivendichino anche con le armi, così come potranno farlo un domani, le minoranze russe in Estonia, Lettonia e Lituania...

 

Ho capito bene? .ghgh

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Quindi ceceni, daghestani, uiguri, tibetani, curdi, tartari la loro autodeterminazione se la possono attaccare al tram, mentre i russi del Donbass e gli Houti dello Yemen è giusto che se la rivendichino anche con le armi, così come potranno farlo un domani, le minoranze russe in Estonia, Lettonia e Lituania...

 

Ho capito bene? .ghgh

 

Come ripetono da anni i tifosi romanisti, sò du' pesi e du' misure......sefz

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Quindi ceceni, daghestani, uiguri, tibetani, curdi, tartari la loro autodeterminazione se la possono attaccare al tram, mentre i russi del Donbass e gli Houti dello Yemen è giusto che se la rivendichino anche con le armi, così come potranno farlo un domani, le minoranze russe in Estonia, Lettonia e Lituania...

 

Ho capito bene? .ghgh

 

Ovviamente , in linea di massima , anche io sono a favore della facoltà di un popolo di scegliersi un padrone ( chi è che non è a favore !?!? ) .

A me , come Italiano , interessa più di tutte la soluzione pacifica del problema Nato-Europa-Ucraina-Crimea-& c. in prospettiva di " levare le sanzioni " alla Russia ( leggi : all'Italia ) ;

non posso ( possiamo ) certo farmi ( farCi ) carico dei problemi di tutte le minoranze dei popoli del Mondo ... .boh

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No.

È che dietro Trump c'era poca sostanza e se c'era era incompetente o impresentabile a quei livelli del potere Usa.

Trump non ha una linea precisa, ma non perché fosse fatto solo di vacui slogan -ché questo vale per tutti in campagna elettorale-, bensì perché non è un politico né appartiene all'establishment e quindi a una delle strategie dominanti in esso in fatto di politica estera, con retrostanti poteri situazionali di fatto.

 

L'alternativa sarebbe credere che Trump fosse filo-saudita da sempre ma non ce lo dicesse.

E pure ci sarebbe da discutere sull'entità di questo riavvicinamento ai Saud, per il quale ti stai basando su un semplice viaggio.

 

Mi sto basando su tanti elementi, di cui questo viaggio è solo la "chicca finale", mi baso sul viaggio di James Mattis di 2 settimane fa a Riyadh tra baci e abbracci e dichiarazioni pesanti contro l'Iran, sulle tante frecciate dell'amministrazione contro Teheran, sulle dichiarazioni di tanti funzionari sauditi, del "vento" diverso che si legge anche sui giornali sauditi, piuttosto preoccupati e perplessi con Obama, molto più fiduciosi con Trump.

Alla fine l'amministrazione Trump sta rivelando convergenze importanti con i sauditi, soprattutto sul ruolo dell'Iran nella regione, che poi è il "chiodo fisso" di Riyadh. E il primo viaggio è un ulteriore segnale in quella direzione, come a dire che dopo Obama che vi aveva lasciati soli noi torniamo ad essere il vecchio alleato di sempre. Diciamo che Trump si sta rivelando un repubblicano "tradizionalista" in politica estera.

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Mi sto basando su tanti elementi, di cui questo viaggio è solo la "chicca finale", mi baso sul viaggio di James Mattis di 2 settimane fa a Riyadh tra baci e abbracci e dichiarazioni pesanti contro l'Iran, sulle tante frecciate dell'amministrazione contro Teheran, sulle dichiarazioni di tanti funzionari sauditi, del "vento" diverso che si legge anche sui giornali sauditi, piuttosto preoccupati e perplessi con Obama, molto più fiduciosi con Trump.

Alla fine l'amministrazione Trump sta rivelando convergenze importanti con i sauditi, soprattutto sul ruolo dell'Iran nella regione, che poi è il "chiodo fisso" di Riyadh. E il primo viaggio è un ulteriore segnale in quella direzione, come a dire che dopo Obama che vi aveva lasciati soli noi torniamo ad essere il vecchio alleato di sempre. Diciamo che Trump si sta rivelando un repubblicano "tradizionalista" in politica estera.

Non è che si sta rivelando, si sta solo appoggiando su una certa strategia. Prevedibile filtraggio da parte dell'apparato, che non poteva non esserci per un presidente così debole.

 

Certo che c'è riavvicinamento ma:

  1. bisognerà valutarne la reale entità,
  2. per me alcune delle conquiste di Obama nella riapertura all'Iran non potranno venire meno.

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Non è che si sta rivelando, si sta solo appoggiando su una certa strategia. Prevedibile filtraggio da parte dell'apparato, che non poteva non esserci per un presidente così debole.

 

Certo che c'è riavvicinamento ma:

  1. bisognerà valutarne la reale entità,
  2. per me alcune delle conquiste di Obama nella riapertura all'Iran non potranno venire meno.

 

Sull'Iran direi che l'avvicinamento è importante, se non altro si è circondato di "falchi" anti-iraniani. Su altre questioni è da vedere, soprattutto quella palestinese, ma è noto che i paesi del golfo sono sostanzialmente quelli meno interessati alla questione palestinese, hanno sempre tenuto un profilo basso e più che altro si lavano la coscienza ogni tanto con qualche ricostruzione qui e lì. Quel tema è molto più sensibile per altri alleati americani, Giordania ed Egitto su tutti.

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Non è che si sta rivelando, si sta solo appoggiando su una certa strategia. Prevedibile filtraggio da parte dell'apparato, che non poteva non esserci per un presidente così debole.

 

Certo che c'è riavvicinamento ma:

  1. bisognerà valutarne la reale entità,
  2. per me alcune delle conquiste di Obama nella riapertura all'Iran non potranno venire meno.

 

 

Io credo che si tenda a sopravvalutare un po' il ruolo del cosiddetto "deep state" nelle scelte di politica estera di Trump: nel senso che, per un presidente americano è quasi impossibile discostarsi dalla "tradizione" e quindi da determinate scelte e decisioni, a meno di non voler fare abdicare gli Usa dal loro ruolo globale, cosa che produrrebbe probabilmente effetti destabilizzanti tali da ritorcersi contro gli stessi Stati Uniti in maniera inaccettabile. E che nessun presidente americano potrebbe mai sognarsi di affrontare.

 

In altre parole, io credo che chiunque sieda alla Casa Bianca non possa prescindere da determinati scenari obbligati oramai impressi negli equilibri globali, i quali ovviamente, per loro stessa natura, limitano la "creatività" e le velleità del presidente di turno: il quale, pur essendo l'uomo più potente del mondo si ritrova ad avere paradossalmente un range di scelte limitate.

E forse anche questo è un effetto collaterale del famoso check and balance.

 

Il tutto senza scomodare chissà quali forze oscure (della reazione in agguato si sarebbe detto in altri tempi :d), ma semplicemente per il ruolo stesso degli Usa nel contesto globale.

 

Insomma, non credo che esista un vero e proprio "deep state" che agisca come tale, ma che si tratti -parafrasando quel famoso concetto di "too big to fail"- di qualcosa di più simile ad un "too US to change".

 

Per fare un paragone, sarebbe come se io fossi nominato direttore d'orchestra della Scala e pretendessi di dirigere il concerto di Capodanno in camicia hawaiana ed infradito...

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Io credo che si tenda a sopravvalutare un po' il ruolo del cosiddetto "deep state" nelle scelte di politica estera di Trump: nel senso che, per un presidente americano è quasi impossibile discostarsi dalla "tradizione" e quindi da determinate scelte e decisioni, a meno di non voler fare abdicare gli Usa dal loro ruolo globale, cosa che produrrebbe probabilmente effetti destabilizzanti tali da ritorcersi contro gli stessi Stati Uniti in maniera inaccettabile. E che nessun presidente americano potrebbe mai sognarsi di affrontare.

È vero limitatamente a pochi punti fondamentali (controllo delle Americhe, predominio sugli oceani, legame con Europa e Israele, contenimento della Cina), ma non per quanto riguarda le strategie particolari.

 

A quel livello esistono sì le "tradizioni" (o scuole di pensiero, o ideologie), ma queste non sussistono di per sé stesse. Per operare devono permeare e inverarsi in istituzioni, organi e poteri concreti. Per questo non capisco la tiritera del "deep state" come se si trattasse di un mostro complottistico: gli apparati esistono e hanno influenza. Soprattutto in quanto nati specificamente a un livello federale, cioè molto più burocratico che politico.

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Non è che si sta rivelando, si sta solo appoggiando su una certa strategia. Prevedibile filtraggio da parte dell'apparato, che non poteva non esserci per un presidente così debole.

 

Certo che c'è riavvicinamento ma:

  1. bisognerà valutarne la reale entità,
  2. per me alcune delle conquiste di Obama nella riapertura all'Iran non potranno venire meno.

 

 

Il problema di Trump è molto più " semplice " da capire di quello che si vuol far credere ,

ed è uguale al problema che hanno tutti i presidenti USA ( ne abbiamo già discusso in passato e sembrava che eravamo venuti ad una conclusione comune ) .

 

Non puoi governare gli USA se hai tutti i Poteri Forti contro !! ( Pentagono , Wall Street , parte del Tuo partito-guerrafondaio , la CIA , Silicon Valley , i mass-media principali , la CNN , che , però , dal giorno dopo il bombardamento sull'aereoporto Siriano Lo ha osannato , sondaggi & sondaggisti tutti filo Governativi "Europeisti"( a secondo di come soffia il vento dello Status-Quo ) , tutti gli sponsor della fam. Clinton che fomentavano "i centri sociali" in manifestazioni di piazza al grido "Trump non è il mio presidente " , ecc. , ecc.

Fin da quando Trump ha fatto il suo ingresso alla Casa Bianca, non ha fatto altro che ricevere colpi su colpi dai media dei Neoconservatori sionisti, dal Congresso, dalle superbenpensanti " stelle " di Hollywood ed anche dai politici europei.

E Trump ha incassato tutti i colpi senza reagire. Non si è visto neanche una volta il suo famoso " sei licenziato!! " .

 

Ma ora Trump si è arreso e Ci ha traditi tutti quanti.

Trump è ora chiaramente a terra. Allo " Stato Profondo " ( o Poteri Forti ) ci sono volute solo alcune settimane per castrare Trump e costringerlo ad inchinarsi al vero potere.

In pratica Donald Trump ha governato dal 20 Gennaio al 6 Aprile 2017 ( giorno in cui annunciò di

essere " flessibile " bah )

 

https://youtu.be/lcEZbq_334c

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Papa: hanno chiamato 'madre' una bomba, mi sono vergognato

 

 

 

Risponde a ragazzi "Scuole per la pace", saluta ministro Fedeli

 

 

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"Mi sono vergognato del nome di una bomba, l'hanno chiamata 'la madre di tutte le bombe', ma guarda, la mamma dà la vita e questa dà la morte, e diciamo 'mamma' a quell'apparecchio, che cosa sta succedendo?". Così il Papa rispondendo ai ragazzi delle "Scuole della pace". "Quello che hai detto è vero - ha aggiunto - siamo in guerra, queste cose succedono, ma anche ci sono tante cose buone, nascoste, gente che spende la sua vita a servizio degli altri, dobbiamo denunciare queste cose brutte perché il mondo vada avanti per la strada che fanno vedere questa gente, che è nascosta in questo momento, ho risposto o vuoi qualcosa di più". Al termine dell'udienza il Papa ha salutato tra gli altri il ministro della Istruzione Valeria Fedeli, abbracciandola, e il sottosegretario all'Istruzione, Vito Di Filippo.

Papa Bergoglio rispondendo alle domande dei ragazzi delle "Scuole della pace" non ha specificato a quale bomba si riferisse ma sembra evidente che pensasse alla Moab, la bomba sganciata lo scorso 13 aprile dagli Stati Uniti in Afganistan.

ansa

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Premessa :

Lo avevamo già pre-annunciato l'anno scorso ( io in primis ) ,

.ehm

 

.giornale fonte : megachip.globalist

Tutto ciò che cerca di mettere un freno al massacro che in Siria procede da più di sei anni va accolto con favore, almeno con speranza.

 

Questo ovviamente vale anche per le "zone di de-escalation"

che sono state create

A) nella provincia di Idlib,

B) in parte delle province di Latakia,

Homs,

Hama

e Aleppo,

C) nell'area di Ghouta a Est di Damasco e al Sud,

D) nelle province di Daraa e Quneitra presso il confine con la Giordania.

 

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... In queste zone (che dovranno a breve essere definite con più precisione) è stato avviato un cessate il fuoco che dovrebbe durare sei mesi più altri sei.

Inoltre, in esse avranno accesso gli aiuti umanitari,

i civili saranno protetti e con loro le relative attività economiche, o quel che ne è rimasto.

 

L'aviazione siriana e quella russa, infine, hanno sospeso le loro incursioni.

Il tutto è frutto di un accordo stipulato tra Turchia, Russia e Iran nei colloqui di Astana

ma è rifiutato dai rappresentanti delle opposizioni armate a Bashar al-Assad,

che di colpo hanno rovesciato le proprie posizioni:

ora dicono che occorre difendere l'integrità territoriale della Siria e che qualunque tregua deve riguardare l'intero Paese.

 

Detto questo, non si può non riconoscere che il progetto delle "zone di de-escalation" somiglia molto a un progetto di spartizione della Siria in aree di influenza tra potenze straniere.

 

L'Iran :: mette un'ipoteca sul confine con il Libano e sui rapporti con Hezbollah.

La Russia :: fa altrettanto sulla direttrice Aleppo-Damasco, fondamentale per le sorti del Paese.

La Turchia di Recep Erdogan, :: che tanto aveva puntato sul crollo di Assad trasformandosi per anni nel centro di smistamento dei foreign fighters e dei traffici illeciti (petrolio, armi, antichità, rifornimenti , ecc. ),

limita i danni di una sconfitta evidente e si assicura un controllo sulle aree del Nord

popolate dai Curdi e una base per manovrare contro l'ipotesi che Raqqa, la capitale del Califfato, sia riconquistata dalle milizie dell'YPG, le Unità di Difesa del Popolo Curdo.

 

E questa di Iran-Russia-Turchia non è molto diversa da quella che da molti anni americani e inglesi immaginano per l'Iraq,

che dovrebbe essere spaccato in tre parti da destinare

a sciiti,

sunniti

e curdi.

Questi ultimi, peraltro, si sono portati avanti, minacciando con sempre maggiore convinzione un referendum per sancire il distacco del Kurdistan dal Governo centrale di Baghdad.

 

Questa porta a pensare due cose.

Una ormai evidente: Trump vuole immischiarsi il meno possibile nelle cose Siriane e sta più o meno traccheggiando, con qualche simbolica manifestazione di forza, in attesa che la Russia trovi una qualche soluzione a quel sanguinoso pasticcio.

Trump, inoltre, sta per recarsi in visita ufficiale di Stato (la prima della sua presidenza) in Arabia Saudita, dove potrebbe mettere una buona parola per tirare il freno ai jihadisti pagati dai petrolieri del Golfo.

 

La seconda è questa: non è che tra una telefonata e l'altra Trump e Putin si stanno mettendo d'accordo per spartire sia la Siria sia l'Iraq,

la prima a beneficio di Mosca e alleati, il secondo a beneficio di Washington e annessi e connessi?

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Iran al voto. Rohani a Teheran ha contro tutti. Ma parte favorito

 

 

Luca Geronico domenica 14 maggio 2017

Venerdì le prime presidenziali senza embargo. Il rilancio economico è il tema chiave

 

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«Le miniere devastate non possono vivere con le vuote promesse di Rohani», ha gridato sdraiato sulla fredda lamiera del cofano nero dell’auto presidenziale. Le urla del minatore di Zemestanyurt, a inizio mese, sono state una gelida ventata di protesta sulla delegazione del presidente
Hassan Rohani
in visita alle famiglie delle 42 vittime del tragico incidente avvenuto pochi giorni prima nel giacimento di carbone.

Gli stessi cori capaci di sovrastare la propaganda delle parate del primo maggio: sicurezza sociale per le classi meno abbienti, ritardo nei pagamenti, la copertura e la disoccupazione stagionale le richieste più frequenti. Spontanee o preparate ad arte, queste proteste sono il grido di battaglia di una campagna presidenziale più aspra del solito in
Iran
.

Rohani, dopo aver vinto al primo turno con una valanga di voti (50,71%) nel 2013 promettendo la fine delle sanzioni e una crescita da tigre asiatica grazie all’
, si trova ora a chiedere
venerdì prossimo
la fiducia per un secondo mandato con il classico bicchiere mezzo vuoto: «Tutti i risultati positivi dell’accordo nucleare e del superamento delle sanzioni sono stati oscurati dal calo del prezzo del petrolio», spiega
l’economista Saeed Laylaz
. Di slancio, subito dopo la firma dell’accordo nucleare nel 2015, l’inflazione è scesa a indici a una sola cifra e il Pil è cresciuto del 7,4 per cento. Ma la ripresa delle esportazioni iraniane è stata quasi vanificata dal tonfo del prezzo del barile di greggio da 104 a 44 dollari insabbiando le aspettative di balzo nel benessere: l’anno scorso la disoccupazione è tornata a crescere di oltre un punto percentuale (12,4% ). Un ragazzo su tre nella fascia fra i 15 e i 24 anni è disoccupato, tutte le donne in questa fascia di età. Ma, oltre alle risacche dell’economia, sono le minacce di fare a pezzi l’accordo sul nucleare del nuovo presidente Usa Donald Trump, a creare incertezza. «Prima il mercato immobiliare era bloccato perché si aspettava il calo dei prezzi con la fine delle sanzioni, ora è bloccato per la paura di cosa accadrà dopo le elezioni», spiega Ali Saeedi. In questo stallo molti agenti immobiliari come Ali hanno perso il loro lavoro.

 

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Disoccupazione e crescita, prima emergenza anche in Iran. Rohani ha dichiarato di voler attrarre investimenti stranieri per 140 miliardi di dollari per modernizzare, dopo decenni di isolamento, industria petrolifera e infrastrutture, mentre con la fine quasi totale delle sanzioni 15 miliardi di dollari andran- no agli investimenti e da 3 a 5 miliardi ai sussidi per gli indigenti. Una ricetta poco entusiasmante e contro cui l’opposizione conservatrice ha aperto un violento tiro al bersaglio. «Un albero dal quale non è nato alcun frutto in 4 anni, non produrrà nulla di più positivo per il futuro», ha sentenziato Mohammed Baqer Qalibaf.

Il popolare sindaco di
Teheran
, candidato conservatore, ha promesso 5 milioni di posti di lavoro in 4 anni e per i disoccupati un sussidio mensile pari a 66 dollari: sarebbe la prima volta in 38 anni di rivoluzione islamica. Ebrahim Raisi, membro del clero e rettore del santuario di Mashhad ha addirittura promesso 6 milioni di posti di lavoro e di triplicare i fondi di assistenza sociale. Una sorta di asta delle promesse, che a molti ricorda il programma di sovvenzioni e prestiti agevolati che, dopo i due mandati di
Mahmoud Ahmadinejad
, portarono a una recessione del 7% e a una inflazione del 40%. Così su un quotidiano iraniano 141 economisti hanno messo in guardia contro le promesse «inapplicabili» che potrebbero causare di nuovo una grave inflazione, aumentare il potere del dollaro e causare instabilità economica e danneggiare i più deboli. L’invito a perseverare sulla strada aperta nel 2015 non ha convinto la Guida suprema
Ali Khamenei
che non ha nascosto il suo appoggio ai conservatori intransigenti invitando i candidati a «non completare i piani rimasti a metà dal nemico». Un segnale chiaro, come la pure lo è la mobilitazione delle potentissime Guardie della rivoluzione e del resto dell’apparato per far fallire l’accordo sul nucleare.

Un Rohani “dimezzato”, contro un fronte conservatore agguerrito a parole, ma frastagliato. Così i pochi
sondaggi
disponibili danno
Rohani in testa (27%), ma costretto al ballottaggio con Qalibaf e Raisi
praticamente appaiati al 9% che al secondo turno potrebbero fare blocco per sconfiggerlo. Gli indecisi, fra i
56 milioni di elettori
, sono stimati nel 52%. Per questo il fronte riformista ha già annunciato, con i suoi leader Hossein Musavi e Mehki Karoubi agli arresti domiciliari dal 2009, di appoggiare Rohani. È il «male minore» mentre le elezioni locali dei sindaci potrebbero rappresentare un test della tenuta reale dei riformisti. E a loro guarda certo Rohani: «La gente dirà ancora una volta no a chi sapeva solo imprigionare e fare esecuzioni», ha tuonato pochi giorni fa con chiaro riferimento al passato da procuratore generale di Raisi. «L’attuale governo – ha aggiunto Rohani – intende connettere il Paese al mondo». Un messaggio anche per Trump.

 

Avvenire

 

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Dal profilo ufficiale in lingua araba del "digital outreach team" del dipartimento di stato.

 

"Il presidente Trump in Arabia Saudita inviterà i nostri partner arabi e musulmani ad affrontare l'Iran, il regime di Assad, l'Isis, Al Qaeda e tutti quelli che diffondono violenza e caos nel mondo".

 

 

Direi che ormai ci sono ben pochi dubbi, in materia di Medio Oriente Trump ha scelto una linea da repubblicano "doc".

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Intanto Re Abdallah di Giordania riceve Joseph Votel, capo del Central Comand (il comando militare americano responsabile di Medio Oriente, Africa e Asia centrale) e Danilo Errico, capo di stato maggiore dell'esercito italiano!

 

http://www.petra.gov.jo/Public_News/Nws_NewsDetails.aspx?lang=2&site_id=1&NewsID=302022&Type=P

 

Ultimamente c'è molto movimento a livello militare in Giordania, si parla di una presenza massiccia di soldati al confine con la Siria, tra cui si segnalano anche molti americani. Ufficialmente sono "esercitazioni", ma qualche dubbio effettivamente viene. Molti analisti parlano di una richiesta esplicita di Re Abdallah a Trump, avvenuta nel corso della sua visita a Washington. Il Re avrebbe rivelato a Trump le sue preoccupazioni per la presenza di milizie iraniane e unità di "guardiani della rivoluzione" di Teheran a poche decine di km dal confine giordano. Il Re Abdallah fu uno dei primi, nel lontano 2004 dopo la caduta del regime iracheno, a parlare del rischio di dominio politico e religioso iraniano sul Levante, coniando di fatto il termine "Shia Crescent" per indicare la regione sulla quale l'Iran ambisce ad avere un controllo diretto.

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Articolo di un mesetto fa.

 

I sauditi e gli alleati del Golfo, l’Iran, e l’America di Trump

Il parziale ritorno dell’Iran sulla scena internazionale sta condizionando, forse più del previsto, anche i rivali di sempre di Teheran: i Paesi che compongono il Consiglio di Cooperazione del Golfo (l’organizzazione che riunisce i sei stati arabi della sponda meridionale del Golfo Persico). Lo dimostra, di recente, il viaggio del Ministro degli esteri kuwaitiano Sabah Khalid Al Sabah a Teheran lo scorso gennaio, e la successiva missione del presidente iraniano Hassan Rohani in Kuwait e Oman in febbraio.

 

Si tratta di un’evoluzione che allarma l’Arabia Saudita e soprattutto gli Emirati Arabi Uniti, di fatto i veri dominus del Consiglio: secondo loro, questi incontri sono delle vere e proprie defezioni. La riunione del 30 marzo scorso dei ministri degli Esteri del Consiglio, che avrebbe dovuto prevedere la discussione di una nuova strategia di contatto con Teheran, si è conclusa con un nulla di fatto. Il rappresentante del Kuwait è intervenuto parlando del recente viaggio in Iran, incassando tuttavia la più netta chiusura da parte dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. Questi hanno invece messo a verbale l’invito all’Iran a conformarsi alle regole dettate dalle Nazioni Unite, soprattutto per quanto concerne il buon vicinato e la non intromissione negli affari degli stati terzi – un riferimento a presunte azioni iraniane atte a sobillare le minoranze sciite in Bahrain e in Arabia Saudita.

 

[…]

 

Il viaggio di Mohammed bin Salman negli USA, e il dibattito pre-elettorale in Iran

L’avvio della presidenza Trump, con la promessa di abbandonare la prudente “dottrina Obama” che aveva riportato l’Iran sul palcoscenico internazionale, ha rassicurato in particolar modo i sauditi. La roboante retorica di Trump sull’Iran, tuttavia, non ha prodotto finora alcun risultato tangibile per Riyad, che vorrebbe da Washington soprattutto un rafforzamento del piano sanzionatorio.

L’Arabia Saudita ha anche registrato una certa freddezza degli Stati Uniti nei confronti della Vision 2030, l’ambizioso piano di riforme per rinnovare l’economia e ridurre la dipendenza dal petrolio. Il sovrano ha deciso di andare a cercare finanziatori in Asia – con un lungo viaggio di circa un mese – data la freddezza dei mercati occidentali sulla sua strategia di indipendenza energetica.

 

Il figlio del sovrano saudita, Mohammed bin Salman, ha invece intrapreso un viaggio negli Stati Uniti alla metà di marzo, incontrando Donald Trump e cercando di dare grande risalto mediatico alla visita. L’obiettivo della missione a Washington è stato quello di ri-definire posizioni comuni contro l’Iran: queste si sono tuttavia limitate, a livello ufficiale, al congiunto riconoscimento di Teheran quale “minaccia regionale alla sicurezza”. Il risultato del viaggio è stato insomma limitato a una mera presa di contatto.

 

In Iran, al tempo stesso, la politica torna nel pieno della sua attività per le elezioni presidenziali del prossimo giugno, dopo oltre tre settimane di sospensione per le celebrazioni del nuovo anno. Paradossalmente, gli Stati Uniti e Trump trovano solo uno spazio marginale nelle prime battute della campagna, perlopiù concentrata nel commentare in modo tutto sommato modesto la recente azione militare americana contro la Siria.

 

L’élite politica iraniana, sia in ambito conservatore che in quello della maggioranza pragmatica, non prevede un vero peggioramento nel rapporto con gli USA e considera Trump un attore politico squisitamente razionale, non interessato quindi ad innescare la pericolosa miccia dell’escalation con l’Iran in Medio Oriente. Più di un esponente politico considera anzi il presidente degli Stati Uniti una risorsa per disinnescare i non pochi problemi nell’esecuzione degli accordi sul nucleare: interessato sì a rivedere il patto con l’Iran, ma con l’obiettivo di diminuire i vantaggi commerciali dell’Europa piuttosto che punire Teheran.

 

Proprio su quest’ultimo punto si concentra l’interesse non solo della politica iraniana ma, di fatto, dell’intera comunità internazionale, che attende con una certa impazienza il rinnovo della sospensione delle sanzioni all’Iran da parte del presidente degli Stati Uniti, da esercitarsi necessariamente entro la scadenza del prossimo maggio. Sarà quest’atto, più di ogni altro, ad indicare con chiarezza l’indirizzo della politica americana verso l’Iran nei prossimi anni.

(aspeniainstitute.it)

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Intanto Re Abdallah di Giordania riceve Joseph Votel, capo del Central Comand (il comando militare americano responsabile di Medio Oriente, Africa e Asia centrale) e Danilo Errico, capo di stato maggiore dell'esercito italiano!

 

http://www.petra.gov.jo/Public_News/Nws_NewsDetails.aspx?lang=2&site_id=1&NewsID=302022&Type=P

 

Ultimamente c'è molto movimento a livello militare in Giordania, si parla di una presenza massiccia di soldati al confine con la Siria, tra cui si segnalano anche molti americani. Ufficialmente sono "esercitazioni", ma qualche dubbio effettivamente viene. Molti analisti parlano di una richiesta esplicita di Re Abdallah a Trump, avvenuta nel corso della sua visita a Washington. Il Re avrebbe rivelato a Trump le sue preoccupazioni per la presenza di milizie iraniane e unità di "guardiani della rivoluzione" di Teheran a poche decine di km dal confine giordano. Il Re Abdallah fu uno dei primi, nel lontano 2004 dopo la caduta del regime iracheno, a parlare del rischio di dominio politico e religioso iraniano sul Levante, coniando di fatto il termine "Shia Crescent" per indicare la regione sulla quale l'Iran ambisce ad avere un controllo diretto.

 

Pare stia avvenendo un riposizionamento delle unità Hezbollah, dal fronte caldo di Aleppo, dove non sono più necessarie, verso sud, con l'intento di predisporre una seconda base d'appoggio da cui colpire Israele dal lato siriano del Golan, oltre a quella classica, nel Libano meridionale tra l'alta Galilea e il Litani.

L'idea a quanto pare, sarebbe quella di predisporre nuovi siti di lancio con traiettorie diverse nord-est>sud-ovest oltre a quelle solite nord>sud, in modo da saturare il sistema antimissile Iron Dome, così che almeno qualche ordigno riesca a passare.

È chiaro che trasformare la zona del Golan in un fronte caldo, dopo decenni di stasi sostanziale, avrebbe ripercussioni indirette anche sulla Giordania: profughi, sconfinamenti, caduta di ordigni fuori controllo, intrusioni nello spazio aereo...

Anche per questo l'aeronautica israeliana continua a martellare, senza dare troppo risalto alla cosa, il sud della Siria per eliminare traffici d'armi tra Hezbollah, Pasdaran e Assadiani, convogli e punti d'appoggio (si parla di almeno un centinaio di incursioni mirate negli ultimi due anni)

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Teheran. L'Iran si conferma moderato. Rohani eletto presidente per la seconda volta

 

 

Luca Geronico venerdì 19 maggio 2017

L'ufficializzazione definitiva dei risultati verrà data alle ore 14 locali (ore 10 italiane). Il rilancio economico è il tema chiave

 

 

 

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Hassan Rohani è stato eletto per la seconda volta al primo turno presidente dell'Iran. Lo ha annunciato il ministero dell'Interno di Teheran. Il ministero ha comunicato che l'ufficializzazione definitiva dei risultati verrà data alle ore 14 locali (ore 10 italiane). Secondo i primi dati forniti dal ministero, Rohani ha ottenuto 14.619.848 preferenze su 25.966.729 elettori, pari al 56,3%. Il suo avversario, il conservatore Ebrahim Raisi, ha invece ottenuto 10.125.855 preferenze, attestandosi al 38,99%. L'altro candidato conservatore, Mostafa Mirsalim, ha ottenuto 297.276 preferenze (1,14%), mentre l'altro candidato riformista Mostafa Haschemi Taba, che aveva invitato i suoi sostenitori a votare Rohani, ha avuto 139.331 voti (0,53%).

 

 

«Le miniere devastate non possono vivere con le vuote promesse di Rohani», ha gridato sdraiato sulla fredda lamiera del cofano nero dell’auto presidenziale. Le urla del minatore di Zemestanyurt, a inizio mese, sono state una gelida ventata di protesta sulla delegazione del presidente
Hassan Rohani
in visita alle famiglie delle 42 vittime del tragico incidente avvenuto pochi giorni prima nel giacimento di carbone.

Gli stessi cori capaci di sovrastare la propaganda delle parate del primo maggio: sicurezza sociale per le classi meno abbienti, ritardo nei pagamenti, la copertura e la disoccupazione stagionale le richieste più frequenti. Spontanee o preparate ad arte, queste proteste sono il grido di battaglia di una campagna presidenziale più aspra del solito in
Iran
.

Rohani, dopo aver vinto al primo turno con una valanga di voti (50,71%) nel 2013
promettendo la fine delle sanzioni e una crescita da tigre asiatica grazie all’
,
si trova ora oggi a chiedere la fiducia per un secondo mandato
con il classico bicchiere mezzo vuoto: «Tutti i risultati positivi dell’accordo nucleare e del superamento delle sanzioni sono stati oscurati dal calo del prezzo del petrolio», spiega
l’economista Saeed Laylaz
. Di slancio, subito dopo la firma dell’accordo nucleare nel 2015, l’inflazione è scesa a indici a una sola cifra e il Pil è cresciuto del 7,4 per cento. Ma la ripresa delle esportazioni iraniane è stata quasi vanificata dal
tonfo del prezzo del barile di greggio
da 104 a 44 dollari insabbiando le aspettative di balzo nel benessere: l’anno scorso
la disoccupazione è tornata a crescere
di oltre un punto percentuale (12,4% ). Un ragazzo su tre nella fascia fra i 15 e i 24 anni è disoccupato, tutte le donne in questa fascia di età. Ma, oltre alle risacche dell’economia, sono le
minacce di fare a pezzi l’accordo sul nucleare del nuovo presidente Usa Donald Trump
, a creare incertezza. «Prima il mercato immobiliare era bloccato perché si aspettava il calo dei prezzi con la fine delle sanzioni, ora è bloccato per la paura di cosa accadrà dopo le elezioni», spiega Ali Saeedi. In questo stallo molti agenti immobiliari come Ali hanno perso il loro lavoro.

 

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Disoccupazione e crescita, prima emergenza anche in Iran.
Rohani ha dichiarato di voler attrarre investimenti stranieri per 140 miliardi di dollari
per modernizzare, dopo decenni di isolamento, industria petrolifera e infrastrutture, mentre con la fine quasi totale delle sanzioni 15 miliardi di dollari andranno agli investimenti e da 3 a 5 miliardi ai sussidi per gli indigenti. Una ricetta poco entusiasmante e contro cui l’opposizione conservatrice ha aperto un violento tiro al bersaglio. «Un albero dal quale non è nato alcun frutto in 4 anni, non produrrà nulla di più positivo per il futuro», ha sentenziato
Mohammed Baqer Qalibaf. Il popolare sindaco di Teheran
, candidato conservatore, ha promesso 5 milioni di posti di lavoro in 4 anni e per i disoccupati un sussidio mensile pari a 66 dollari: sarebbe la prima volta in 38 anni di rivoluzione islamica.

Ebrahim Raisi, membro del clero e rettore del santuario di Mashhad
ha addirittura promesso 6 milioni di posti di lavoro e di triplicare i fondi di assistenza sociale. Una sorta di asta delle promesse, che a molti ricorda il programma di sovvenzioni e prestiti agevolati che, dopo i due mandati di
Mahmoud Ahmadinejad
, portarono a una recessione del 7% e a una inflazione del 40%. Così su un quotidiano iraniano 141 economisti hanno messo in guardia contro le promesse «inapplicabili» che potrebbero causare di nuovo una grave inflazione, aumentare il potere del dollaro e causare instabilità economica e danneggiare i più deboli.

L’invito a perseverare sulla strada aperta nel 2015 non ha convinto
la Guida suprema Ali Khamenei
che
non ha nascosto il suo appoggio ai conservatori intransigenti
invitando i candidati a «non completare i piani rimasti a metà dal nemico». Un segnale chiaro, come la pure lo è la mobilitazione delle potentissime Guardie della rivoluzione e del resto dell’apparato per far fallire l’accordo sul nucleare.

Un Rohani “dimezzato”, contro un fronte conservatore agguerrito a parole, ma frastagliato. Così i pochi
sondaggi
disponibili danno
Rohani in testa (27%), ma costretto al ballottaggio con Qalibaf e Raisi
praticamente appaiati al 9% che al secondo turno potrebbero fare blocco per sconfiggerlo. Gli indecisi, fra i
56 milioni di elettori
, sono stimati nel 52%. Per questo il fronte riformista ha già annunciato, con i suoi leader Hossein Musavi e Mehki Karoubi agli arresti domiciliari dal 2009, di appoggiare Rohani. È il «male minore» mentre le elezioni locali dei sindaci potrebbero rappresentare un test della tenuta reale dei riformisti. E a loro guarda certo Rohani: «La gente dirà ancora una volta no a chi sapeva solo imprigionare e fare esecuzioni», ha tuonato alcuni giorni fa con chiaro riferimento al passato da procuratore generale di Raisi. «L’attuale governo – ha aggiunto Rohani – intende connettere il Paese al mondo». Un messaggio anche per Trump.

Avvenire

 

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Iran. Hassan Rohani, il moderato che deve imparare a «graffiare»

 

 

Camille Eid sabato 20 maggio 2017

Nel primo quadriennio ha incassato l'accordo per il nucleare, ma i frutti non si sono ancora concretizzati economicamente. Ora il confronto sarà con l'ayatollah Khamenei

 

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Alla fine Hassan Rohani è stato rieletto per un secondo mandato, come tutti i presidenti che l’hanno preceduto nella storia della Repubblica islamica. A fianco di lui si erano schierati - oltre che la maggioranza degli iraniani - anche tutti i leader del fronte riformista. Da quelli in libertà, come Mohammad Khatami (“Rohani è il nostro candidato”, aveva scritto l’ex presidente sul suo sito), a quelli agli arresti domiciliari, come Mehdi Karrubi e Mir Hossein Mussavi, che avevano guidato il movimento di protesta contro Mahmud Ahmadinejad, al suo proprio vice Eshaq Jahangiri che si era ritirato dalla corsa per evitare di disperdere il voto moderato. Il voto di ieri, che rappresentava una sorta di referendum sull’operato di Rohani negli ultimi quattro anni, ha dato un esito positivo. Ciò non toglie che il primo mandato presenti luci e ombre. Il punto positivo messo a segno da
Rohani è quello di aver fatto uscire l’Iran dall’isolamento internazionale
grazie al raggiungimento, nel luglio 2015, di un accordo sul nucleare, che prevedeva una riduzione del programma iraniano in cambio della fine delle sanzioni internazionali. Tra gli aspetti negativi, invece, la situazione delle libertà individuali e dei diritti umani, che Rohani aveva promesso di promuovere. Repressione e censura sono, infatti, ancora all’ordine del giorno. Decine di attivisti, giornalisti, blogger e artisti sono in carcere per motivi
politici, mentre nei quattro anni del suo mandato sono state circa 3.000 le esecuzioni capitali,
il numero più alto mai registrato in 25 anni.

Il dossier nucleare

 

I sostenitori di Rohani affermano che la
priorità del governo era il dossier nucleare,
facendo intendere che convincere la Guida suprema Khamenei ad accettare cambiamenti a livello sociale si è rivelato un compito molto difficile. Senza dimenticare che le possibilità di manovra all’interno del sistema iraniano sono ridotte per un presidente della Repubblica, con molti poteri che sfuggono totalmente al suo controllo, come quello giudiziario e i servizi di sicurezza, dominati dalle fila più conservatrici del regime e dai Guardiani della rivoluzione. Da parte sua, Khamenei non ha perso nelle ultime settimane occasione per criticare l’operato di Rohani, «lontano dalle aspettative della popolazione e di me stesso». Due settimane fa, ha addirittura accusato l’esecutivo di Rohani di aver accettato il piano Educazione 2030 proposto dall’Unesco che intende introdurre in Iran «lo stile di vita occidentale deficiente, corrotto e distruttivo».

Ma è il tanto decantato accordo sul nucleare a rappresentare, paradossalmente, uno dei principali punti
oggetto di critica a Rohani da parte di molti iraniani
. Non solo dei conservatori che l’hanno accusato di aver svenduto il Paese, ma anche di alcuni riformisti, secondo i quali l’accordo non ha sortito i risultati che si aspettavano sotto l’aspetto economico. Infatti, le sanzioni poste dalle grandi banche internazionali sugli investimenti in Iran non sono state recovate. Così, e nonostante alcuni progressi economici, il Paese stenta a uscire dalla recessione e dall’aumento del tasso di disoccupazione.
Rohani si difende affermando di aver ridotto, in quattro anni, l’inflazione da oltre il 40 per cento a meno del 10 per cento
,ma ora deve impegnarsi maggiormente su questo fronte.

Il maggiore pericolo in agguato si profila tuttavia dietro il temuto cambio di rotta nei confronti dell’Iran da parte della nuova amministrazione Usa.
Il presidente Trump è oggi in Arabia Saudita
e le autorità di Riad hanno convocato per lui un vertice panislamico al quale non è stato invitato l’Iran. Ogni decisione ostile all’Iran o una revisione dell’accordo nucleare non potrà che mettere i bastoni tra le ruote di un secondo mandato non ancora iniziato, rafforzando la posizione di chi cerca lo scontro.

 

Avvenire

 

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La rielezione di Rohani è un fatto in sé positivo, visto che dopo quattro anni è un "diavolo" conosciuto e comunque rappresenta l'ala pragmatica e meno conservatrice (diciamo riformista) dello schieramento politico-religioso iraniano.

Se fosse solo per lui quindi, per questa sua rielezione si potrebbe brindare a champagne (o a succo di mela, visto che l'alcool da quelle parti è vietato).

 

Il fatto è che la situazione è leggermente più complessa.

Rohani di fatto rappresenta solo il suo governo, ma gli sfuggono parti importanti del complicato sistema di potere iraniano: in particolare non ha alcun controllo sui Guardiani della Rivoluzione (pasdaran) che di fatto rappresentano un vero e proprio contropotere con tentacoli estesi in ogni settore sensibile della società iraniana, apparati di sicurezza compresi. Nella loro autonomia i Guardiani della Rivoluzione rispondono unicamente alla Guida suprema, l'ayatollah Khamenei, che a differenza di Rohani è rigidamente conservatore.

Un altro apparato su cui Rohani non ha alcun controllo, è il Consiglio degli esperti, che è un'assemblea religiosa elettiva, che ha il compito di nominare la Guida suprema, in pratica quello che sarà il successore di Khamenei una volta che quest'ultimo sarà passato a miglior vita. Il problema è che questo Consiglio degli esperti è stato rinnovato circa un anno fa ed alla sua guida è salito un religioso ultraconservatore, l'ayatollah Ahmad Jannati, che probabilmente è ancora più radicale di Khamenei.

Per parte sua l'ottantenne Khamenei si trova, a quanto pare, in precarie condizioni di salute tanto che erano circolate voci di una sua prossima dipartita ed è quindi possibile che nei prossimi quattro anni del mandato di Rohani, il Consiglio degli esperti venga chiamato a scegliere il successore di Khamenei: visto però l'orientamento conservatore assunto da questo organismo con la presidenza di Jannati (che comunque ha 90 anni e neppure lui è eterno) è plausibile che anche la futura Guida suprema sarà di impronta rigidamente radicale, almeno eguale a quella di Khamenei.

 

Per questo motivo, quindi, per i prossimi quattro anni Rohani si troverà a doversi scontrare in ogni caso con il conservatorismo della Guida suprema (sia essa Khamenei, sia il suo eventuale successore), replicando anche nel suo secondo mandato il duello riformisti/radicali che ha contrassegnato i quattro anni del suo primo mandato.

 

Difficile quindi che qualcosa possa cambiare a breve sotto il cielo di Teheran.

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