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ad minchiam

Quanto costa intralciare i piani di Tronchetti & co.? A noi un paio di scudetti, a qualcuno la vita. Chi era Adamo Bove (nome sconosciuto ai più)

Post in rilievo

Premessa: questo è uno stralcio di un'intervista rilasciata a "Il Tirreno" il 16 agosto 2006 da Enzo Biagi

 

"Una sentenza pazzesca, e non perchè il calcio sia un ambiente pulito. Una sentenza pazzesca perché costruita sul nulla, su intercettazioni difficilmente interpretabili e non proponibili in un procedimento degno di tal nome, una sentenza pazzesca perchè punisce chi era colpevole solo di vivere in un certo ambiente, il tutto condito da un processo che era una riedizione della Santa Inquisizione in chiave moderna. E mi chiedo: cui prodest? A chi giova il tutto? Perchè tutto è uscito fuori in un determinato momento? Proprio quando, tra Laziogate di Storace, la lista nera di Telecom, poi Calciopoli, poi l'ex Re d'Italia ed ora, ultimo ma non ultimo, la compagnia telefonica Vodafone che ha denunciato Telecom per aver messo sotto controllo i suoi clienti. Vuoi vedere che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche hanno individuato in Luciano Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino?"

 

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Veniamo al dunque: chi era Adamo Bove? Per capirlo partiamo dall'epilogo, dalla sua morte avvenuta il 21 Luglio 2006

 

Si suicida Bove, dirigente Telecom.

Era indagato per spionaggio a Napoli, si è gettato da un cavalcavia. 42 anni, guidava la sezione della sicurezza del gruppo. Aveva lavorato nella Digos. La procura indaga per "istigazione al suicidio"

 

NAPOLI - Si è suicidato Adamo Bove, 42 anni, ex poliziotto e responsabile della security governance di Telecom Italia. Intorno alle ore 12, il dirigente ha parcheggiato l'auto a lato della strada e si è gettato dal cavalcavia di via Cilea, nel quartiere del Vomero, a Napoli. Dopo un volo di una ventina di metri, si è schiantando su una carreggiata della tangenziale ed è morto sul colpo.

 

Da quanto si è appreso, il dirigente era indagato per violazione della privacy per aver "spiato" alcune persone attraverso una rete informatica e, secondo alcune indiscrezioni, il suo nome sarebbe anche emerso nel corso degli accertamenti legati all'inchiesta romana sul "Laziogate".

 

Secondo i familiari, Bove non avrebbe mai manifestato intenti suicidi. Non sono nemmeno stati trovati messaggi scritti lasciati ai parenti o agli amici. Gli investigatori hanno tuttavia rivelato che, per alcuni membri della famiglia, ultimamente appariva preoccupato di essere coinvolto in delicate vicende giudiziarie.

 

Gli inquirenti hanno aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. "E' una prassi in questi casi" ha spiegato una fonte interna alla procura. In ambienti giudiziari si sottolinea però che questa iniziativa sarebbe stata presa anche perché il nome di Bove sarebbe spuntato nel corso di accertamenti collegati ad inchieste giudiziarie relative allo spionaggio.

 

Quarantadue anni, laureato in Giurisprudenza all'universita La Sapienza di Roma, Adamo Bove svolgeva la funzione di responsabile della Funzione Security governance, nell'ambito dell'Unità di servizio security del gruppo Telecom.

Dal 1995 al 1998 aveva svolto la sua carriera nelle forze dell'ordine, ricoprendo il ruolo di commissario capo nella polizia. Dal novembre del 1998 fino a febbraio del 2000 aveva lavorato nella direzione generale di Telecom Italia, con incarichi di Security management a livello nazionale. Dopo la fusione Tim-Telecom, nell'autunno del 2005, era diventato responsabile della Security governance, nell'ambito dell'Unità di servizio security, occupandosi principalmente degli aspetti legati alla protezione civile e dell'antifrode.

 

Bove lavorava nello stesso settore dell'azienda del quale è stato a lungo responsabile Giuliano Tavaroli, il cui nome è emerso più volte negli accertamenti della procura di Milano nell'inchiesta sulle intercettazioni telefoniche non autorizzate. Tali accertamenti, tra l'altro, si sono spesso incrociati con quelli relativi al caso Abu Omar. Tavaroli è stato legato da lunga amicizia con Marco Mancini, uno degli 007 del Sismi indagati per il sequestro dell'ex imam di Milano rapito dalla Cia.

 

da Repubblica.it (22 Luglio 2006)

 

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P.S.: è difficile reperire in rete materiale su questa vicenda. Il sito di Repubblica è l'unico che conserva (o forse il solo ad aver scritto) una lunga serie di articoli sulla morte di Bove (ad eccezione di quello appena riportato, sono tutti contenuti nel secondo post).

 

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Piuttosto che postare i vari articoli in ordine cronologico, preferisco sottoporre alla vostra attenzione, subito dopo la dovuta premessa, quelli più interessanti:

 

Il segreto di Adamo Bove

di Paolo Biondani(*) (19 dicembre 2007)

 

Poco prima di morire, Adamo Bove aveva registrato di nascosto una conversazione esplosiva. Un suo colloquio riservatissimo con un dirigente del gruppo Pirelli-Telecom. Non uno qualsiasi: il suo superiore diretto. In teoria quell'audio era sotto sequestro fin dal 21 luglio 2006, il giorno in cui il dirigente Tim precipitò da un viadotto, a Napoli, in un apparente suicidio con troppi misteri. In pratica è stato scoperto e ascoltato per la prima volta, stranamente, solo poche settimane fa. Ora quella conversazione è stata trascritta per la Procura di Napoli, che indaga per 'istigazione al suicidio'. Per i familiari di Bove, "è la prova definitiva che la morte di Adamo è stata provocata da una campagna di calunnie orchestrata dai vertici aziendali".

 

La registrazione risale al maggio 2006. Bove ha ancora due mesi di vita. Dal 1999 lavora alla Tim, ma non ha mai smesso... di sentirsi un poliziotto. E quel giorno capisce che deve riutilizzare le tecniche imparate in dieci anni d'indagini contro la camorra. La tempesta giudiziaria che sta per abbattersi su Pirelli-Telecom è già nell'aria. Un anno prima, il 3 maggio 2005, i pm di Milano hanno perquisito Giuliano Tavaroli, il dominus della divisione sicurezza. Sulla carta Tavaroli si è dimesso. In realtà si è solo autosospeso e continua a comandare, mantenendo lo stipendio di manager Pirelli in Romania e perfino di 'consulente strategico antiterrorismo'. Già indagato, ma ancora raccomandato, secondo la sua stessa azienda, da Gianni Letta, braccio destro di Berlusconi al governo.

 

In quel maggio 2006, dopo la fusione tra Tim e Telecom, il nuovo capo della security, almeno formalmente, è Gustavo Bracco. È con lui che Bove deve parlare. Da giorni il superiore gli chiede se è vero che la Procura di Milano ha trasmesso a Tim una richiesta top secret. Il colloquio sembra un interrogatorio di terzo grado. Bracco vuole sapere a chi appartengono i quattro cellulari che la Digos ha chiesto a Bove di controllare. L'ex poliziotto si rifiuta di rivelarlo. Bracco insiste. Bove ha in tasca un registratore digitale, grande come un evidenziatore. Gli basta muovere un tasto per incidere.

 

Quei quattro telefonini sono la pietra miliare dello scandalo Sismi-Telecom. Tre appartengono ai primi 007 italiani che ora si ritrovano imputati del sequestro di Abu Omar, l'imam rapito a Milano nel 2003 da un commando della Cia. Il più potente è Marco Mancini, il capodivisione del Sismi che verrà arrestato il 5 luglio 2006, incastrato proprio da quelle intercettazioni. Il quarto cellulare è intestato alla Pirelli. È il telefonino di Tiziano Casali, da anni capo della scorta di Marco Tronchetti Provera. Bove è l'unico, in tutto il gruppo, a conoscere questo segreto. La Digos è diretta da un suo amico ed ex collega, che glielo ha chiesto espressamente: "Devi scoprire chi usa questi cellulari, ma devi essere l'unico a saperlo".

 

Quando accende il registratore, Bove si sente stretto tra l'incudine e il martello. Dal 25 novembre 2005, con la 'disposizione numero 11', Tronchetti in persona gli ha tolto l'incarico di rispondere alle richieste della magistratura, creando un apposito Servizio per l'autorità giudiziaria (Sag). E dal 10 febbraio 2006 l'amministratore Carlo Buora ha affidato tutta la security a Bracco, lasciandogli solo i controlli anti-frode. Contro le frequenti truffe telefoniche, Telecom usa da anni un sistema chiamato Radar, preesistente all'arrivo di Bove. Quel vecchio software consente, tra l'altro, di identificare gli utenti dei telefonini. Ed è proprio usando Radar che Bove riesce a rispondere in 24 ore alle richieste firmate dai pm Spataro e Pomarici. Senza avvertire nessuno. Tantomeno i manager targati Pirelli. Anche se la gerarchia aziendale gli avrebbe imposto di passare tutto al Sag. Per questo il suo colloquio con il capo è una resa dei conti.

 

Mentre Bove lo registra, Bracco chiede quale magistrato abbia chiesto quei tabulati telefonici. Il dipendente risponde con una mezza verità: parla di "pm che indagano sul terrorismo islamico", senza citare mai il Sismi. Il capo vuole sapere almeno il nome del dipendente Pirelli. Ma Bove rispetta il segreto giudiziario. "Non posso dirlo". Bracco preme. Bove sa di rischiare il licenziamento. Deve dimostrare di non aver aggirato i superiori, ma non vuole tradire la polizia. Per cui offre a Bracco un altro bicchiere mezzo vuoto: "Dico solo che non è un top manager. Non mi chieda di più, altrimenti finiamo entrambi nei guai".

 

Fino a quel giorno, Bove si sentiva sicuro di vincere il duro scontro interno con Fabio Ghioni, il capo della squadra informatica. I due, in azienda, erano nemici giurati. Bove accusava apertamente Ghioni di essere "privo di ogni senso etico e di legalità". Ma proprio in maggio succede l'imprevedibile. Il Garante accusa Telecom di spiare i tabulati con accessi informatici anonimi. L'azienda risponde con un'indagine interna (audit): a guidarla è Ghioni. Che il 7 giugno consegna il risultato: tutta colpa di Radar. Lo stesso giorno Ghioni soffia il nome di Bove ad almeno due giornali. E al Sismi. Bove si sente mancare la terra sotto i piedi. Suo padre Vincenzo, in una lettera a Telecom, accusa: "Mio figlio è stato isolato e condannato da quegli stessi dirigenti, espressi dalla gestione Tronchetti al pari di Tavaroli, che hanno affidato l'audit a uno come Ghioni".

 

Cosa sia successo a Bove tra il 7 giugno e il 21 luglio, nessuno può dirlo, anche perché una misteriosa manina è riuscita a strappare proprio quelle pagine dalla sua agenda-diario, che pure era sotto sequestro. Negli stessi giorni il Sismi scivola sulla buccia di banana del caso Abu Omar. Il 5 luglio viene arrestato Mancini, che torna libero accusando il suo direttore, il generale Pollari, di aver ordinato il sequestro d'intesa con la Cia. Intanto Bove viene pedinato da almeno due "giovani palestrati, che si facevano notare per intimidirlo". Testimonia il padre: "Una notte, esasperato, me ne ha mostrato uno appostato sotto casa". Il 21 luglio Adamo vola dal cavalcavia. Fino a prova contraria è un suicidio, ma nessuno lo ha visto lanciarsi.

 

Solo dopo la sua morte i veleni su Telecom lasciano posto ad accuse circostanziate. Il 20 settembre i magistrati di Milano arrestano Tavaroli con l'accusa di aver "organizzato dal 1997 al 2006 un'associazione per delinquere finalizzata allo spionaggio e alla corruzione di forze dell'ordine". Il 12 dicembre torna in cella Mancini, questa volta come co-gestore della fabbrica di dossier ricattatori finanziata da Pirelli-Telecom. Tre giorni dopo si dimette Pollari. E il 18 gennaio va in carcere Ghioni, che confessa decine di attacchi informatici. Per più di un anno, però, nessun magistrato sa della registrazione di Bove. Solo un paio di mesi fa un pm milanese apre personalmente una chiavetta informatica sequestrata già nel 2005 nell'ufficio di Tavaroli, scoprendo un nuovo archivio illegale. Sarà una coincidenza, ma proprio allora la polizia postale di Roma ricontrolla il registratore di Bove e scopre il colloquio, che il pm Pietro Saviotti fa trascrivere e manda a Napoli.

 

A differenza dei tre del Sismi, Tiziano Casali non era indagato per il caso Abu Omar. Il suo telefonino fu controllato solo perché era lui, il capo-scorta di Tronchetti, a prenotare hotel di lusso per Mancini. Uno strano connubio tra Pirelli e Sismi. A cui uno 007 francese, Fulvio Guatteri, aggiunge un'altra anomalia: "Ho organizzato i viaggi di Tronchetti in Libano, Egitto e Siria nel 2003 e 2004", ha dichiarato, dopo l'arresto per corruzione: "Con gli amici Riou e Spagnolo, collaboravo a stretto contatto con Casali. E non comprendevo perché era Cipriani che ci pagava con tasche piene di contanti". Emanuele Cipriani è l'investigatore massone che custodiva l'archivio dei dossier ricattatori: Pirelli-Telecom gli ha versato 20 milioni di euro su conti off-shore.

 

da Espresso.it

 

(*) Paolo Biondani viene assunto dal Corriere della Sera nel 1990. Non ho informazioni dettagliate sulla sua carriera, però, come vedremo più in là, il 31 Dicembre 2006 firma un articolo scottante su Adamo Bove su Corriere.it (ndr: gruppo RCS, con tutto ciò che comporta). Un anno dopo lavora per l'Espresso. Solo una coincidenza?

 

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Ops, le strade di Adamo Bove e della Juventus si intrecciano:

 

Anche Juventus, Figc e la Gea nella ragnatela degli spioni: lo rivela ai magistrati una dipendente di Telecom. I tabulati telefonici in entrata e uscita finirono in un dossier con il nome in codice "Pratica Como"

di Cristina Zagaria

 

MILANO - "La documentazione che mi mostrate è relativa agli sviluppi sul traffico telefonico in entrata e uscita su utenze intestate a Federazione Gioco Calcio, Enrico Cennicola, Football Management, Juventus f. c., Gea World". È la "Pratica Como". "Mi fu richiesta da Adamo Bove l'11 febbraio 2003. Non so che uso ne abbia fatto e la dicitura "pratica Como" era un promemoria solo a lui noto". È il dossier segreto degli uomini Telecom sul mondo del calcio, quello della Juventus e delle società di procuratori sportivi che facevano capo a Alessandro Moggi (la Gea e la Football Management). È una donna, impiegata Telecom al servizio prima di Adamo Bove e poi di Fabio Ghioni, a stretto contatto con Giuliano Tavaroli (ex numero uno della Security Telecom) a svelare ai magistrati i legami tra "spioni" e mondo del calcio.

 

E a raccontare di Adamo Bove, il super poliziotto alle dipendenze Telecom che si è ucciso a Napoli lo scorso 21 luglio. Mostra tutti i documenti: il 21 giugno 2006, alle 15,40 nella caserma dei carabinieri di via Moscova la dipendente Tim consegna: un cd rom, con i tabulati rubati (i file di Interesse sono denominati con la parola chiave "BOVE" più una combinazione) e quattro raccoglitori trasparenti con fogli manoscritti. Tra gli spiati anche le due figlie di Geronzi, Chiara (giornalista del Tg5 e ex-socia della Gea, sciolta un mese fa) e Benedetta (che lavora in Federcalcio).

 

"La documentazione che mi mostrate - dice la teste ai pm - contrassegnata dai progressivi dal 128 al 135 è relativa ai tabulati in uscita su utenze forse della Banca di Roma, almeno così ricordo perché noto la presenza tra gli intestatari delle due figlie di Geronzi, Benedetta e Chiara".

 

Nel verbale della donna (è la teste chiave dell'inchiesta dei procuratori Nicola Piacente, Fabio Napoleone e Stefano Civardi) c'è anche il reperto 57, con il numero manoscritto del telefono che Bove ha usato in Brasile: "Il numero si trova sulla email data 30 luglio 2002 con la dicitura "martedì ore 10 dottor Calipari a nome di" e con i dati dattiloscritti dalla signorina Iakomi, per la quale mi interessai su richiesta di Bove e credo si trattasse di una persona vicina al figlio dell'amministratore delegato della Telecom Corporation, dottor Ruggero".

 

La donna non specifica se il "dottor Calipari" è l'agente segreto Nicola Calipari, morto durante la liberazione in Iraq della giornalista Giuliana Sgrena. I documenti di cui parla, però, arrivano dall'interno di Tim-Telecom e sono analizzati in tre verbali, tre audizioni a raffica il 14, il 21 e il 23 giugno 2006. "Avevo accesso ad alcune banche dati della mia azienda, come MSP, Circe (la banca dati del sistema magistratura, che "dove vengono estratti i tabulati richiesti dall'autorità giudiziaria) e Radar".

 

E proprio a proposito di Radar la donna torna a parlare di Adamo Bove. Poi confessa i suoi timori. Dubbi. Sospetti e paura di una dipendente che a un certo punto copia tutti i dossier segreti e due mesi fa li consegna alla magistratura: "Oltre alle richieste che mi pervenivano formalmente con cartaceo o via e-mail da Adamo Bove, me ne arrivavano altre via telefono o con appunti manoscritti".

 

Ad un certo punto però le richieste diventano troppe o forse troppo strane. "Cominciai a nutrire delle perplessità circa le richieste del dottor Bove su elaborazione dati, per utenze che poi risultavano in contatto con personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport o di enti, quali il Banco di Roma. A causa di tali perplessità ho cominciato a conservare copia od originali delle richieste e degli elaborati".

 

Tra questi documenti, quelli appunto contrassegnati "dai progressivi 112 al 119 con tutte le telefonate della Juventus di Luciano Moggi, la Gea ma anche del guardalinee Enrico Ceniccola, finito nell'inchiesta di Napoli per la partita Lecce-Juve 0-1. "Chiesi a Adamo - dice la donna - dove finivano quest'ultimi elaborati, ottenendo come risposta che di questo non dovevo preoccuparmi".

 

da Repubblica.it (27 settembre 2006)

 

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Segue un'inchiesta a 360° sull'universo Telecom realizzata dalla redazione della trasmissione "Report" e andata in onda su Rai3 il 25 Marzo 2007. 80 minuti da vedere tutti d'un fiato, con preziosissime testimonianze dirette (un capitolo è dedicato ad Adamo Bove)

 

Telecom: Debiti e spie

di Sigfrido Ranucci

 

http://www.rai.it/dl...3cd23ffdb4.html

 

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A seguire un'altra inchiesta, sulla vicenda di Adamo Bove e le mille ramificazioni dei misteri Telecom sotto il titolo "Italy Gate", andata in onda

mercoledì 1 agosto sul canale satellitare all news Al Jazeera English.

L'inchiesta ripercorre il sottile filo che unisce la morte di Adamo Bove ad intercettazioni, servizi segreti italiani e CIA, ricatti, spionaggio industriale, renditions, Nigergate osservando come questo scandalo (come quello analogo avvenuto in Grecia) "non sia stato coperto adeguatamente dai media europei ed americani, come se qualcuno volesse tenerli nascosti".

 

I servizi sono due e sono in inglese, io non li ho visti perchè pur sforzandomi non sarei riuscito a seguire il filo. La fonte è quella che è: il nome Al Jazeera può spaventare, io li posto perchè potrebbero essere utili ad approfondire la vicenda, se qualcuno volesse fare un riassuntino sarebbe cosa gradita. Li metto sotto spoiler.

 

 

 

 

 

 

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In questo post ci cono tutti gli articoli tratti dal sito di Repubblica

 

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Il responsabile della sicurezza Telecom si è suicidato ieri: "Mi pedinano". I giudici vogliono capire se c'è un legame con le indagini sul caso Abu Omar.

Suicidio Bove, sequestrati agende e pc: era testimone nello scandalo intercettazioni

 

NAPOLI - La Procura ci vuole vedere chiaro sul suicidio di Adamo Bove. I magistrati credono che dietro il disperato gesto del responsabile della sicurezza Telecom, che si è suicidato ieri a Napoli, ci siano misteri che vanno al di là di una semplice depressione. Ieri i giudici di Napoli hanno aperto un fascicolo per "istigazione al suicidio"; oggi hanno ordinato di sequestrare i computer e le agende che il funzionario custodiva in due appartamenti e negli uffici di Roma e Napoli. Vogliono capire, i giudici, se c'è un legame tra il suicidio dalla Tangenziale napoletana e il ruolo di Bove con le indagini sul caso Abu Omar e sulle intercettazioni telefoniche.

 

Adamo Bove, già cacciatore di latitanti della Direzione antimafia, stava collaborando con la Polizia postale sullo scandalo delle intercettazioni e delle schedature dei clienti Telecom.

 

Da quasi sei anni, Adamo Bove era il responsabile del cosiddetto "sistema Radar", un software interno alla Tim nato per proteggere dal rischio-frodi il traffico sulla telefonia mobile che era, secondo l'ipotesi dei magistrati, anche un sistema informatico utilizzato da alcuni dipendenti che intercettavano le conversazioni per venderle poi sul mercato dello spionaggio illegale.

 

Una relazione dei controllori interni Telecom, per altro chiesta e voluta dallo stesso Bove, certifica che proprio dai terminali dell'ex funzionario e dei suoi collaboratori era possibile entrare nel sistema senza lasciare traccia. Dipendenti infedeli hanno pescato abusivamente e a piene mani - secondo l'accusa - nelle conversazioni di comuni cittadini, giornalisti, arbitri di calcio, politici e uomini di spettacolo.

Ma c'è dell'altro: Bove collaborava al caso Abu Omar, l'ex imam di Milano sospettato di terrorismo. Quando i poliziotti gli hanno chiesto collaborazione, lui non si è tirato indietro: è stato lui, Adamo Bove, cacciatore di latitanti, firmatario dell'arresto delle primule rosse della camorra, a ricostruire il traffico telefonico nella zona di via Guerzoni dove l'ex imam fu sequestrato da agenti Cia il 17 febbraio del 2003. E quando i magistrati decisero di mettere sotto controllo le utenze del numero 2 del Sismi Marco Mancini e del generale Gustavo Pignero, entrambi arrestati con il sospetto di aver collaborato al blitz Cia, fu Bove a indicare il metodo da seguire per raggiungere l'obiettivo. Per questo i pm di Milano consideravamo il poliziotto divenuto dirigente del colosso della Telecom un prezioso collaboratore.

 

Ma ultimamente Bove riteneva di essere stato relegato in un angolo. La dirigenza dell'azienda lo esclude ma chi lo conosceva bene, confida di averlo visto negli ultimi mesi diverso, più introverso, depresso. Alla moglie aveva confessato di sentirsi addirittura pedinato.

 

La "Mini" grigio metallizzato usata da Adamo Bove per raggiungere la Tangenziale e gettarsi dal viadotto, è stata sequestrata. Richiesti i tabulati del suo telefonino. Insieme all'analisi dei file e alla lettura degli appunti trascritti sulle agende sequestrate oggi nei suoi appartamenti, i giudici sperano di ricostruire i puzzle e sciogliere il giallo.

 

(22 Luglio 2006)

 

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Retroscena: Adamo Bove era stato interrogato nell'inchiesta Telecom. Dai suoi computer libero acceso ai dati dei clienti. I misteri dell'uomo del Radar

 

(Messo sotto spoiler perchè non aggiunge molto)

 

 

MILANO - I motivi del suo suicidio, per ora, sono sconosciuti. Il nome di Adamo Bove, però, è già spuntato più di una volta nella bufera partita dalle "falle" del sistema di sicurezza della rete Telecom e arrivata fino alle inchieste sul caso Abu Omar. Bove, va detto, non ha ufficialmente in questa vicenda addebiti specifici. Ma i pm di Milano che indagano sulle intercettazioni e le schedature dei clienti l'avrebbero ascoltato all'inizio della settimana.

 

E pare che Bove fosse stato ascoltato, ma solo in veste di consulente per alcune verifiche sugli standard di sicurezza delle schede telefoniche, anche nell'ambito dell'indagine su Abu Omar. La stessa società di Marco Tronchetti Provera gli avrebbe lasciato le redini della "security governance" del gruppo anche dopo l'allontanamento di Giuliano Tavaroli, fraterno amico del dirigente Sismi Marco Mancini coinvolto nelle inchieste sul "rapimento" dell'imam e a sua volta indagato per i presunti "abusi" sul network telefonico.

 

Adamo Bove però ha un ruolo chiave al centro di questa partita. Dal 2000, infatti, è il responsabile del sistema Radar. Un software interno alla Tim nato per proteggere dal rischio-frodi l'intero traffico sulla telefonia mobile. Ma anche il ventre molle, secondo l'ipotesi dei magistrati, attraverso cui alcuni dipendenti del gruppo si sarebbero introdotti senza lasciar traccia nella rete per ricostruire tabulati ed intercettare conversazioni. Vendendole poi sul fiorente mercato nero di questi "prodotti" o utilizzandole - come temono i pm - per attività di investigazione parallele e operazioni di spionaggio illegali.

Quali sono le responsabilità dell'ex-poliziotto Bove in questa complessa partita? Le certezze sono poche. Una - da prendere con le pinze vista la fonte - è il suo presunto impegno proprio contro il mercato dei tabulati illegali. Questa almeno è la versione fornita in un'intervista a "Repubblica" da Emanuele Cipriani, investigatore privato fiorentino, altro amico del cuore di Tavaroli cui Telecom ha "esternalizzato" delicatissimi incarichi di sicurezza e nel cui computer sono stati trovati centinaia di file di intercettazioni e tabulati illegali. "Nel 2003 - ha detto Cipriani - Tavaroli mi chiese di fare da esca per infiltrare questo mercato e smascherare i dipendenti infedeli. Il progetto era sponsorizzato da Bove".

 

La presenza di dipendenti infedeli nel cuore del sistema Radar - in particolare proprio nell'ufficio di Bove - è stata accertata (senza però addebiti specifici al responsabile del servizio) anche dall'audit interno commissionato da Telecom sulla vicenda. Questa indagine, a dire il vero, sarebbe scattata proprio dopo una segnalazione dello stesso Bove, che fino al 2005 ha risposto direttamente in linea gerarchica al numero uno del gruppo Marco De Benedetti collaborando a livello funzionale con Tavaroli. La relazione finale dei controllori interni certifica però senza ombra di dubbio che proprio dai terminali di Bove e dei suoi collaboratori era possibile entrare "con modalità anomale e non certificabili" nel sistema.

 

E anche il Garante alla privacy - dopo un'ispezione lampo in Telecom - ha puntato il dito contro il gruppo "per la scarsa sicurezza dei dati sul traffico cellulari". Una denuncia seguita - secondo indiscrezioni - da alcune ispezioni in corso in questi giorni presso le sedi dell'ex-monopolio a Bologna e Padova.

La matassa è intricatissima. Anche perché non è tecnicamente possibile capire ancora chi e con che finalità ha messo le mani per anni nel "buco nero" aperto nella rete della Tim. Pescando abusivamente e a piene mani - secondo l'accusa - dati e conversazioni sensibili di comuni cittadini, giornalisti, arbitri di calcio, politici e uomini di spettacolo.

 

La stessa Telecom si è rivolta ai magistrati chiedendo di far luce sul caso. Il dossier - ancor più delicato dopo la drammatica morte di Bove - è sul tavolo dei pm Fabio Napoleone e Stefano Civardi. E molti - su questo fronte - si aspettano a breve svolte importanti.

 

 

(22 Luglio 2006)

 

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Adamo Bove era convinto che volessero incastrarlo. Indiscrezioni lo accusavano di aver trafugato tabulati. Il giallo del suicidio, i veleni e un'inchiesta troppo lenta

di Giuseppe D'Avanzo

 

INDIFFERENTE è il governo, distratta la magistratura, spensierata l'informazione, mentre si combatte - intorno alla Telecom e al Sismi - un'inesorabile contesa con la minaccia, il ricatto, la menzogna che afferra e discredita. Il conflitto ha già fatto un morto: Adamo Bove, manager della Telecom, saltato giù da un viadotto della Tangenziale di Napoli (s'indaga per istigazione al suicidio). Se la logica ha un senso, Adamo Bove potrebbe non essere l'ultimo. La resa dei conti, sotto gli occhi di tutti, è cruenta. Chi è intimidito da due inchieste giudiziarie che si intersecano e sovrappongono (le intercettazioni abusive alla Telecom; il sequestro di Abu Omar che coinvolge il Sismi) invoca l'impunità coinvolgendo (o minacciando di coinvolgere) chi ancora ne è fuori, a torto o a ragione. Chi ne è fuori, magari nel passato complice, manovra per tenere le attenzioni investigative, e tutti i guai, soltanto intorno agli spaventati. Ne nasce un gomitolo dove si aggrovigliano molti filacci, più storie, il controverso destino di tre uomini, oggi con l'acqua alla gola ma con un nodoso bastone stretto ancora tra le mani: ciò che sanno, quel che possono raccontare.

 

Gli uomini sono tre. Giuliano Tavaroli, nel tempo capo della Security di Pirelli e Telecom dove ha avuto ai suoi ordini 500 uomini; Marco Mancini, fino all'altro ieri direttore delle Operazioni e del Controspionaggio del servizio segreto militare (Sismi); Emanuele Cipriani, patron di tre attivissime agenzie private di investigazione: la Polis d'Istinto di Firenze, la Plus Venture Management delle Isole Vergini, la Security Research Advisor di Londra, negli anni il loro fatturato si è formato per il 50 per cento (Polis) e fino all'80 per cento (PVM e SRA) con le commesse di Pirelli e Telecom.

 

Nel gomitolo, tra molte muffe, sono stretti tre nodi. Le intercettazioni realizzate abusivamente senza alcuna autorizzazione giudiziaria. La natura e la correttezza dei rapporti tra la Telecom e il Sismi. Decine di migliaia di file di un archivio elettronico che custodisce informazioni illegalmente raccolte sul conto di società e persone fisiche, politici, banchieri, uomini di finanza, giornalisti, magistrati e finanche giocatori, arbitri e manager di calcio. I tre nodi del gomitolo rimandano ad alcune domande. I vertici della Telecom e del Sismi erano consapevoli del lavoro illegale di Tavaroli, Mancini e Cipriani? Quel lavoro è stato loro commissionato (e, in questo caso, da chi?) o se lo sono attribuiti in autonomia abusando della fiducia riposta in loro? O è stato loro commissionato e quei tre, fraudolentemente, vi hanno fatto fronte con un piede oltre la soglia del codice penale?

 

Le risposte verranno dalle istruttorie della procura di Milano, ma per intanto quel che si vede dà apprensione. Soltanto Telecom si è mossa - con qualche furba contraddizione - per correre ai ripari. Anche se salmodiando una fantasiosa litania complottistica, la società telefonica ha ordinato un'inchiesta interna. Ha aperto le porte all'istruttoria del Garante della Privacy e alle indagini della Guardia di Finanza. Lavora a nuove procedure e sistemi informatici che proteggano il trattamento dei dati personali. Ha allontanato chi ha commesso abusi e scorrettezze.

 

La responsabilità economica di Telecom di fronte al mercato, agli azionisti e ai risparmiatori ( e forse alle sue difficoltà di bilancio) pare essere stata più vincolante della responsabilità politica.

Virtualmente per tutelare l'efficienza del Sismi, il governo ha rinviato a tempi meno affaticati il rinnovamento della catena di comando e la radicale riforma dell'intelligence. Doverosa preoccupazione, ma pessima decisione. Come chiunque può capire, in cima all'agenda degli uomini del Sismi oggi non c'è né l'efficienza né la sicurezza nazionale, ma una preoccupazione personale, l'imperativo di guardarsi dagli agguati. Di proteggersi dalle trappole di chi, coinvolto in mosse abusive, vuole rifarsi una verginità e guadagnarsi il futuro affondando l'amico o il rivale.

 

Le incertezze del governo si sposano pericolosamente con l'inerzia" (non si sa come definirla) della procura di Milano che indaga contro Tavaroli, Mancini e Cipriani con l'ipotesi di "associazione per delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l'acquisizione d'informazioni coperte da privacy".

 

Di quest'inchiesta, dopo un anno e mezzo, si sa poco o nulla. Non si conosce il numero e il nome degli indagati. Si ignorano gli orizzonti dell'istruttoria e la qualità e quantità delle fonti di prova. Non si sa neppure se ha fatto qualche passo in avanti o è ferma al palo. Si sa soltanto che, di recente, i pubblici ministeri hanno inviato al giudice delle indagini preliminari una richiesta di misure di custodia cautelare. Insomma, chiedono un certo numero di arresti. Si sa - se le indiscrezioni di fonte legale sono corrette - che in questi giorni il giudice (Paola Belsito) ha restituito agli uffici della procura il provvedimento chiedendo verifiche e precisazioni. Con evidenza, gli argomenti proposti dall'accusa le devono essere apparsi fragili, incerti, forse inconsistenti. Quel che appare grave è che alla fase di apparente stallo giudiziario corrispondono le frenetiche manovre di chi solleva polvere e sparge nebbia in un clima di disinformazione, inquinamento, intimidazione che meriterebbe un intervento energico di quella procura incerta. Ne ha pagato il prezzo, per il momento, Adamo Bove, manager della Telecom, già rispettato investigatore di polizia e capo della sicurezza di Tim.

 

"La vita di Adamo - ha raccontato al Messaggero il fratello Guglielmo, avvocato, anch'egli in Telecom - è cambiata nei primi giorni di giugno quando alcuni articoli di stampa hanno associato il suo nome a quello delle inchieste sulla spy story". A Repubblica, uno strettissimo parente riferisce che "Adamo s'era convinto che c'era chi voleva incastrarlo". A cominciare da giugno, Adamo Bove ha la certezza di essere entrato in un gorgo di rappresaglia e avvertimenti. Fonti Telecom spifferano che, dalla postazione di Bove, fosse possibile estrarre, senza lasciarne traccia, tabulati sui numeri in arrivo e in partenza delle utenze, la durata delle chiamate, l'orario, la località o "marcare" le utenze per riconoscere il momento in cui venivano intercettate dall'autorità giudiziaria. Si lascia intendere che esistono documenti di questo lavoro sporco perché qualche "sottoposto" ha conservato gli ordini scritti di Bove. Appunti autografi su post.it. Sono indicazioni che dovrebbero mettere in allarme la procura di Milano. A lume di logica, sollecitarla a valutare meglio i comportamenti del manager.

 

Al contrario, i pubblici ministeri si avvalgono della collaborazione di Adamo Bove. Il suo lavoro è "preziosissimo", dicono i pubblici ministeri, per scovare i telefoni cellulari degli agenti del Sismi, implicati nel sequestro di Abu Omar; per nascondere in Telecom quelle intercettazioni agli occhi indiscreti e alle curiosità infedeli. La fiducia che i magistrati ripongono in Bove è incondizionata e dunque dovrebbe renderli vigili dinanzi alle manovre calunniose che assediano il loro generoso collaboratore. Il lusinghiero giudizio dovrebbe imporre domande su chi e perché obliquamente lo intimidisce o ricatta. Deve "pagare" il lavoro che ha svelato la complicità delle gerarchie del Sismi nel sequestro di Abu Omar? O anche l'opposizione (o magari una iniziale acquiescenza) agli abusi intercettatori in Telecom?

 

A luglio contro Adamo Bove giunge un nuovo, nero segnale. La procura si chiede come mai nelle mani di un giornalista di Libero (indagato) sia finita una lista di telefoni mobili spiati, tra cui le linee di alcuni giocatori dell'Inter (Vieri, Ronaldo) e del banchiere Cesare Geronzi. Primi giorni di luglio. Viene interrogato un funzionario della Telecom che, secondo indiscrezioni di buona fonte, chiama in causa Adamo Bove. E' una testimonianza che al manager provoca molte difficoltà in Telecom, ma che non muta di una virgola l'ammirazione di cui gode tra i pubblici ministeri. Che infatti ancora oggi, smentendo ogni suo coinvolgimento nell'inchiesta, ne difendono l'integrità morale e professionale. Al punto che i magistrati di tre procure - Milano, Roma e Napoli - si dicono "certi" che, se Bove sospettava di essere pedinato e intercettato, "pedinamenti e intercettazioni possono esserci stati, perché troppo sapiente e lucido era l'uomo e per nulla, come pure malignamente si è detto e scritto, depresso".

 

I due quadri sono inconciliabili e sollecitano qualche perplessità sull'inattività della procura di Milano. Se Adamo Bove è il "tecnico" correttissimo che sostiene la procura, come è stato possibile che i pubblici ministeri non si siano resi conti dello spaventevole assedio che lo stringeva? Come è accaduto che non abbiano compreso che in giro c'è chi è in grado - forse anche con intercettazioni e pedinamenti - di manipolare le informazioni e intimidire i testimoni: in una formula, inquinare le indagini? Come può passare inosservato che Giuliano Tavaroli dica (Sole-24 ore, ieri) che "è ancora troppo presto" per fare i conti con "i delatori"? Quanto tempo occorrerà prima che la procura di Milano, nella colpevole inazione del governo, faccia un convincente passo per impedire che i miasmi venefici degli affari Telecom e Sismi appestino ancora l'aria?

 

(24 Luglio 2006)

 

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L'accusa del fratello di Bove: "Era sicuro di essere pedinato". "Qualcuno stazionava sotto casa, lui voleva denunciare tutto ma non ne ha avuto il tempo". Alla moglie: "Sono stanco, vado a casa". "Notò che qualcuno lo seguiva, non sembrava un professionista"

di Dario Del Porto

 

NAPOLI - Li aveva visti sotto casa, spostarsi quando lui usciva e poi seguirlo. Ma gli sembravano dilettanti, non professionisti. Così Adamo Bove, il funzionario di polizia divenuto, otto anni fa, manager per la sicurezza di Tim e poi Telecom, aveva parlato di quei suoi sospetti al fratello gemello Guglielmo, capo dell'ufficio legale dell'azienda telefonica. Venerdì scorso, Adamo Bove è uscito per l'ultima volta insieme alla moglie. "Sono un po' stanco, vado a casa", le ha detto intorno alle 11. Un'ora più tardi, si è lanciato dal cavalcavia della Tangenziale.

 

Il pm di Napoli Giancarlo Novelli ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio. Ieri sono stati sentiti alcuni colleghi del manager ed è iniziato l'esame dei tabulati telefonici della vittima. Una storia ancora oscura, che si intreccia con l'inchiesta milanese sul sequestro dell'imam Abu Omar, alla quale Adamo Bove aveva collaborato, e con le indagini di Milano e Roma sul traffico illegale di tabulati.

 

Come ha appreso della morte di suo fratello?

"Mi trovavo a Milano per lavoro. Mi ha telefonato la moglie, sulle prime ho pensato a un incidente".

 

Lei crede all'ipotesi del suicidio?

"Non ho ancora realizzato l'evento, lo considero molto lontano. Conoscendo mio fratello non posso pensare che abbia deciso di togliersi la vita. Ma devo rispettare il lavoro degli inquirenti. Non ho elementi per sostenere ipotesi differenti. Non sono un esperto, non so dire se alcuni particolari, come l'aver lasciato l'automobile accesa, possono far propendere per una tesi piuttosto che per un'altra".

Suo fratello Adamo le disse di sentirsi seguito?

". Una decina di giorni fa mi parlò di questo. Ne era certo. E conoscendo la sua esperienza mi risulta difficile pensare che si fosse sbagliato o semplicemente suggestionato".

 

Le spiegò come aveva maturato questa convinzione?

"Aveva notato qualcuno che stazionava sotto casa e si muoveva appena lui si spostava. E aggiunse che gli sembrava svolto tutto in modo piuttosto maldestro, come se a seguirlo non fossero appartenenti alle forze dell'ordine. Oppure come se volessero farsi notare".

 

Aveva pensato di denunciare questi episodi?

"Sì. Voleva accertare bene ogni cosa e poi mettere nero su bianco. Non ne ha avuto il tempo".

 

Negli ultimi tempi suo fratello appariva turbato anche da questioni legate all'ambito professionale?

"Adamo ha fatto il poliziotto per tanti anni e aveva un senso altissimo della reputazione. Non poteva accettare ombre sulla sua persona e quando sono uscite notizie che accostavano il suo nome a comportamenti non ortodossi è stato malissimo".

 

Temeva di poter essere accantonato dall'azienda?

"Il suo rapporto con l'azienda era normalissimo. Andava d'accordo con i superiori ed era orgoglioso di lavorare in Telecom. Gli unici problemi erano legati a quelle illazioni. Mio fratello si sentiva ancora con la divisa addosso. Lui viveva per il rapporto di fiducia che si era costruito con il mondo della giustizia. Credo di poter dire, a questo punto, che gli stava a cuore più della sua stessa vita".

 

È possibile che gli abbia nuociuto la collaborazione con la Procura di Milano?

"Ma Adamo non parlava con nessuno di queste cose. Aveva fatto tutto nella massima segretezza, io stesso l'ho appreso dai giornali. È stato sempre così anche quando era in polizia".

 

Quali erano i rapporti di suo fratello con Giuliano Tavaroli, l'ex capo della sicurezza Telecom coinvolto nel caso delle intercettazioni illegali?

"Adamo era in azienda prima che lui arrivasse. Tavaroli era il suo capo e lui con i capi ha sempre avuto rapporti di grande lealtà e collaborazione. In questi mesi sono accadute vicende importanti, ma è giusto attendere l'esito del lavoro dei magistrati".

 

(25 Luglio 2006)

 

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Le carte dei pm: Tavaroli avrebbe incontrato Gianni Letta. Pompa e le telefonate a Farina su Bove e a Luttwak sul rapimento di Abu Omar.

"Due dipendenti Pirelli tra i rapitori dell'imam". L'anonimo al collaboratore Sismi: "Bel documento, utile a D'Alema con la Rice"

di Ferruccio Sansa e Cristina Zagaria

 

MILANO - Sequestro di Abu Omar e caso Telecom: due novità. Primo: due civili, secondo un'ipotesi della Procura, avrebbero partecipato al rapimento, forse due uomini del servizio di sicurezza Pirelli o di un'agenzia di investigazioni privata. Secondo: nelle 400 pagine dei brogliacci che riportano le intercettazioni telefoniche di Pio Pompa si parla di un incontro ad Arcore tra Giuliano Tavaroli - il responsabile della sicurezza prima alla Pirelli e poi alla Telecom - e il "Ciambellano". Una figura che a leggere le intercettazioni delle telefonate di Pompa pare di poter identificare nell'ex sottosegretario di Berlusconi: "Stanno cercando di coinvolgere Letta", dice Pompa.

 

I due civili coinvolti - "Le risulta che al sequestro di Abu Omar abbiano partecipato due uomini della sicurezza Pirelli?". È la domanda che i pm hanno posto a indagati e testimoni delle inchieste Telecom e Abu Omar. Ottenendo tra le altre una risposta precisa: "Mi è stato riferito che al rapimento hanno partecipato due uomini di Emanuele Cipriani", il manager (indagato per associazione per delinquere nel caso Telecom) che controlla diverse agenzie di investigazione privata.

 

Proprio sul ruolo del reparto sicurezza di Pirelli e Telecom nel sequestro i pm stanno compiendo approfondimenti decisivi. Molte le circostanze che meritano attenzione a partire dalle intercettazioni di Pio Pompa. Ecco una recentissima telefonata del 15 giugno 2006 tra Pompa e un personaggio indicato come "il direttore" (un giornalista). Pompa: "Allora due dipendenti Telecom sono entrati nell'inchiesta su Abu Omar, civili eh". Direttore: "Ma che cosa c'entrano questi qui?". Pompa: "Avrebbero fornito cose ai tre dei Ros... Poi c'è un certo G. V. sempre di Telecom... è rientrato nell'inchiesta Milano-Firenze perché si sono dati da fare per fornire tabulati o schede fasulle".

 

(26 Luglio 2006)

 

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Repubblica replica alle accuse di Tronchetti Provera. Il Gruppo Espresso annuncia querela: "Facciamo solo il nostro mestiere"

 

Il video con le accuse del Tronchetto è contenuto nel servizio di "Report" di cui si parla nel primo post. Articolo sotto spoiler per non appesantire ulteriormente il post.

 

 

La direzione di Repubblica ha risposto con un comunicato alle accuse di Tronchetti Provera sulla vicenda delle intercettazioni telefoniche e del suicidio di Adamo Bove. Il gruppo Espresso ha deciso anche di sporgere querela.

 

Ecco il comunicato pubblicato sulle pagine di Repubblica

 

"Il dottor Tronchetti Provera (al centro di uno scandalo che non ha precedenti per il quadro illegale che rivela con le intercettazioni clandestine di Telecom, i legami delle "spie" aziendali con i servizi segreti, e ora persino un suicidio su cui indaga la magistratura) insiste nel tentativo di dare la colpa dello scandalo ai giornali e, sembra di capire, a "Repubblica" in particolare. Telecom è sana, afferma Tronchetti (e noi non ne dubitiamo) anche se molte cose "vanno messe a posto" dopo l'inchiesta giudiziaria sulle intercettazioni illegali, e non giudichiamo nemmeno questo.

 

Ma l'azienda è dentro una "turbolenza mediatica", con la stampa che deforma la realtà, i concorrenti che cercano di approfittare della situazione e un gruppo editoriale che "vuole indebolire Telecom".

Almeno su questo punto, cogliendo la confusione e la preoccupazione di Tronchetti Provera, vorremmo se possibile rassicurarlo: "Repubblica" non punta affatto a indebolire Telecom, azione di cui non si capirebbe tra l'altro la logica, ma soltanto a pubblicare notizie di pubblico interesse. La responsabilità di quanto scriviamo è ovviamente della direzione e dei reporter del giornale: che cosa c'entra il gruppo editoriale?

 

Le notizie da pubblicare vengono decise dalla redazione, e non si concordano preventivamente con gli editori: Tronchetti Provera, che è anche editore, dovrebbe saperlo. O dovrebbe sapere che così accade a "Repubblica". C'è da dire, per spiegare l'attacco di ieri, che se "Repubblica" non avesse dato per prima - e sola - la notizia dello scandalo Telecom, il Paese non avrebbe saputo nulla delle intercettazioni illegali: almeno fino a quando la magistratura non è intervenuta, confermando la nostra inchiesta.

Infine: poiché siamo convinti fino a prova contraria che il dottor Tronchetti Provera non c'entri proprio nulla con questa gravissima vicenda che coinvolge la sua azienda, pensiamo che dovrebbe essere uno dei soggetti più interessati alla massima trasparenza e alla massima pubblicità di questo scandalo, per fare pulizia. L'altro soggetto interessato è la pubblica opinione, a cui questo giornale e i suoi giornalisti continuano a rispondere.

 

Ed ecco il comunicato del gruppo Espresso che annuncia la querela.

 

"Gruppo Editoriale L'Espresso SpA ha dato incarico al prof. Carlo Federico Grosso di sporgere querela per diffamazione nei confronti del presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, per le affermazioni false e gravemente offensive, in cui si delinea un presunto complotto da parte delle testate del Gruppo contro la società telefonica.

 

Per il Gruppo Espresso le parole di Tronchetti Provera si qualificano da sole e non avrebbero bisogno di replica. Tuttavia, per garantire e tutelare l'onorabilità dell'azienda e la correttezza professionale dei suoi giornalisti, si è deciso di procedere in sede penale."

 

 

(27 Luglio 2006)

 

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Ghioni: Io e il suicidio di Bove. Parla l' uomo che indagò in Telecom

di Carlo Bonini

 

ROMA - Ora che il suo nome ha cominciato a ballare nell' inchiesta sulla morte di Adamo Bove come possibile fonte dei veleni che hanno consumato l' ex poliziotto, Fabio Ghioni, responsabile technology e information security di Telecom, "ombra di Giuliano Tavaroli", decide di raccontare una storia. Che ha a che vedere con i suoi rapporti con Bove e con l' inchiesta aziendale interna di cui proprio Bove era stato oggetto. Che ha a che fare con le informazioni riguardanti un traffico di tabulati telefonici riservati in possesso del cronista di "Libero" Claudio Antonelli e che qualcuno aveva deciso di accollare proprio a Bove. Che ha a che fare con le domande del pubblico ministero Armando Spataro cui Ghioni ha dovuto rispondere il 10 luglio scorso. Per scelta di Telecom, Ghioni affida la sua storia a un lungo comunicato, firmato dal suo avvocato Simona Carolo e licenziato nella serata di ieri con la benedizione dell' azienda. E' un testo criptico, per soli addetti, di cui si afferrano a fatica le informazioni. Che pure - a sentire Ghioni - sembrano esserci. Per quanto parziali. A cominciare proprio dal rapporto tra Ghioni e Bove. Vediamo. «Fabio Ghioni - scrive l' avvocato Carolo - non ha mai avuto particolari rapporti né ragioni di conflitto con Adamo Bove e ha sempre operato nell' ambito delle sue funzioni aziendali, secondo le indicazioni che gli venivano fornite dai suoi superiori. Né aveva in alcun modo possibilità di incidere su scelte aziendali circa l' utilizzo di suoi report tecnici anche in eventuali sedi giudiziarie». Il paragrafo del comunicato fa riferimento a quanto accaduto tra il febbraio e il maggio di quest' anno. Almeno a stare alla ricostruzione che ne propongono Ghioni e il suo avvocato. In febbraio, con la riorganizzazione aziendale, Gustavo Bracco assume la guida della sicurezza Telecom, individuando quali suoi diretti interlocutori, Adamo Bove e Gianni Penna. Fabio Ghioni, che dal giorno del suo arrivo in Telecom (2002) ha sempre lavorato all' ombra di Tavaroli, viene assegnato alla sezione della security che fa capo a Bove. I due, insieme, restano poco. Sostiene Ghioni che due settimane dopo aver proposto a Bove un esame sui «punti di criticità» del sistema "Radar" (il marchingegno telematico che dal 1999 custodisce le banche dati di Telecom), l' azienda gli propone di andarsi ad occupare di «sicurezza materiale degli impianti». La cosa non va in porto e Ghioni - per quel che lui stesso ancora ricostruisce - finisce nell' internal auditing di Telecom, la struttura incaricata di esaminare ciclicamente le routine di sicurezza aziendale. E' il mese di maggio. Ed è in questo momento che Ghioni mette mano al lavoro di inchiesta che si abbatte su Bove come una terribile accusa. A sentire Ghioni, l' audit interno che lui stesso conduce individua «almeno 6 punti di criticità del sistema Radar». Vale a dire «almeno sei postazioni» da cui è possibile introdursi nelle banche dati aziendali senza lasciare traccia. Una di quelle postazioni corrisponde al desk di Adamo Bove. Ghioni prepara la relazione interna e Telecom la trasforma in un esposto denuncia alla Procura di Milano, che comincia ad indagare, ascoltando, per quel che risulta ancora a Ghioni, almeno un paio di collaboratori di Bove. E' qui dunque che cominciano i guai per l' ex poliziotto. E cominciano proprio per mano di Ghioni, anche se lui giura oggi di non aver mai saputo che una delle sei postazioni individuate come critiche dalla sua inchiesta appartenesse proprio a Bove. Scrive l' avvocato Carolo: «Le conclusioni cui la magistratura potrebbe essere giunta sulla scorta del contributo dichiarativo del mio assistito, così come di tante altre persone ascoltate, sono del tutto avulse da qualunque influenza da parte del mio Assistito». Insomma, sarebbe stata la Procura di Milano a sostituire un dato tecnico (una "postazione") con un nome (Bove, appunto). Un fatto è certo. Il 10 giugno l' esito dell' audit interno di Ghioni sui punti di criticità dei sistemi di sicurezza Telecom - audit che, abbiamo visto, oggi si vuole solo "tecnico" e dunque impersonale - finisce sul "Sole 24 Ore", ma con un nome: Adamo Bove. E' quel giorno - ha raccontato il fratello - che l' ex poliziotto capisce che è cominciato un altro gioco. Lo stesso che vede il nome di Bove associato a un traffico di tabulati di sospetti terroristi islamici e di Cesare Geronzi finito nelle mani di Claudio Antonelli, cronista di "Libero". Ammette oggi Ghioni attraverso il suo avvocato. «E' vero, ho avuto un rapporto di amicizia con Antonelli, ma non ero la sua fonte». Né, aggiunge, sarebbe in grado di spiegarsi come mai il suo nome e quello di Bove diventino oggetto di conversazione e valutazione nelle telefonate intercettate tra Pio Pompa, il funzionario del Sismi addetto alla disinformazione, e il vicedirettore di "Libero" Renato Farina. Ghioni, per quel che riferisce il suo avvocato Carolo, sarebbe venuto a conoscenza dell' esistenza di quei tabulati e dell' accostamento che ne veniva fatto al nome di Bove «soltanto durante l' interrogatorio con il pm Armando Spataro e dopo aver ascoltato due intercettazioni in cui si faceva riferimento a Ghioni come a una persona importante». Conclude l' avvocato: «il mio assistito non è tenuto né a sapere il perché di quelle conversazioni, né a giustificarsi».

 

(28 Luglio 2006)

 

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Morte Bove, l'inchiesta è chiusa: "Né ucciso né istigato al suicidio".

Si sarebbe ucciso perché temeva di essere coinvolto nelle indagini sull'acquisizione e diffusione illecite dei dati del traffico telefonico.

Il pm chiede l'archiviazione del caso del dirigente della security governance di Telecom precipitato da un cavalcavia della tangenziale di Napoli nel luglio del 2006

 

ROMA - Non fu istigato al sucidio, né tantomeno fu vittima di un omicidio, Adamo Bove, il 42enne dirigente della security governance della Telecom precipitato il 21 luglio 2006 da un cavalcavia della tangenziale di Napoli. Queste le conclusioni alle quali è giunto il pubblico ministero di Napoli, Giancarlo Novelli che ha chiesto l'archiviazione del fascicolo, trasmesso oggi all'ufficio del gip.

 

"E' bene chiarire subito: non vi è alcuna evidenza probatoria a sostegno della tesi che Bove sia stato gettato da altri soggetti dal cavalcavia", scrive Novelli, che affronta in primo luogo la pista dell'omicidio. Il pm ricorda la figura di Bove, "brillante e capace funzionario della polizia di Stato" prima che lasciasse "l'amministrazione dello Stato per assumere l'incarico di dirigente della sicurezza alla Telecom".

 

La sua morte viene contestualizzata nel periodo in cui erano note "le difficoltà giudiziarie in cui si trovava Tavaroli", ex dirigente della security dell'azienda telefonica. "Il paese - scrive il Novelli - si interrogava sull'uso, illecito e privato, dei poteri di accesso al traffico telefonico anche da parte di settori deviati dei servizi di sicurezza statali, nonché degli uffici diretti da Tavaroli e Bove che, all'interno dell'organizzazione del principale gestore nazionale di telefonia mobile e fissa, ne costituiscono la naturale interfaccia operativa".

 

Bove morì precipitando da un cavalcavia dallo svincolo del Vomero della tangenziale. La sua Mini, con le luci di emergenza e il motore accesi, fu trovata ai margini della carreggiata. Gli accertamenti sulla vettura hanno escluso la presenza di microspie o di apparecchiature di localizzazione.

Dagli esami tossicologici è stato stabilito che Bove non aveva ingerito narcotici o sostanze stupefacenti e nulla di significativo è venuto fuori dall' esame del traffico telefonico. Nessuno dei testimoni oculari ha notato persone estranee vicino al luogo da dove cadde Bove. E l'episodio avvenne in "un luogo assolutamente pubblico, caratterizzato in quell'ora da un traffico non caotico ma sufficientemente intenso da assicurare la presenza di possibili testimoni".

 

Tutti elementi che, sul piano logico, fanno escludere che si sia trattato di un delitto. Resta dunque l'istigazione al suicidio "l'unica ipotesi investigativa meritevole di approfondimento", sottolinea il pm che però subito precisa che, a conclusione degli accertamenti, anche questa pista non ha trovato riscontri. Chiave di lettura per capire il motivo del gesto è il difficile momento vissuto nel luglio 2006 da Bove, nel timore di un suo coinvolgimento nell'inchiesta sull'acquisizione e la diffusione illecite dei dati del traffico telefonico alla Telecom.

 

Il magistrato si pone, in primo luogo, il compito di accertare "il punto di origine di quello che è poi diventato nella mente di Bove il pensiero fisso, autentica ossessione con una carica di angoscia e dolore tale da rendergli intollerabile la prosecuzione della sua stessa esistenza".

 

Le indagini sono state indirizzate nell'ambito "aziendale" in quanto il dirigente delle security governance non aveva preoccupazioni di carattere finanziario, godeva di buona salute e non aveva difficoltà familiari. Invece, "sul versante professionale, attraversava senza alcun dubbio un periodo di grande difficoltà e sofferenza personale".

 

(22 Aprile 2008)

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Qui altri articoli trovati in giro per la rete

 

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Il pezzo di Paolo Biondani (di cui ho già accenato nel primo post) quando ancora lavorava per il Corriere della Sera.

 

Giallo sull' agenda di Bove. Strappate le ultime pagine: Mancano le note di luglio, mese della morte. Il documento era sotto sequestro.

Trovata nel pc dell' ex poliziotto una «contro-inchiesta» sugli spioni informatici di Telecom

di Biondani Paolo

 

MILANO - Dall' agenda di Adamo Bove sono state strappate le ultime pagine prima della morte. La sparizione è giudicata molto strana dagli inquirenti del caso Telecom-Sismi, perché il documento era ed è tuttora sotto sequestro. Era stato acquisito dalla polizia postale, in apparenza intatto, nella casa di Napoli dell' ex responsabile della sicurezza di Tim subito dopo il suo misterioso decesso. Che fino a prova contraria resta un suicidio, anche se i familiari di Bove non sono d' accordo: il padre, in particolare, è convinto che sia stato ucciso da killer raffinatissimi per inchiodarlo come capro espiatorio. A Napoli il pm Giancarlo Novelli continua a indagare in tutte le direzioni. Il reato ipotizzato conferma la trama da giallo: «istigazione al suicidio». Dopo sei mesi d' indagini, la pista privilegiata riguarda possibili «nemici interni» all' azienda, anche se sarà arduo trovare prove dell' intenzione dolosa di causarne la morte. L' ex poliziotto anti-camorra diventato manager Tim era volato nel vuoto, il 21 luglio a mezzogiorno, da un trafficato cavalcavia della sua città, lasciando l' auto con le quattro frecce accese. Certo è che ora Bove non può più difendersi dai sospetti di complicità nello spionaggio dei tabulati telefonici: il capitolo più spinoso dell' inchiesta milanese che ha portato in carcere Giuliano Tavaroli, fino al 2005 capo della sicurezza di tutto il gruppo Pirelli-Telecom, e i suoi fraterni amici Emanuele Cipriani, investigatore massone e grande corruttore di forze dell' ordine, e Marco Mancini, il numero tre del Sismi nell' era di Pollari e dei sequestri Cia in Italia. L' inchiesta di Napoli ha accertato che la morte di Bove fu sicuramente accompagnata, anzi preceduta da manovre per isolarlo e screditarlo. I familiari hanno già messo a verbale i nomi di alcuni colleghi da lui stesso indicati come «nemici» che lo volevano «distruggere». La moglie, il padre e il fratello hanno anche testimoniato che, prima di morire, ripeteva di essere «pedinato da giovani atletici che ostentavano telefonini e maneggiavano marsupi con l' aria di celare armi»: Bove arrivò a «fermare uno di quegli spioni», che gli rispose «in americano». La tesi del suicidio è confermata soprattutto da un testimone oculare, che telefonò a «Chi l' ha visto?» e ha poi deposto al rientro da un soggiorno estero. E' un uomo che viaggiava sulla rampa opposta e ha intravisto la scena dall' alto: ha giurato che Bove gli sembrava da solo, quando si lanciò dal cavalcavia. Soltanto poco dopo vide affacciarsi alcuni curiosi, ancora senza nome. Di Bove finora non è stato trovato alcun messaggio d' addio nè di spiegazione. Dalla sua agenda risultano però strappate diverse pagine, compresi tutti i venti giorni cruciali prima della morte. E finora nessuno se n' era accorto. La prima ipotesi è l' errore iniziale: la polizia postale potrebbe non essersi resa conto di aver sequestrato un documento incompleto. L' alternativa è inquietante: una mano criminale che riesce a far sparire annotazioni compromettenti quando l' agenda è già sotto sequestro. A complicare il giallo è la scoperta, nel computer della vittima, di una specie di «contro-inchiesta» che Bove aveva dedicato a Fabio Ghioni, il capo dei tecnici informatici di Telecom, suo rivale dichiarato. Fu la segretaria di Ghioni, a metà giugno, la prima ad accusare il suo ex capo Bove di averle chiesto di spiare tabulati, anche se per ordine di Tavaroli. E fu Ghioni a fare il nome di Bove a giornalisti (che subito avvertirono il Sismi di Pollari) ancor prima che la Procura scoprisse l' esistenza della supertestimone. Bove non era indagato dai pm milanesi, mentre ora lo è Ghioni, sospettato tra l' altro dello spionaggio informatico del 2004 contro il manager Colao e il vicedirettore Mucchetti del Corriere. Mentre a Napoli si indaga su un incontro finale tra Bove e un alto dirigente Telecom, che in luglio lo avrebbe scaricato con un discorso di questo tenore: «Ghioni ci ha convinto, ora ti devi dimettere».

 

Chi era Adamo Bove?

 

Bove è stato per anni un funzionario della questura di Napoli. Dopo uno spostamento a Castellammare, dove infuriava una guerra tra clan, è passato alla Dia e ha lavorato alle indagini che portarono alla cattura di pericolosi boss della camorra come Francesco «Sandokan» Schiavone e Mario Fabbrocino.

Nel 1998 Bove lascia la divisa e cambia lavoro: passa alla Tim dove nel 2000 diventa responsabile dell' ufficio sicurezza, prima della fusione dell' azienda con Telecom. Mantiene quella carica fino al febbraio del 2006, quando viene nominato responsabile del coordinamento internazionale security del gruppo Telecom.

Dopo la sua morte, circola la voce che Bove fosse indagato nell' ambito dell' inchiesta milanese sulle intercettazioni. E' falso. Bove aveva collaborato con le procure di Roma e Milano: la prima raccolse dal suo ufficio conferme sulle falle nei sistemi di sicurezza Telecom; la seconda chiese a lui di intercettare il Sismi per il sequestro Abu Omar.

 

da Corriere.it (31 Dicembre 2006)

 

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Articolo scritto a caldo da Beppe Grillo, che della denuncia delle nefandezze del Tronchetto ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia.

 

Chi tocca il Radar muore

di Beppe Grillo

 

E così Adamo Bove, 43 anni, il responsabile del sistema Radar di Telecom Italia, si è buttato, o lo hanno buttato, o lo hanno costretto a buttarsi da un ponte a Napoli. Un volo di 40 metri che non poteva lasciare scampo.

Il sistema Radar è al centro di un'inchiesta per associazione a delinquere finalizzata alla rivelazione di notizie riservate da parte della Procura di Milano.

Adamo Bove, responsabile della security governance di Telecom, non era indagato. Bove ha collaborato con la procura di Milano per il rapimento dell'iman Abu Omar ed ha contribuito a mettere sotto controllo Mancini del Sismi ed il generale Pignero.

La prossima settimana era previsto un suo incontro con i pubblici ministeri milanesi sulle intercettazioni e le possibili schedature degli utenti Telecom.

Lo stesso garante della privacy ha evidenziato "la scarsa sicurezza dei dati sul traffico cellulare".

Da Telecom è stato allontanato alcune settimane fa Tavaroli, ex responsabile della sicurezza di Telecom e di Pirelli, indagato dalle procure di milano per associazione a delinquere finalizzata alla violazione del segreto istruttorio.

Si dice, ma nessuno può provaro, che esistano dei fascicoli di persone potenti ma ricattabili.

Si dice, ma nessuno può provarlo, che ci sia dentro mezza Italia che conta. Una metà intercettata, l'altra metà intercettratrice. Credo che sia opportuna, e subito, una commissione parlamentare d'inchiesta che verifichi i legami tra il Sismi e la Telecom , che acquisisca, se esistono, i fascicoli delle intercettazioni e che operi in totale trasparenza verso il Paese. Prodi, se ci sei, batti un colpo.

Per evitare qualunque dubbio, tengo comunque a precisare che sono in buona salute, non soffro di depressione e che il pensiero del suicidio non mi ha mai sfiorato.

 

dal blog di beppegrillo.it (22 Luglio 2006)

 

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Intervista al coordinatore del Tiger Team Telecom

di Graziano Campi

 

Andrea Pompili è un informatico che si occupa di sicurezza. Coordinatore del progetto “Tiger Team” gestito da Fabio Ghioni, è entrato nell’inchiesta milanese del settembre 2006. La sua intervista potrebbe apparire ininfluente per il mondo del calcio, eppure parlarne è molto significativo. Nel suo libro, “Le Tigri di Telecom”, edito da Stampa Alternativa, ricostruisce quell’esperienza direttamente, passando in rassegna la storia di un gruppo, del suo lavoro e delle sue deviazioni. Un libro interessante che non è possibile riassumere in poche righe. Un libro certamente di parte, la parte che i media non hanno voluto fosse di dominio pubblico e che ancora oggi cercano di tenere sotto silenzio.

 

31 gennaio 2007. Ore 7.30: i carabinieri vengono ad arrestarti. La tua vita cambia completamente. Perché non sei scappato prima?

Ho una famiglia e la coscienza a posto.

 

Questa è una domanda chiusa: ti sei meritato quello che ti è successo?

No.

 

Quale era nelle intenzioni, il sogno del Tiger Team? Che compito dovevate svolgere?

Il compito era di agire all’interno dell’azienda per verificare eventuali debolezze informatiche sui sistemi critici. Scavalcare i sistemi di protezione studiando e scatenando attacchi coordinati e complessi basati su metodologie e approcci tipici dell’underground hacker.

 

Quali sono i punti da tenere in mente quando si parla di sicurezza informatica?

Purtroppo un sistema di sicurezza è valutabile solo in caso di una minaccia reale certificata, quando si ha coscienza di un attacco informatico in corso e si è in grado di verificare visivamente l’effetto protettivo che il sistema in campo dovrebbe garantire.

E’ possibile definire modelli previsionali o effettuare simulazioni, ma è molto difficile spiegare il perché di un investimento su ipotesi e preoccupazioni.

La valutazione dell’operato di un uomo della sicurezza si basa perciò sulla capacità di far comprendere al top management i benefici delle proprie azioni, magari attraverso risultati comprensibili ma, soprattutto, interessanti.

 

Necessità quindi di rendere partecipe attraverso temi che avrebbero “sensibilizzato” chi doveva poi “pagare”?

E’ una possibilità.

 

Per quale motivo l’informazione è così importante per una Security aziendale?

“Si dice che chi conosce il suo nemico e conosce se stesso potrà affrontare senza timore cento battaglie.” Così scrive Sun Tzu nel libro ”L’Arte della Guerra”.

Perché conoscendo il proprio nemico è possibile capire come si comporterà in futuro a causa della propria organizzazione interna o delle decisioni passate, oppure si potranno sfruttare le sue debolezze interne per gestire meglio il dialogo. O ancora preparare azioni mirate per intercettare eventuali offensive contro la propria realtà aziendale.

 

Di per sé dunque non era da escludere che la raccolta informazioni a “scopo difensivo” potesse generare “benefit” extra, come la conoscenza di elementi non dannosi all’azienda ma lesivi degli interessi della parte avversa?

Beh, si. Nella logica .

 

Avevate una linea di condotta in tal senso?

Ghioni diceva spesso che le competenze e le tecniche di attacco potevano essere utilizzate anche in modo più “sportivo”, nel caso in cui il fine giustificasse i mezzi. Esattamente come in guerra si uccide anche se uccidere è un reato e un agente dei servizi segreti potrebbe decidere di intercettare un potenziale terrorista anche senza il mandato di un giudice, perché la ragion di Stato bilancia l’illecito commesso. La differenza la fa il mandato istituzionale, sia che provenga dal proprio governo o da un’altra entità riconosciuta.

 

Voi e la vostra azienda quindi eravate di fatto “in guerra” con le realtà a voi concorrenti?

Sembrerebbe di Sì.

 

E’ corretto dire che per sensibilizzare i committenti si poteva rendere necessario un intervento anche non direttamente collegato agli interessi aziendali?

Non proprio. Diciamo che la tutela di un’azienda dipende anche dalla percezione che gli investitori e i clienti hanno del suo proprietario, proprietario che nel caso specifico aveva un’intensa vita pubblica.che andava oltre telefonini e linee ADSL.

 

Un esempio?

L’unica che ricordo aveva nome in codice RadioMaria. Un’operazione di raccolta informazioni su alcuni siti che avevano pubblicato foto compromettenti della compagna di Tronchetti Provera. Mi pare fosse il marzo del 2003.

 

La paura del nemico come strumento di sensibilizzazione?

E’ purtroppo il male della Security italiana. Una scorciatoia che serve a giustificare mezzi e investimenti in un settore che, alla fine, dipende sempre da un inafferrabile danno “potenziale”.

Ho visto usare la politica del terrore da quasi tutti i più grandi esponenti dell’underground digitale perché riesce a ingenerare nell’interlocutore un senso di ansia che lo rende permeabile anche alle proposte più “sportive”. La chiave che apre tutti gli scrigni è la paura dell’incontrollabile, l’angoscia per l’insidia che si muove sotto i nostri occhi senza che noi siamo in grado di percepirla. La paura di ciò che è inesorabile.

 

Non è da escludere quindi che per ottenere popolarità si ricorresse a interventi non richiesti?

Assolutamente no. La sicurezza aziendale ha profonde radici nel mondo delle forze dell’ordine, radici che implicano un forte indirizzo sugli obiettivi identificati dai propri responsabili.

E’ possibile però che ad un certo punto le cose siano sfuggite di mano visto che c’erano numerosi interessi in gioco. Purtroppo nessuno sa cosa sia realmente accaduto, compreso il sottoscritto.

 

Ritieni di escludere in maniera categorica che lo scandalo di Calciopoli facesse parte in qualche modo di un progetto simile?

No, almeno non per quanto di mia conoscenza.

 

Sei a conoscenza di qualcosa in tal senso?

Personalmente non ho mai ricevuto incarichi o sentito di azioni in tal senso. E’ anche vero che qualche esponente di spicco dello scandalo in questione è attualmente annoverato tra le parti civili del processo Telecom.

 

Come si poteva superare l’ostacolo etico e il rischio di obiezioni o personalismi?

In quasi tutte le Security aziendali le investigazioni interne vengono impostate su un network relazionale, ossia su un’organizzazione non gerarchica dove ciascun elemento ha ruoli e competenze specifici messi al servizio del coordinatore della rete. Nessuno deve sapere chi sono gli altri membri della rete, ma ciascuno dovrà essere pronto a intervenire quando ce ne sarà bisogno.

Ad esempio gli aspetti operativi possono essere affidati all’esterno, coinvolgendo realtà fidate in grado di integrare “adeguatamente” le attività condotte all’interno dell’azienda.

La struttura diventa quindi un insieme di professionisti indipendenti focalizzati su obiettivi specifici, definiti di volta in volta dal responsabile del network. la regola è che nessuno deve entrare nel merito delle procedure o dei risultati altrui perchè il modello è basato proprio sulla fiducia assoluta nella professionalità degli altri e l’unico che dovrà apprezzarne i risultati sarà il coordinatore dell’intera struttura.

Nel nostro caso, ciascun membro doveva inoltre essere un’entità autonoma in grado di recepire i desideri del capo, senza porsi interrogativi sulle conseguenze. Una specie di comunità di ciechi e sordi che collabora per ottenere risultati senza avere la consapevolezza dei percorsi. Ogni idea veniva presa in considerazione senza bisogno di specificare cosa doveva fare la squadra. In questo modo manca la consapevolezza collettiva ed è impossibile sapere a posteriori come si sono svolti realmente i fatti. Chi ci lavora sa che, nonostante il risultato sia funzionale e discretamente rispondente alle specifiche iniziali, il processo costruttivo assomiglia più al comportamento caotico di un formicaio che a una sequenza ordinata di passi logici. Cosa impedisce che l’obiettivo fallisca? la filosofia comunitaria che illumina l’intero sistema. Ognuno lavora per sé e non per coordinare gli altri, cerca di far emergere il proprio operato, combatte e accetta qualsiasi altra collaborazione parallela, anche se ripete cose già fatte e consolidate da tempo. Una corsa in cui ciascun partecipante gareggiava accompagnato solo dalla propria coscienza.

 

Ritieni che le dinamiche secondo cui si è svolta Calciopoli possano far pensare a un’operazione simile?

Non saprei.

 

Un concetto di organizzazione non ufficiale, composta da individui che condividono soltanto un obiettivo comune quindi?

Più o meno. Ribadisco il concetto di “rete professionale”: il coinvolgimento sembrava infatti più basato sulla capacità necessaria al momento piuttosto che su una gerarchia formale. E sull’obiettivo credo che ognuno avesse una visione estremamente parziale.

 

Ritieni che potrebbe essere esteso anche a settori diversi al vostro, attraverso la collaborazione anche inconscia di soggetti appartenenti a categorie lavorative differenti?

Suppongo di sì. Credo dipenda solo dalle capacità che servono.

 

Il committente era sempre consapevole dei metodi utilizzati?

Quando si parla di tutela aziendale è buona norma non farsi domande sul lavoro dei propri collaboratori. Una specie di beata ignoranza che può tornare utile nei momenti più bui.

La regola è che quando il committente chiede qualcosa di complesso, il professionista si deve mettere all’opera e ottenere il risultato. A quel punto il primo non dovrà chiedere spiegazioni al secondo, che a sua volta dovrà tenere per sé le modalità operative con cui è stato ottenuto.

 

Marzo 2003: arriva Tavaroli. Cosa sapevi sul suo conto?

Tavaroli veniva dall’antiterrorismo, era abituato a un’intelligence fatta di agenzie investigative, relazioni con politici e giornalisti e legami con le forze dell’ordine. Sull’evento che ha determinato la sua ascesa esistono diverse versioni. Tra le più interessanti, quella che Tavaroli avesse avuto la meglio in una storia di concorrenza tra aziende, in cui era risultato decisivo grazie a un risoluto intervento di intelligence. Dopo una storia di successo in Pirelli viene chiamato in Telecom direttamente da Tronchetti nel 2003.

 

Nel 2003 inizia anche la vostra attività con una prova di intrusione sul sistema di intercettazione della magistratura, esatto?

Sì. E i risultati furono preoccupanti: alla fine potevamo accedere all’area disco dove venivano salvati i contenuti delle intercettazioni – banalissimi file wav analoghi a quelli dei computer casalinghi – e con un po’ di pratica potevamo lanciare tutti i comandi per gestire ogni funzionalità di intercettazione.

Negli anni successivi ripetemmo questa analisi per altre due volte. Cambiavano nella forma, ma nella sostanza i problemi rimanevano sempre gli stessi. Quando parlai del problema al gotha della security di Telecom Italia, l’interesse collettivo venne negato smorzando l’evidenza: il problema non era grave, la rete di gestione era adeguatamente separata dal mondo esterno e la situazione era sotto controllo grazie alle procedure interne e alla lealtà di tutti gli operatori.

 

Tavaroli aveva ambizioni personali?

Le voci di corridoio dicevano che il progetto di Tavaroli era quello di esternalizzare la direzione security e tutti i servizi di sicurezza offerti da Telecom all’interno di un progetto denominato “One Security”. Sull’onda di questo progetto, alla fine del 2004 nacque la funzione technology and information security e in seguito un competence center di sicurezza con il compito di razionalizzare e pacchettizzare soluzioni partendo dalle competenze interne esistenti. Come a dire: creiamo i nostri prodotti e poi li portiamo sul mercato.

Successivamente molti testimoni hanno confermato questa visione a lungo termine di Giuliano Tavaroli, confermando anche la consapevolezza del progetto da parte dei vertici aziendali.

 

Nel tuo libro si parla dell’analisi del sistema GRM. Cosa rilevaste in quell’occasione?

Il sistema GRM (Gestione Richieste Magistratura) era una delle banche dati più sensibili di Telecom in quanto conteneva i tabulati di traffico di tutta la rete fissa. Conservava traccia di tutte le chiamate fisse intermini di chiamante, chiamato, data e ora, durata ed eventuale scheda telefonica usata sia per i telefoni privati che per le cabine pubbliche.

Il sistema era completamente vulnerabile. Non solo i ragazzi erano riusciti ad entrarci sfruttando ogni spiffero aperto, ma la stessa applicazione risultava inadeguata perché consentiva l’accesso anche senza utenza e password.

Decidemmo quindi di effettuare dei controlli automatici mensili sullo stato di sicurezza della banca dati, convinti che tutti fossero a conoscenza di questa procedura. Ma evidentemente non era così.

Durante tutto questo periodo, l’S2OC rilevò gli accessi effettuati durante le analisi e queste informazioni passarono successivamente per le mani di Adamo Bove.

 

L’S2OC era un’organizzazione parallela alla vostra?

L’S2OC era un gruppo di Milano più ampio del nostro che aveva avuto per primo l’onore di “gestire la sicurezza” all’interno dell’azienda. Le sue responsabilità andavano dal monitoraggio costante degli allarmi di sicurezza al supporto in caso di intrusioni o frodi informatiche. Addirittura, nel 2004, era questo l’organo incaricato di eseguire i tentativi di intrusione per tutta l’azienda.

 

Come reagì Adamo Bove quando scoprì ciò che era accaduto?

Presentò un esposto nei confronti di Ghioni e dei suoi fedelissimi relativamente a presunti accessi illeciti a questa banca dati.

 

“(Alcuni) fascicoli erano relativi ad elaborati della Global e della Polis D’Istinto. Alla mia richiesta circa l’uso da farne, Ghioni mi disse di non conoscere nessun fascicolo e di conseguenza di distruggerli”. Così Caterina Plateo in merito a quanto accadde in quei giorni. Ricorda altre reazioni?

Dopo la perquisizione ai danni di Giuliano Tavaroli (maggio 2005), documenti, nastri, addirittura interi computer vennero tritati e disintegrati. Secondo Repubblica i dossier pericolosi dovevano essere distrutti. “Cosparsi di benzina il materiale e lo bruciai. Erano i report di Cipriani e in qualche caso quelli della società per cui lavoro” così ha dichiarato Bernardini, uomo di fiducia di Tavaroli e Cipriani, durante uno degli interrogatori

 

E Tavaroli?

Agli inizi del 2006, Tavaroli sembrava pronto a rientrare in Telecom, come lui stesso aveva preannunciato. Restava da capire se sarebbe tornato a gestire la security e l’interim prolungato della sua ex-direzione confermava l’ipotesi del ritorno. Si era trattato di una “pausa” in attesa di far calmare le acque e le acque erano calme da un pezzo, o almeno così sembrava: perché poco tempo dopo Tavaroli veniva silurato.

Il motivo dell’allontanamento definitivo sembrerebbe legato all’apertura dei DVD cifrati di Emanuele Cipriani da parte delle forze dell’ordine. DVD che sembrerebbero contenere parte delle attività svolte dallo stesso Tavaroli per conto di Telecom e Pirelli.

“Le abbiamo chiesto troppo”, questa è la frase di commiato, secondo Tavaroli. Ognuno per la sua strada. Il dottore ovviamente esprime apprezzamento e comprensione per il lavoro e per l’esposizione che il suo uomo ha sostenuto, ma c’è un principio da salvare, quindi Tavaroli deve farsi da parte. Ed è per questo che durante il periodo di detenzione non dichiarò mai il coinvolgimento del management nelle presunte azioni illegali, anzi si profuse a difendere colui che gli aveva dato la possibilità di diventare qualcuno nello spietato mondo della sicurezza aziendale.

 

Scaricato?

Secondo Tronchetti: “Il signor Tavaroli non riferiva a me, non è mai stato un mio riporto diretto”.

In un memorabile discorso ai dipendenti annunciò che esistevano delle mele marce da estirpare e da separare da quelle buone, dimostrando l’intenzione di allontanare chiunque fosse entrato nella vicenda, piuttosto che un sano senso di giustizia.

 

Adamo Bove?

La voce era che Adamo Bove avrebbe avuto il benservito a causa della storia di Radar.

Bove si ritrovava così con un possibile coinvolgimento nell’indagine, una campagna di screditamento personale orchestrata ad arte, un’azienda che lo stava scaricando, e magari qualche anonimo che non avrebbe gradito la rivelazione di determinati favori più o meno personali a cui Bove poteva essersi prestato.

 

Nel settembre del 2006 arrivarono i primi arresti. Associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e all’accesso abusivo a informazioni riservate. Giri di denaro per milioni di euro. Possibile che transazioni di quella portata fossero il risultato di una banale appropriazione personale da parte di Giuliano Tavaroli?

Tra le ipotesi investigative c’era anche il finanziamento di azioni illegali commesse da invisibili deviatori interni e esterni a Telecom.

 

Sei diventato ricco?

Magari. Almeno avrei avuto un motivo per fare quello che dicevano avessi fatto. Non avevo motivo.

 

Metteresti la mano sul fuoco per tutti i tuoi collaboratori?

Oggi no. Ci sono rimasto scottato già una volta.

 

La reazione di Tronchetti Provera e del gruppo Telecom?

Non se l’aspettava nessuno: “Telecom Italia è un’azienda per bene e fatta di gente per bene con qualche mela marcia”. In pratica, dopo aver incensato Adamo Bove e aver rabbiosamente accusato una fantomatica “zona grigia” (facilmente identificabile nelle continue accuse lanciate dal gruppo La Repubblica), aveva annunciato la propria linea di difesa: non sarebbe stata una protezione a oltranza dei propri uomini, ma una forte contrapposizione nei confronti di chiunque fosse finito nel calderone, innocente o colpevole.

E da quel momento iniziò una strana sequela di “atti dovuti” per nulla incoraggianti nei confronti di dipendenti e dirigenti del gruppo.

 

All’inizio tu non eri tra gli indagati, ma tra le persone informate sui fatti. Come si comportarono con te?

Il giorno prima del mio interrogatorio chiesi di parlare con il direttore della sezione corporate e legal affair per chiarire la mia posizione. Mi disse: “Vedrà, alla fine tutto si ridurrà a una storia di tre amici al bar”. Tre amici. Era chiaro: su questa affermazione Telecom aveva deciso di basare la sua futura linea difensiva. Il re sarebbe stato protetto a costo del resto della scacchiera, ogni personaggio più o meno coinvolto nella vicenda sarebbe stato spazzato via pur di dimostrare coerenza e volontà di riscatto a procuratori, politici, analisti, spettatori e, soprattutto, clienti.

 

La sorte di Adamo Bove ti influenzò?

Penso sia umano.

 

Dopo gli arresti come si comportarono i media?

Si passò dall’obiettiva descrizione dei fatti allo screditamento personale di tutti i personaggi coinvolti. Persino le fotografie di un corso di formazione in Sardegna divennero occasione di calunnia: “Tavaroli boys” e “I furbetti del telefonino” per dirne alcune. Meno male che a quel corso io non c’ero.

 

Ritieni che fosse un effetto studiato a tavolino?

Non saprei. In quel periodo l’obiettivo sembrava essere quello di allontanare Tronchetti Provera, e lo scandalo della Security Telecom con i suoi strani personaggi sembrava il tramite migliore attraverso cui colpirlo. Probabilmente lo screditamento era una delle tante possibilità in attesa di qualche risultato più tangibile da parte della Procura.

 

Alcuni dei tuoi collaboratori vennero trasferiti in alcune occasioni a Milano?

Sì. Si trattava di azioni prioritarie che non potevano essere rimandate.

 

Sei in grado di stabilire con certezza cosa stavano realizzando?

Purtroppo no. Anche se, come scrivo nel libro, senza quegli interventi forse non sarebbe successo niente di così clamoroso.

 

Come è stato affrontato il caso “Tiger Team” successivamente?

Verso la fine del 2007 il caso mediatico si era completamente sgonfiato. D’altronde il “principale sospettato”, quel Tronchetti Provera ossessionato da ciò che il mondo pensava di lui, aveva lasciato la guida del gruppo a settembre, indignato dall’ingombrante intromissione del governo Prodi nelle scelte strategiche della propria azienda.

Arriva l’ultima tornata di arresti, è il 5 novembre 2007. Un’ordinanza che cambia tutte le carte in tavola: dopo innumerevoli considerazioni sull’indiscutibile interesse aziendale che tutte le azioni sembravano avere, lo scenario cambia drasticamente seguendo linee più miti. Il management aziendale non viene nominato più, anzi, è lampante che ogni cosa dipendeva e prendeva piede su iniziative di Tavaroli, senza specifici ruoli o competenze, ma solo nell’ossessiva compulsione di prevenire i problemi a tutti i costi.

Gli stessi arrestati vengono gestiti con molto disinteresse. Roberto Preatoni, figlio del celebre immobiliarista e coinvolto nell’indagine, viene scarcerato dal tribunale della libertà a tempo di record, senza che nessuno del pool batta ciglio, nonostante sembrasse “certo” il supporto esterno concesso durante le attività contestate.

 

In merito alla morte di Carlo Giuliani, dichiari: “Se non fosse accaduto niente, qualcuno avrebbe potuto chiedersi la ragione di tutto questo”. E se non accade niente dopo lo scandalo “Tiger Team”?

Qualcuno dovrebbe porre delle domande, ma stranamente questo non accade.

 

Una corsa al silenzio?

Sarà un caso, ma è stato il giorno dopo l’arresto di Giuliano Tavaroli che è stato varato il decreto per la “distruzione delle intercettazioni illegali”.

E oggi si parla di un patteggiamento di massa per tutti i personaggi coinvolti. I vantaggi sono numerosi: esenzione dal risarcimento civile, esenzione dalle spese processuali e una pena quasi ridicola rispetto ai capi d’imputazione. E’ chiaro che non se ne deve parlare più.

D’altronde il rischio è troppo grosso, basti pensare allo spiraglio aperto dallo stesso Tavaroli nella famosa intervista a La Repubblica del 2008. Un vero e proprio putiferio che è stato fatto sprofondare immediatamente nel silenzio.

 

Il futuro?

Come dicevo, dopo la scontata richiesta di rinvio a giudizio di novembre 2008, tutte le testate giornalistiche hanno annunciato la corsa a un patteggiamento di massa. E la Procura di Milano sembra accettare di buon grado questa scelta processuale, un atteggiamento atipico se paragonato al colpevolismo e alla durezza applicata durante le indagini preliminari.

Alla fine, visto che Telecom non è più di Tronchetti e i colpevoli sono stati trovati, è meglio mettere un coperchio al problema e dimenticare rapidamente, prima che esca qualche altra esternazione pericolosa.

La verità è che questa storia ha dimostrato che la Security Italiana si occupa generalmente d’altro, con l’effetto che una delle testate giornalistiche più importanti del paese viene messa sotto scacco da un banale programmino allegato ad un messaggio di posta elettronica.

Qualcuno potrebbe obiettare che alla fine i colpevoli sono stati trovati, inseguiti e acciuffati, ma la verità è che nonostante convegni, campagne di sensibilizzazione, avvertimenti, specialisti di sicurezza e soluzioni chiavi in mano, basta un sistema alquanto rudimentale per penetrare tutte le difese.

 

E il tuo personale?

Telecom mi ha licenziato. Due giorni dopo la mia scarcerazione, con un telegramma. Da allora lavorare è stato difficile. Spero di avere la possibilità un giorno di tornare e dimostrare chi sono.

Ci vorrà molto tempo, ma i primi risultati sono molto incoraggianti.

 

C’è qualcuno che ti senti di ringraziare?

La mia famiglia. Per aver sempre creduto in me. Davvero.

 

da ju29ro.com (31 Agosto 2009)

 

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Adamo, scia di sangue di Tim Brasil?

di Giuliana D'Olcese

 

Sotto spoiler, fonte "non ufficiale"

 

 

E' con Rete4, su Tempi moderni, che sabato 10 novembre '07 è andato in onda il triplo salto mortale di Giuliano Tavaroli, detto Tavola, l'ex Carabiniere voluto da Marco Tronchetti Provera a capo della «Security» di Telecom e protagonista di una delle «Spy Story» più inquietanti dallo scandalo «Sifar» fino al «Golpe della Loggia P2» passando per il «Golpe dell'Immacolata» del Principe Junio Valerio Borghese avvenuto a Roma nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 mentre l'Italia del pallone era incollata alla Tv per l'ingresso in finale della nazionale di calcio e il mitico Rivera conquistava il punteggio per 4 a 3 contro la Germania.

E' riuscito iI mitico Tavola a convincere l'Italia dei gonzi, coloro che navigano in Rete privi delle più elementari cognizioni e difese come antivirus, antispyware, software e programmi efficaci per il monitoraggio di Internet e l'Italia dei pavidi che preferiscono mettere testa e pc sotto la sabbia?

I fatti raccontati dal mitico ex Carabiniere avranno convinto le centinaia di migliaia di utenti Telecom, e non Telecom, del fatto che ne' lui ne' Telecom hanno spiato italiani e brasiliani ma non solo questi?

Cosa faceva, allora, il «Tiger Team» sotto la sua direzione, e da lui affidato alla «Premiata ditta Preatoni Jannone Ghioni & Melloni» ora chi ai domiciliari chi in galera, Tavaroli non lo ha spiegato. Come, durante la lunga intervista a Tempi moderni, non ha dato spiegazione alcuna ne' del suo operato ne' dei tanti reati per cui sono sotto indagine o già arrestati tantissimi suoi collaboratori. Vaghezze, discolpe, e auto santificanti paragoni tre se stesso e San Paolo, sono stati il light motiv dell'intervista.

Nello stesso giorno su Rep, a pag. 22, Giovanni Valentini aveva scritto: «conviene concentrare l'attenzione su un passaggio cruciale di tutta la «Spy Story» di Telecom, cioè la rimozione forzata di due dirigenti della vecchia Telecom, Vittorio Nola e Piero Gallina costretti a dimettersi con una macchinazione diabolica -con la pistola alla tempia scrive Valentini- per fare posto alla "Banda degli Spioni" che puntavano a impossessarsi della Telecom per le loro manovre.

Giuliano Tavaroli ha fatto tutto da solo? O riceveva ed eseguiva ordini impartiti dall'alto?

Chi ha autorizzato quella vasta attività di spionaggio (illecito ndr) che dal 2001 è andato avanti fino al 2006?» conclude Valentini.

Passiamo alla tragedia di Adamo Bove.

Era lui, il capo responsabile della «Security» Tim, che nel Luglio 2006, a Napoli, fu rinvenuto cadavere ai piedi di un cavalcavia. In alto, accostata al guard rail la sua auto. I fari accesi, i quattro sportelli spalancati. Il perchè Adamo Bove percorresse quella tangenziale per rientrare a casa, è ancora un mistero.

Da ex poliziotto distintosi nell'anticrimine e nell'antiterrorismo non girava mai disarmato. Quel giorno non aveva con se' la pistola dalla quale non si separava mai.

Perchè quel giorno era disarmato? Un appuntamento patteggiato? Le cronache commentarono: «Un suicidio anomalo».

«Perchè tornare a casa passando da quel raccordo fuori dal suo percorso abituale?

Aveva forse un appuntamento con qualcuno di cui non aveva parlato neanche a sua moglie lasciata poco prima per ritrovarsi a casa di lì a poco?».

Fu durante la gestione di Adamo Bove che per il controllo di Tim, la rete mobile di Telecom, la «Security» Tim mise a punto il «Sistema Radar» mentre, negli stessi anni, della «Security» Telecom, e del Cnag - il Centro nazionale di ascolto per le intercettazioni legali - capo e responsabile era Giuliano Tavaroli.

Alla testa di Tim Brasile Marco De Benedetti, primogenito dell'"Ingegnere". Presidente e amministratore delegato Gianni Grisendi, uomo di Cragnotti per Cirio e di Tanzi per Parmalat e, a sentire Tavaroli, «attraverso società off-shore in Uruguai, primo azionista di Tecnosistemi» la società fornitrice di Tim Brasile «a cui aveva falsificato fatture per milioni di euro» e dispensatrice di grosse tangenti a politici brasiliani per la guerra contro la Kroll, la società di 007 privati che, sostiene Tavaroli, indagavano per conto di Tim Brasile sugli appalti per la rete mobile concessi a Tecnosistemi ma ritenuti sovrastimati.

Fu così che la Kroll venne in possesso di un cd rom contenente i nomi dei politici corrotti da Tecnosistemi, cd poi sottrattole dagli hackers di Telecom.

Sempre a detta di Tavaroli, Marco De Benedetti subì indagini dalla Kroll per una presunta tangente di sei milioni di dollari pagata a Tim da Ote Grecia perchè Tim non partecipasse alla gara per la privatizzazione o il rilascio della licenza per la telefonia mobile in Bulgaria.

E' nel pieno di questo fosco ed inquietante groviglio di interessi, un mostro dalle cento teste fatto di «Securitys», società di investigazioni e grandi aziende rivali fra loro come Tecnosistemi, Tim, Telecom, Kroll, grandi managers, politici, istituzioni, hackers, corruttori, corrotti e imprenditori senza scrupoli che negli anni della proprietà e della presidenza Telecom di Marco Tronchetti Provera, che cova, matura ed esplode la tragedia di Adamo Bove e avviene quel «suicidio anomalo» del capo della «Security» di Tim Italia responsabile del «Sistema Radar». Muore colui che stava collaborando alla inchiesta di Milano su Telecom.

Guerre tecnologiche senza esclusioni di colpi per il potere economico e industriale, corruzione, ricatti, spioni internazionali, tecnologie incrociate, politici corrotti e un mare di miliardi investiti in operazioni di intelligence illegale, questo il mondo e il contesto industriale e umano in cui si è trovato ad operare Adamo Bove.

Particolarmente significative ed eloquenti al riguardo le deposizioni e le interviste di Marco Bernardini titolare della «Global» una delle agenzie di investigazioni private a cui, con la società «Polis d'Istinto» di Emanuele Cipriani, erano commissionate le investigazioni private di Telecom e Pirelli.

Nella inchiesta su Telecom condotta dal giudice Gennari della Procura di Milano, una teste straniera ex dipendente della «Global» ha dichiarato di aver tradotto intercettazioni abusive verificatesi in Brasile su colloqui avvenuti tra alti dirigenti Telecom Brasile e Telecom Italia riguardanti operazioni di bilancio falsificate, prestanome, appalti, movimentazioni di denaro, ecc. ecc. mentre l'uomo della «Security» di Telecom Brasile, l'ex colonnello del Ros Angelo Jannone arrestato il 5 Novembre scorso, curava i rapporti con esponenti del governo brasiliano e l'imprenditore informatico Roberto Preatoni, «tecnico» del «Tiger Team» il gruppo di attacco informatico di Telecom, forniva - così dice l'accusa del mandato di arresto a Preatoni- uomini e mezzi a Giuliano Tavaroli.

Jannone, Preatoni, e Melloni l'hacker 22enne del «Tiger Team» già arrestato una prima volta per l'attacco informatico alla Rcs, sono stati arrestati per associazione per delinquere finalizzata alla pirateria informatica avendo fatto spiare dal 2003 al 2005 con una pesante attività di hackeraggio diversi agenti della Kroll sottraendone tutto il gigantesco archivio. Sottrazione operata con le tecnologie fornite dalla «Pit», la società di Preatoni con sede legale a Milano e sede operativa nei pressi di Varese.

Durante la seconda testimonianza, la teste straniera traduttrice della «Global» ha dichiarato agli inquirenti di «aver subito intimidazioni dopo l'audizione del 14 ottobre da un uomo che dopo averla seguita più volte le avrebbe intimato di non parlare».

Se ancora oggi si verifacano eventi e intimidazioni del genere, dopo che di molti attori delle «Spy Story» di Telecom e Tim Brasil sembra conoscersi tutto, appare chiaro che dopo tutto il marcio emerso in due anni di indagini, molto ancora c'è da scoprire. Non ultimi le circostanze che hanno portato alla tragedia di Adamo Bove.

A quel «suicidio anomalo».

 

da virusilgiornaleonline.com (21 Novembre 2007)

 

 

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Telecom-plotto

di Rita Pennarola

 

La tragica fine di Adamo Bove, il supermanager della security Telecom “suicidato” con un volo di 40 metri lo scorso 21 luglio, potrebbe essere solo l’ultimo atto del duro scontro fra poteri finanziari (e paramassonici) occulti per il controllo del colosso italiano di telefonia e, forse, del futuro delle telecomunicazioni in Europa. Vediamo gli inediti assetti del potere in Telecom, fra uomini di area Opus Dei, faccendieri e piduisti.

 

(Articolo lunghissimo, sotto spoiler)

 

 

Adamo Bove, il manager della security Telecom volato già il 21 luglio scorso da un ponte della Tangenziale di Napoli, era tra i professionisti di fiducia dell’Opus Dei. Il suo nome e la sua foto - con la scritta “deceduto” e la data sbagliata, 27 luglio - figurano ancora oggi fra i docenti degli Elis Fellows, i corsi professionali ad alto livello messi in campo dalla Prelatura romana con l’obiettivo di formare la nuova classe dirigente del Paese.

 

Per entrare a far parte del prestigioso organigramma occorrono requisiti ben precisi: «I Fellows sono persone che sanno dare "valore e valori" ai giovani che frequentano Elis - si legge nella presentazione ufficiale - ed aderiscono al nostro Manifesto». Vale a dire il documento che sancisce la nascita di Elis dentro la compagine religiosa fondata da Escrivà. Più che esplicita, dunque, l’appartenenza dell’intero apparato formativo alla potente “famiglia” guidata da monsignor Javier Echevarría. Inoltre, «chi frequenta l’Opus Dei sa bene - dice un ex alunno - che non è ammesso alcun docente privo di solide “referenze” nel vasto milieu della compagine cattolica». Ma la presenza di big targati Telecom, nei corsi Opus Dei, non si limita al solo Bove. La corposa lista dei professionisti fellows, anzi, vede di gran lunga in prima fila uomini chiave del colosso di Marco Tronchetti Provera. A cominciare da Rocco Mammoliti, ingegnere, altro supermanager della information security Telecom, e poi Attilio Achler, responsabile Network Operations, Giovanni Chiarelli (Technical Information Services), Maurizio Gri (Sviluppo e Formazione area Marketing), Luigi Ernesto Marelli (responsabile del Personale divisione RETE), Matteo Mille (pianificazione acquisti IT), Franco Moraldi (Sviluppo e Formazione area Tecnology), Stefano Nocentini (Innovation & Engineering), Pietro Pacini (Telecontact Center), Lorenzo Roberti Vittory (Risorse Umane - Management Services). Tutti folgorati dal Verbo di san Escrivà. O, quanto meno, fedeli a quei principi.

 

«Al di là degli aspetti morali o religiosi - fanno sapere alcuni dissidenti - Telecom Italia è entrata da qualche anno nel Dna dell’Opus Dei con la nascita del Consorzio Consel, che permette agli affiliati un accesso diretto alle principali aziende di Stato poi privatizzate». Non c’è infatti solo Telecom fra i membri del consorzio fondato in Italia dall’Opus: fra gli altri, figurano giganti come Vodafone, Wind, Autostrade, Acea, Siemens. Ma a far la parte del leone è proprio Telecom con il suo management. E’ stato organizzato ad esempio dal duo Elis-Telecom il corso di formazione biennale (2005-2007) intitolato non a caso “Next Generation Network - Telecommunication Manager” per perfezionare le abilità nel settore di “Gestione e sicurezza delle reti Full IP”. A patrocinare l’iniziativa, il ministero per le Comunicazioni, gestito all’epoca dal nazional alleato Maurizio Gasparri. «Il motivo che portò Telecom Italia a dar vita al Cedel fu la possibilità di promuovere azioni formative dirette a giovani meritevoli, in una modalità integrata scuola-impresa», si legge nella pubblicità dell’iniziativa. Anche perchè «Telecom Italia ha sempre apprezzato il livello qualitativo dei corsi realizzati, assumendo circa il 60% dei diplomati dalla Scuola di Formazione Elis». Per garantire questo costante flusso delle nuove professionalità opusdeiste nei colossi finanziari italiani, l’accoppiata Elis-Telecom ha dato vita ad un apposito comitato scientifico. Del quale facevano parte lo scomparso Adamo Bove, in quota Tim, e l’altro uomo ombra in Telecom del general manager security Giuliano Tavaroli, vale a dire Fabio Ghioni. Tutti e tre fianco a fianco con protagonisti della galassia Opus Dei nel Campus Biomedico o nelle tante altre filiazioni di Elis.

 

CAPPUCCI IN CAMPO

 

Ma Telecom non è “solo” Opus Dei. Proprio a partire dalla tragica fine (tuttora avvolta nel mistero) di Adamo Bove è possibile intravedere l’inedito scontro in atto fra superpotenze occulte per il controllo del colosso telefonico italiano e, forse, del futuro delle telecomunicazioni in Europa. L’ombra della massoneria si allunga infatti sui destini di Telecom attraverso Emanuele Cipriani, il detective a capo della società investigativa Polis d'istinto, arrestato con Tavaroli su ordine del gip milanese Paola Belsito con l'accusa di intercettazioni illecite. Tra i due esisteva - secondo la ricostruzione degli inquirenti - un patto scellerato, una «gestione dei rapporti patrimoniali quantomeno anomala e difficilmente compatibile con quanto dovrebbe accadere in un settore rilevante di una grossa multinazionale». Oltre 2 milioni di euro fra il 2004 e il 2005: queste le parcelle versate da Telecom all’agenzia di Cipriani, inserita fra i consulenti per la sicurezza Telecom. Ma secondo gli investigatori quelle indagini, «piuttosto che un interesse immediato e diretto del gruppo Pirelli Telecom», servivano a «far lavorare i privati su indagini di interesse dei Servizi, o semplicemente già note ai Servizi, facendone ricadere il costo su Pirelli Telecom». Per creare, alla fine, soprattutto fondi neri.

 

Chi è veramente Cipriani? Dell’antico legame con la famiglia Gelli lui stesso non fa mistero: «da oltre 15 anni - dichiara - sono amico di Raffaello Gelli e di sua moglie Marta». Al punto che risulta essere stato ospite per lungo tempo in un appartamento dei Gelli a Montecarlo: «i soldi che sono stati ritrovati all’estero - racconta l’investigatore fiorentino ai pm - sono tutti miei... Per quanto riguarda le mie disponibilità presso Monaco, inizialmente indicai la domiciliazione presso l’abitazione dei signori Gelli e ciò quando gli stessi erano residenti a Montecarlo... I rapporti con la famiglia Gelli sono esclusivamente di amicizia...».

 

Della venerabile coppia la Voce si era già occupata a dicembre 2005, rivelando che a partire dal 2001 entrambi erano stati membri di una commissione umanitaria all’interno dell’Onu. Più di recente ritroviamo i due alle prese con la querelle su Villa Ada, nella capitale: all’interno del mestoso parco pubblico lady Marta Sanarelli Gelli lo scorso anno si proponeva infatti di realizzare, attraverso la società Antiqua 2001, un mega ristorante, poi bloccato dalle proteste dei comitati civici.

 

FAMIGLI CRISTIANI

 

Intanto, grazie all’amico Cipriani, decine di migliaia di dossier su vip e gente apparentemente comune cominciano ad essere elaborati e passare di mano in mano fra l’agenzia fiorentina, i servizi segreti e il vertice Telecom. A coadiuvare il lavoro della Polis d’istinto erano, fra gli altri, due giornalisti: Guglielmo Sasinini e Francesco Silvestri, sempre in tandem, attivi a Famiglia Cristiana e, in precedenza, collaboratori della rivista ufficiale dei carabinieri. Entrambi si erano fatti vivi con la Voce: la prima volta dopo la pubblicazione sul nostro giornale dell’inchiesta sul rapimento delle due Simone. Ci chiedevano altri materiali: rispondemmo che, come sempre, tutto quanto risultava documentato era già stato pubblicato. Poco più d’un anno fa Sasinini richiamò per domandarci se avessimo notizie su un imprenditore. Il tono misterioso della telefonata ci indusse a rifiutare ogni forma di normale scambio fra colleghi.

 

Trait d’union fra i giornalisti del popolare settimanale religioso e l’agenzia fiorentina era stato proprio un uomo Telecom. Secondo la testimonianza resa al gip Belsito dalle ex segretarie di Cipriani, infatti, Sasinini era stato visto frequentemente in compagnia di Tavaroli e di Adamo Bove. Nel 2002 il giornalista stipula con Cipriani il primo contratto di consulenza su input del comune amico Giuliano Tavaroli, che era in procinto di transitare, insieme allo staff riservato di Tronchetti Provera, dalle segrete stanze Pirelli a quelle di Telecom. Il passaggio avviene nel 2004; un anno dopo Sasinini rinnova il contratto non più con Polis d’istinto, ma direttamente con Telecom. «Per quelle attività - dicono in ambienti vicini al giornalista - Sasinini percepiva un compenso annuo pari a 160 mila euro, compresi gli onorari derivanti dalla direzione del nuovo mensile Noi Security».

 

SICURI DI “NOI”

 

A che doveva servire e, soprattutto, che cosa era veramente quel periodico? Intanto, nasceva probabilmente da una costola di Noi., il mensile di casa Telecom diretto da Cinzia Vetrano con Gian Carlo Rocco di Torrepadula come responsabile “Communication and Image”. 63 anni, Rocco di Torrepadula è presente nell’organigramma di Telecom Italia spa in veste di procuratore così come Gustavo Bracco, capo delle risorse umane, che della pubblicazione risultaba direttore editoriale. Quanto a Noi Security, dalle esigue tracce che si possono rinvenire oggi appare innanzitutto come un organo informativo ufficiale di casa Telecom. Lo conferma l’immagine che pubblichiamo in apertura: è ripresa dal sito della FTI, Forum per la Tecnologia dell’Informazione, che ancora il 2 gennaio 2006 riporta un brano tratto dalla newsletter di Noi.Security, la cui scritta campeggia sul logo Telecom. Ed è solo un caso che il bollettino abbia preso l’identico nome della società di vigilanza Noi Security Agency, che negli Stati Uniti ha vinto appalti «per garantire la sicurezza dal terrorismo - scrive il pacifista Aldo Capitini - di complessi per l’edilizia popolare a Pittsburgh, Filadelphia, Los Angeles, Brooklyn, Chicago, assicurandosi in pochi anni 20 milioni di dollari di fatturato, ma anche incappando in disavventure finanziarie e giudiziarie causate dall'eccessivo amore degli agenti per auto di lusso e ragazze»?

 

Forse una coincidenza, dovuta al fatto che il direttore responsabile dell’omonimo giornale di casa Telecom, Sasinini, è riconosciuto da tempo come giornalista esperto di terrorismo mediorientale. Un uomo, comunque, che vive da anni sotto scorta. Nel 1999 la Padania, riportando la cronaca dell’aggressione subita nella sua casa milanese dalla compagna di Sasinini, scrive che il giornalista, «caporedattore e inviato di Famiglia Cristiana, esperto di terrorismo islamico e profondo conoscitore delle Br», viveva già «da cinque anni sotto scorta». Chi pagava questa scorta - assai prima dell’11 settembre - e perchè? Il quotidiano della Lega aggiungeva poi alcune ipotesi sulla matrice dell’aggressione nella casa di Sasinini «che fa parte del gruppo Libera, quello di Caselli, che lavora per il sequestro dei beni dei Corleonesi». «Sasinini fu l’unico a pubblicare due lettere scritte da Moro durante la prigionia al nipote. Allora si credette che fosse in possesso dell’interno memoriale. Sasinini - concludono - ieri ha ricordato di aver ricevuto minacce a tal proposito anche dai vertici del governo. "Tutti mi chiamano Mino e loro, per intimidirmi, mi rammentavano la fine fatta da Mino Pecorelli"». Dalla stessa matrice antimafia provengono poi sia la moglie di Sasinini Katia Re che il suo alter ego giornalistico Francesco Silvestri, entrambi collaboratori, a inizio anni duemila, del periodico Narcomafie.

 

QUESTIONE D’ISTINTO

 

Sentito dal gip Belsito come persona informata sui fatti, Sasinini racconta nel dettaglio i suoi rapporti di consulenza con Tavaroli e soprattitto con Emanuele Cipriani, vale a dire il personaggio intorno al quale ruotano praticamente tutte le quattrocento e passa pagine dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Una ricostruzione tanto minuziosa da risultare inquietante per gli stessi magistrati, che definiscono questo sistema di investigazioni illecite come «un possibile ed evidente strumento di pressione, di condizionamento, di minaccia, se non addirittura di estorsione nelle mani di un ristretto gruppo di persone». Al punto che gli inquirenti non mancano di sottolineare che il sistema creato da Tavaroli e Cipriani è «una struttura la cui esistenza genera certamente un notevole allarme». Nessuna traccia comunque è finora emersa, dal lavoro dei magistrati, su coloro che detengono quote nella Polis d’istinto srl insieme allo stesso Emanuele Cipriani (20.000 euro sui 100 mila del capitale sociale) e a sua moglie, la trentaseienne Benedetta Leoni, presente nell’azionariato con 33.300 euro. Si tratta di due personaggi finora mai balzati agli onori delle cronache.

 

La prima è Eliana Albanese, classe 1928. Attuale detentrice di quote nominali in Polis d’istinto per 17.700 euro (e non presente in nessun’altra società), la Albanese è stata fino al 2001 socio accomandatante della sigla “spiona” di casa Cipriani. Succedeva in questa carica al fondatore dell’agenzia, Patrizio Martelli, fiorentino, 68 anni, che l’aveva ricoperta fino al 1998. Facendo ancora un passo indietro troviamo anche il nome del socio accomandatario che nel ‘90 passa il testimone a Cipriani: si tratta di Antonio Berneschi, nato ad Arezzo nel 1961, il quale nel ‘93 esce definitivamente dalla Polis. Attualmente Berneschi risulta titolare di un’altra sigla investigativa operante a Firenze. Si tratta della agenzia investigativa Pubblica & Privata «fondata - si legge nella brochure - negli anni Novanta da Antonio Berneschi che vanta un’esperienza ultraventennale in forza al Nucleo Informativo dell’Arma dei Carabinieri e alla Sezione Speciale Antiterrorismo (attuale R.O.S.) dove ha conseguito diversi encomi per attività di investigazione».

 

Ma torniamo alla Polis d’istinto e al quarto ed ultimo socio. E’ il quarantaseienne Luciano Seminara, presente nell’organigramma Polis con 29.000 euro e in una sfilza di altre sigle, sempre come socio. Il più recente acquisto risale ad appena l’8 agosto di quest’anno, quando fa il suo ingresso nella romana R.A.S.T. Recupero Ambientale Smaltimento Trasporti, una srl con quasi 50 mila euro in dote, nel cui parterre Seminara fa ora la parte del leone. R.A.S.T. e Polis d’istinto - insieme alla M.C.S., una srl con 12 mila euro di capitale e sede a Roma - sono le uniche tre società facenti tuttora capo a Seminara, il quale fra il 2001 e il 2006 aveva ceduto le sue partecipazioni in altre srl tutte con sede nella capitale: si tratta di Tetris, S.C.Q., Giambus & Dodo Charter and Broker, Traiano 2000 Bioimmagini ed infine ADA Europe. Di tutte queste aziende - com’era prevedibile - è sparita ogni notizia dal web. Così come criptata appare attualmente la Nice Consulting srl (www.niceconsulting.com), dedita alla “consulenza per la gestione dei patrimoni mobiliari e immobiliari”, partecipata da Emanuele Cipriani con 4 mila euro (sui circa 25 mila del capitale sociale) e della quale, comunque, non c’è traccia nella corposa inchiesta della magistratura milanese.

 

LO SCONTRO

 

Un lavoro - quello reso dalla Procura e dal gip - che appare solo come un primo squarcio in un universo torbido destinato probabilmente a portare alla luce altri clamorosi filoni d’inchiesta. Perchè una schedatura a tappeto come quella messa in campo per anni dalla “spectre” di Tavaroli, Cipriani e dagli 007 che ruotavano intorni a loro (in primis l’agente Sismi Marco Mancini, vedi box), non poteva evidentemente avere solo la finalità di creare fondi neri da dirottare in paradisi fiscali, come è finora stato accertato. Di certo, però, nella monumentale ordinanza del gip Belsito la figura di Adamo Bove non risulta in alcun punto inficiata da ombre o sospetti specifici, ma piuttosto inserita in un contesto popolato da criminali e loschi faccendieri.

 

Cos’altro di nuovo aveva scoperto su di loro Bove, il quale nei mesi precedenti aveva già offerto un contributo decisivo alle indagini della procura di Milano che portarono all’arresto dei dirigenti Sismi per il sequestro di Abu Omar? Che cosa stava per rivelare agli inquirenti prima di essere catapultato già dai 40 metri del viadotto di via Cilea della Tangenziale, lasciando accese le quattro frecce della Mini di sua moglie, la brillante ricercatrice partenopea del Cnr Wanda Acampa? «La presenza di Adamo Bove e di alti funzionari Telecom a corsi di formazione dell’Opus Dei - spiega un esperto di fatti parareligiosi - potrebbe indicare che lo scontro per il controllo Telecom tra massoni “deviati” come l’amico di Gelli Emanuele Cipriani, e la nomenklatura finanziaria dell’Opus abbia visto, almeno per ora, soccombere quest’ultima». Con una vittima sul campo: l’ex poliziotto napoletano Adamo Bove, per la cui morte - ha raccontato Wanda Bove all’Espresso - non ho ricevuto da Tavaroli nemmeno un biglietto di condoglianze. Uno scenario fosco. Sul quale, a Napoli, è chiamato a far luce un pubblico ministero di grande esperienza come Giancarlo Novelli. L’ipotesi accusatoria è: istigazione al suicidio.

 

Caro Bove le scrivo…

 

Circa tre anni fa Adamo Bove aveva avuto contatti professionali con una delle principali agenzie investigative operanti sulla piazza napoletana ed oltre, la A Zeta di Antonino Restino. «Eravamo stati noi - ricorda Carmine Evangelista, investigatore di punta della sigla partenopea - a cercare un contatto con il dottor Bove, come spesso facciamo con altri potenziali clienti, per sottoporre alla Tim il caso di una truffa sulle schede telefoniche che stava avvenendo nel Napoletano». Quella proposta non ebbe seguito, perchè nel frattempo la società stava attivando altri meccanismi di contrasto. Bove però aggiunse: «Sono io che chiedo qualcosa a voi: di aiutarmi a scoprire se esistono soggetti interni alla Tim responsabili di fornire tabulati interni della Tim ad una rete esterna di investigatori. E chi sono queste persone».

 

Dunque Adamo Bove fin dai tempi della sua permanenza in Tim aveva avuto sentore della fuga illecita dei tabulati e intendeva vederci chiaro.

 

Ma non finisce qui. L’ultima mail scambiata fra Bove ed Evangelista è del 12 luglio di quest’anno. Esattamente nove giorni prima del tragico volo dalla Tangenziale. «La mail che il dottor Bove ci inviò nel luglio scorso - dettaglia Evangelista - era la risposta ad una nostra nuova sollecitazione. Gli avevo scritto dopo aver letto sull’Espresso che aveva preso il posto di Giuliano Tavaroli in Telecom. Conoscendo la sua cortesia e professionalità, proponevo a Bove nuove forme di collaborazione con la nostra agenzia». Il messaggio restò per alcune settimane senza risposta. Poi il 12 luglio Adamo Bove scrive. Nella mail spiega ad Evangelista e Restino che nell’ambito delle sue nuove mansioni «non rientrano attività per le quali io possa avvalermi della vostra collaborazione perchè non ho facoltà di effettuare verifiche interne».

 

Riletto oggi, quel messaggio suona come una rivelazione: «E' mai possibile - si chiede Restino - che un manager a capo della security Telecom non avesse quei necessari poteri di controllo?». L’ipotesi è che quella nomina fosse in realtà stata svuotata di reali poteri, forse proprio in ragione dei sospetti che Adamo Bove nutriva da tempo sulla fuga dei tabulati. E molti dubbi il manager di A Zeta Antonino Restino li avanza anche sulla versione ufficiale del suicidio: «Mi sembra impossibile che un investigatore esperto come Adamo Bove, se voleva proprio porre fine alla sua vita, non lo abbia fatto con le modalità tipiche di chi fa questo mestiere, cioè rendendo palesi le ragioni del suo gesto. Un investigatore di professione non si butta giù lasciando accese le quattro frecce dell’auto...».

 

Perplessità, infine, sull’elenco delle società di investigazione che, come riportato dai quotidiani, lavoravano per conto di Telecom. «In Italia - dice subito Restino - esistono sei, sette importanti agenzie, riconosciute da tutti coloro che operano in questo settore. Nessuna fra queste fa parte di quell’elenco. La Polis d’istinto era nel nostro ambiente e all’interno della Federpol (la più autorevole associazione di categoria, ndr) pressochè sconosciuta, e così le altre». Il dubbio, insomma, potrebbe essere che almeno alcune, fra queste sigle, fossero state messe in piedi ad hoc? Restino annuisce. E rincara la dose: «Ancor più sorprendente è poi la lista delle somme percepite per quegli “incarichi”. Parliamo di parcelle fino a 5 milioni di euro. E siamo totalmente fuori mercato. Il fatturato medio delle principali agenzie investigative in Italia arriva a massimo uno, due milioni di euro». In un anno.

 

La scorciatoia per il paradiso

 

I Centri di formazione Elis fondati dall’Opus Dei hanno una scorciatoia diretta per il paradiso. Non si tratta di assoluzioni plenarie o benedizioni, ma del Consorzio Consel, che Elis ha fondato nel 1992 insieme a partner societari del calibro di Telecom Italia, Stet, Italcementi, Ericsson, e ancora Anas, Italtel, Italia Lavoro, Albacom, Wind, Siemens e Trenitalia, per citare solo i nomi più altisonanti. Fusioni suggellate in tempi più recenti dall’ingresso diretto di Elis nell’azionariato di uno fra questi giganti: quella stessa Tim dai cui alti ranghi proveniva un prestigioso docente dei corsi di perfezionamento Elis come Adamo Bove e Rocco Mammoliti. Attraverso un’attenta selezione dei discenti ed un’ancor più accurata scelta del corpo docente, Elis, “Attività per la formazione della gioventù lavoratrice e per la solidarietà sociale”, rende possibile ai giovani rampolli di area Opus la formazione e l’accesso diretto nei ranghi operativi delle principali aziende italiane, che per la restante parte degli aspiranti restano quasi regolarmente solo un miraggio.

 

Uno dei canali diretti per l’accesso è il programma Elis Fellow, «orientato al coinvolgimento a titolo di volontariato nelle attività Elis di dirigenti, quadri, docenti universitari e altri personaggi di rilievo nella società», con l’unica condizione che aderiscano al Manifesto Elis, contenente in maniera esplicita i principi formativi dell’Opus. «Il nostro compito - spiegano all’Avel, altra costola di Elis votata a rappresentare una sorta di agenzia per il lavoro - è quello di fare da trait d’union fra i nostri corsisti e le aziende alla ricerca di personale specializzato». In primis, naturalmente, quelle aderenti al Consorzio, come la stessa Telecom, in cui le carriere dei pii giovani vengono prontamente avviate con appositi stages. Ai convegni organizzati dal Centro Elis di via Sandro Sandri nella capitale non hanno fatto mancare la loro presenza, negli ultimi anni, grossi big dell’imprenditoria e della politica. Nel 2002, quando era inquilino di Palazzo Chigi, fece un salto Giuliano Amato per parlare di “Lavoro nel modello sociale europeo”. Quello stesso anno il direttore di Elis Bruno Picker (che solo qualche mese fa magnificava sulle colonne de La Stampa le nuove sinergie dei suoi centri formativi con la Rai), ebbe l’onore di ospitare il numero uno di Sviluppo Italia Carlo Borgomeo (tuttora docente, peraltro, ai Corsi Fellows), lo scomparso Gianmario Roveraro (soprannumerario Opus) in rappresentanza delle Residenze Rui, ma anche il giornalista Rai Giovanni Minoli, il presidente di Italia Lavoro Luigi Covatta e il general manager Telecom delle Risorse umane Mario Rosso. Andiamo avanti. Sempre nel 2002 ci va, fra gli altri, l’allora vertice Bankitalia Antonio Fazio; l’anno dopo il sottosegretario al Lavoro Pasquale Viespoli. Il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo si fa vedere in visita ufficiale a fine 2005 per inaugurare il nuovo anno formativo e benedire, subito dopo la Santa Messa, le solenni celebrazioni del quarantesimo anniversario dalla nascita di Elis. Sempre nel 2005 si segnalano le presenze di personalità come Vito Gamberale, Francesco Chirichigno e Mario Landolfi, quest’ultimo nella sua veste di ministro per le Telecomunicazioni. A novembre 2004 si segnala, infine, una fugace apparizione di Giuliano Tavaroli, intervenuto alla presentazione delle “corsie preferenziali” Elis Fellows in qualità di vertice Telecom.

 

Telecom e piduisti

 

C’è ancora lunga ombra della P2 in tutta la vicenda che, dalle prime indagini sul sequestro illegale di Abu Omar, conduce fino agli spioni di casa Telecom. Quell’ombra ha due nomi e cognomi. Il primo è quello di Emanuele Cipriani, l’investigatore privato amico della famiglia Gelli (vedi articolo principale), l’uomo chiave di tutta l’inchiesta della Procura milanese. Ma il secondo è quello di Marco Mancini, l’agente del Sismi arrestato l’estate scorsa proprio per il sequestro di Omar ed oggi nuovamente nell’occhio del ciclone per le amicizie - e spiate - pericolose con l’ex manager della security Telecom Giuliano Tavaroli. Negli anni '80 i brigadieri dei Carabinieri Mancini e Tavaroli lavorano insieme nel nucleo contro le brigate rosse agli ordini del colonnello Umberto Bonaventura. Trovato morto in circostante misteriose all’interno della sua abitazione romana nel 2002, alla vigilia della testimonianza decisiva sul caso Mitrokin, Bonaventura era stato lo stesso ufficiale sospettato di aver portato via dal covo di via Montenevoso, nel 1978, l’originale del memoriale di Aldo Moro.

 

 

A comandare quel reparto speciale dell’Arma anti BR era il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la cui appartenenza agli elenchi della P2 è stata confermata dallo stesso Licio Gelli in un’intervista rilasciata alla Voce nella primavera di quest’anno. «Il nostro era un rapporto magnifico, leale - ha dechiarato il Venerabile - lui era iscritto alla P2 così come suo fratello Romolo, altro generale dei Carabinieri. Ma l’uno non sapeva dell’altro. Era la nostra regola». Quanto all’epoca del loro sodalizio, Gelli è abbastanza preciso: «Ci conoscemmo a metà anni settanta, a Roma». Prima, dunque, del periodo in cui maturò il blitz nel covo di via Montenevoso.

 

Torniamo a Mancini, che nel 1984 ritrova Bonaventura al Sismi e fa carriera nella sua ombra. Quando Bonaventura esce di scena Mancini, divenuto nel frattempo referente in Italia della Cia, scala il vertice dei Servizi italiani, proprio mentre l’amico Tavaroli diventa il responsabile unico della sicurezza nei colossi targati Marco Tronchetti Provera: prima Pirelli e poi Telecom. Immortalato dalla stampa internazionale sulla scaletta del velivolo militare che ha riportato in Italia la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, Mancini e la sua divisione del Sismi rappresentavano probabilmente l’ala interna antagonista rispetto a quella guidata da Nicola Calipari. Scrive il Manifesto: «Durante il sequestro Sgrena percepimmo nettamente un contrasto all'interno del servizio, precisamente tra la prima divisione e l'ottava, quella diretta da Calipari e impegnata nelle mediazioni. Fra noi per capirci parlavamo di “Sismi 1” e “Sismi 2”. Se una partita si è giocata tra “i due Sismi”, la sparatoria di Baghdad l'ha chiusa. E Mancini è andato a prendere Giuliana, ferita. Ma un navigatore di lungo corso di quegli ambienti, che peraltro vuol bene all'ex capo della prima divisione, ci aveva avvisati fin da subito: “C'è il Sismi di Calipari e il Sismi di Mancini. E questi ultimi - diceva l'amico 007 - sono capaci di inventarsi di sana pianta un'operazione...”». Costata la vita a Nicola Calipari.

 

State Buora se potete…

 

A chi riferiva Giuliano Tavaroli l’andamento di schedature a tappeto ed acquisizioni illegali dei tabulati ad opera di spioni superpagati da Telecom? A Marco Tronchetti Provera, come sembrano ipotizzare i magistrati milanesi, o all’amministratore delegato Carlo Buora, come sostiene il difensore di Tavaroli, Massimo Dinoia? Sessant’anni a maggio, un lungo passato nel management Fiat, dopo una fugace apparizione nei ranghi alti di Benetton, a inizio anni novanta Buora fa il suo ingresso in Pirelli, dove in breve diventa l’assoluto alter ego di Tronchetti Provera, che affida al collaudato manager lo strategico compito di rappresentarlo in Olimpia, Telecom, Tim, e di tenerne alte le sorti anche dentro colossi come Rizzoli Corriere della Sera, Mediobanca, Ras, Immobiliare Unim e, più recentemente, l’Inter. E’ quasi con l’intero bagaglio di queste partecipazioni che Buora va a sedere nell’aristocratico consiglio d’amministrazione dell’Istituto Oncologico Europeo targato Umberto Veronesi, che vede schierato fra i suoi azionisti il salotto buono dell’alta finanza italiana: alle stesse Pirelli, Telecom, Mediobanca, Rcs e Ras si aggiungono infatti Capitalia, Unipol, Generali, la Milano Assicurazioni della famiglia Ligresti (quest’ultima presente anche nell’azionariato Tim), Mediolanum e la tormentata Bpi di Giampiero Fiorani. Un bel pezzo, insomma, del capitalismo “rosso”, con una spruzzatina (non di più) d’azzurro berlusconiano. Di veramente suo, Carlo Buora, non conserva ora più nulla: solo poche settimane fa, il 28 luglio di quest’anno, si è spogliato infatti dell’unica quota societaria posseduta, con la donazione al figlio Jacopo, 25 anni, della sua partecipazione in E.M.T.O. srl, la finanziaria che aveva fondato insieme alla moglie Daniela Borgogni. Quest’ultima resta presente nella sigla milanese insieme a Jacopo e alla figlia ventinovenne Francesca Buora. Ventiquattromila euro di capitale sociale, sede nel capoluogo lombardo, la società è amministrata con ampi poteri da Cinzia Dattilo, classe 1953, anche lei milanese doc, e si occupa di «acquisto, vendita e permuta di beni immobili, gestione dei propri immobili e finanziamento degli enti cui partecipa o ai quali, comunque, è interessata». A fine anni ottanta E.M.T.O. aveva incorporato l’Immobiliare Gimla, altra srl lombarda amministrata dall’anziano Roberto Filippa da Montegrotto d’Asti.

 

Dei recenti trasferimenti di quote e nude proprietà E.M.T.O. fra i componenti della famiglia Buora si sono occupate le fiduciarie Istifid e Compagnia Nazionale Fiduciaria spa. De minimis non curat praetor. Ha ben altro da fare, il supermanager Buora, chiamato dai giudici per spiegare cosa sapeva sul sistema di spionaggio interno alla security Telecom. Quanto ai conti svizzeri sulla Banca del Gottardo, un secco chiarimento lo ha fatto lo stesso Tronchetti Provera che, in una conferenza stampa all’indomani del ciclone giudiziario, ha difeso Buora (nominato nel frattempo vicepresidente esecutivo di Telecom): «Avevo, come il dottor Buora, un conto in Svizzera, chiuso a fine 2000. Su quel conto non è mai avvenuto niente di irregolare».

 

da lavocedellacampania.it (11 Ottobre 2006)

 

 

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Tronchetti e il caso Ghioni

 

Chi ha deciso di affidare a Fabio Ghioni l'audit sullo spionaggio in Telecom? La domanda scotta per due buoni motivi: proprio Ghioni è stato arrestato come capo di una squadra di spioni informatici; e i primi controlli indipendenti hanno accertato ben 35 falle nei computer aziendali, mentre il suo audit puntò il dito solo contro il sistema gestito da Adamo Bove. In attesa del verdetto giudiziario, una prima risposta arriva da un testimone d'eccezione, Sandro Marzi, ex manager Italtel e Riello, amico di Tavaroli dagli anni '80, nonché gestore dei conti segreti di Ghioni in Svizzera: "Ghioni mi disse di essere stato indicato dallo stesso Tronchetti, nella tarda primavera 2006, per l'auditing. Prima era deluso e abbattuto, perché non si trovava bene con Bove, ma dopo l'audit si riprese e il suo umore cambiò". A Bove è successo il contrario.

 

da Espresso.it

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un po'lunghetto da leggere tutto,a me fa solo schifo che il 95% degli italiani NON SAPPIA NIENTE DI QUESTA STORIA.

 

potrei dilungarmi su come la politica faccia come sempre SCHIFO a braccetto con l'economia,e di come politica+economia=MAFIA in italia,cosa che equivale a dire che siamo governati dalla mafia..però non è il caso,so solo che l'italia non è una nazione ma una terra di nessuno priva di leggi,dove vince solo il più forte,poca differenza con un paese del terzo mondo.

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IMHO il caso Bove è un tantino fuori luogo in questa sezione, ed in generale su un forum di calcio. .ok

 

un po'lunghetto da leggere tutto,a me fa solo schifo che il 95% degli italiani NON SAPPIA NIENTE DI QUESTA STORIA.

Questo non è vero, se ne è parlato molto e da diversi punti di vista.

Sicuramente, non si è fatto nessun passo in più del "consentito" (consentito ovviamente dall'alto, non dalla legge) per indagare sulle vere cause di questo suicidio (?).

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Topic da tenere "fisso" tra gli importanti, per diffonderlo in ogni dove e per andare a rinfrescarsi la memoria quando serve.

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Quando pagheranno questi farabutti!!!!

Questo Topic deve essere sempre evidenziato perche' e' fondamentale per capire come i veri poteri italiani stiano cercando di inquinare la democrazia in Italia.

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IMHO il caso Bove è un tantino fuori luogo in questa sezione, ed in generale su un forum di calcio. .ok

pensi o no che ci sia la mano del tronchetto dietro calciopoli?

 

pensi o no che la morte (sucidio come hanno sancito le indagini o "altro" come si può legittimamente ipotizzare) di adamo bove sia un effetto collaterale degli affari illeciti di telecom/pirelli?

 

visto che l'informazione italiana fa ca***e mi sono permesso di fare un pò di controinformazione e portare alla luce la vicenda (sconosciuta a i più, come recita il sottotitolo) di un uomo che se non fosse morto avrebbe avuto tante cose da raccontare

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Quando pagheranno questi farabutti!!!!

Questo Topic deve essere sempre evidenziato perche' e' fondamentale per capire come i veri poteri italiani stiano cercando di inquinare la democrazia in Italia.

Buongiorno. .ok

 

pensi o no che ci sia la mano del tronchetto dietro calciopoli?

 

pensi o no che la morte (sucidio come hanno sancito le indagini o "altro" come si può legittimamente ipotizzare) di adamo bove sia un effetto collaterale degli affari illeciti di telecom/pirelli?

 

visto che l'informazione italiana fa ca***e mi sono permesso di fare un pò di controinformazione e portare alla luce la vicenda (sconosciuta a i più, come recita il sottotitolo) di un uomo che se non fosse morto avrebbe avuto tante cose da raccontare

Ho capito benissimo quale fosse il tuo intento, la mia era solo una personalissima opinione sull'opportunità di discutere di questo caso (che a me pare collegato a "giochi" ben più grossi del giocattolino-calcio) qui su VS.

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il caso telecom è legato a una delle più grosse truffe della storia italiana, hanno trovato di farci entrare anche il calcio, ma sono d'accordo col fatto che il povero Adamo Bove si sia trovato coninvolto in interessi molto più grandi del calcio...

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Ho capito benissimo quale fosse il tuo intento, la mia era solo una personalissima opinione sull'opportunità di discutere di questo caso (che a me pare collegato a "giochi" ben più grossi del giocattolino-calcio) qui su VS.

 

 

permettimi un'osservazione.

Calciopoli stessa non è una mera questione legata al giocattolino-calcio.....ma a giochi di potere ben più grossi.

 

Quindi credo sia importante, necessario far capire alle persone che dietro calciopoli si nascondano cose ben più gravi e subdole del semplice obiettivo di far fuori la JUVE e compagnia bella.

 

 

 

 

 

 

complimenti ad "AD MINCHIAM" per l'immane lavoro.

.bravo

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visto che l'informazione italiana fa ca***e mi sono permesso di fare un pò di controinformazione e portare alla luce la vicenda (sconosciuta a i più, come recita il sottotitolo) di un uomo che se non fosse morto avrebbe avuto tante cose da raccontare

 

Complimenti per il lavoraccio. Grazie mille .ok

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Ho capito benissimo quale fosse il tuo intento, la mia era solo una personalissima opinione sull'opportunità di discutere di questo caso (che a me pare collegato a "giochi" ben più grossi del giocattolino-calcio) qui su VS.

il caso telecom è legato a una delle più grosse truffe della storia italiana, hanno trovato di farci entrare anche il calcio, ma sono d'accordo col fatto che il povero Adamo Bove si sia trovato coninvolto in interessi molto più grandi del calcio...

il punto è proprio che le vicende della juventus e di adamo bove hanno la medesima matrice, ossia i dossier illegali degli spioni (e questo trascurando il fatto che, secondo quanto dichiarato in tribunale dalla sua ex segretaria, caterina plateo, bove fosse direttamente coinvolto nella "pratica como")... il senso del post è proprio quello di aiutare qualcuno che non ha ancora ben chiara la portata della faccenda da cui nascono le nostre recenti disavventure, ricordando che uno dei protagonisti (che la stragrande maggioranza degli italiani e buona parte degli utenti di VS non conosce) ha fatto una brutta fine

 

grazie .ok

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IMHO il caso Bove è un tantino fuori luogo in questa sezione, ed in generale su un forum di calcio. .ok

 

 

Questo non è vero, se ne è parlato molto e da diversi punti di vista.

Sicuramente, non si è fatto nessun passo in più del "consentito" (consentito ovviamente dall'alto, non dalla legge) per indagare sulle vere cause di questo suicidio (?).

 

ah,se ne è parlato??e come mai:

-se digito ADAMO BOVE su youtube mi compaiono meno di dieci risultati,tra cui due di filmati in inglese e due di Beppe Grillo??

-come mai se digito ADAMO BOVE su google,a parte repubblica,nelle prime 5 pagine di risultati trovo UN link per ogni testata giornalistica??

-come mai digitando ADAMO BOVE su google trovo più link dal sito di un "comico",beppe grillo e da siti di calcio che da siti di cronaca?

-infine,come mai se dico ADAMO BOVE in giro quasi tutti mi rispondono E CHI E'??

 

che dici,si è parlato di più di adamo bove o delle tette di cristina dal basso??di più di adamo bove o di cosa cucinare oggi??di più di adamo bove o dell'ultimo film di de sica??io dico che di bove quasi nessuno sa niente.

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Non posso che applaudire alla ricostruzione di tutto. Complimentoni vivissimi. Io personalmente l'avevo sentito di sfuggita il nome Bove, ma mi era del tutto oscuro il suo ruolo in Telecom.

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permettimi un'osservazione.

Calciopoli stessa non è una mera questione legata al giocattolino-calcio.....ma a giochi di potere ben più grossi.

 

Quindi credo sia importante, necessario far capire alle persone che dietro calciopoli si nascondano cose ben più gravi e subdole del semplice obiettivo di far fuori la JUVE e compagnia bella.

 

 

 

 

 

 

complimenti ad "AD MINCHIAM" per l'immane lavoro.

.bravo

Sono daccordissimo, farsopoli che piaccia o non piaccia è nata per motivi politici ed economici.

Grandissimo lavoro di "AD MINCHIAM", un "+" è il minimo.

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Che Paese di m***a. .grr Il silenzio su questa storia è assordante, è bene che tutti sappiano cosa c'è dietro Calciopoli. Ma come c***o si fa a credere alla favola che quel mafioso di m***a fosse all'oscuro delle attività di Tavaroli e Cipriani? .grr Vergogna!

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io questa storia la sapevo già da tanto tempo...nel mio paesino,una fan sfegatata della nostra juve ha fatto dei cartelloni giganti e li ha attaccati in piazza....

 

 

purtroppo i giornali fanno finta di niente,e comunque ci sono persone troppo grosse in mezzo per far si che venga fatta giustizia!!!

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Calciopoli stessa non è una mera questione legata al giocattolino-calcio.....ma a giochi di potere ben più grossi.

 

Quindi credo sia importante, necessario far capire alle persone che dietro calciopoli si nascondano cose ben più gravi e subdole del semplice obiettivo di far fuori la JUVE e compagnia bella.

Quello che cerco di spiegare dal 2006,è per cui non mi faccio più illusioni su niente...

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permettimi un'osservazione.

Calciopoli stessa non è una mera questione legata al giocattolino-calcio.....ma a giochi di potere ben più grossi.

 

è ovvio che è così. Altrimenti una società che è stata sbattuta in B per essersi comportata come gli altri, cercherebbe di tornare a vincere con tutte le sue forze. Invece, c'è solo un vivacchiare e un'obbedire agli ordini del capo supremo milanese.

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Che Paese di m***a. .grr Il silenzio su questa storia è assordante, è bene che tutti sappiano cosa c'è dietro Calciopoli. Ma come c***o si fa a credere alla favola che quel mafioso di m***a fosse all'oscuro delle attività di Tavaroli e Cipriani? .grr Vergogna!

intanto oggi al processo cipriani ha parlato di moggi, di sicuro non lo pedinava per gusto personale... aspettiamo gli sviluppi

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ah,se ne è parlato??e come mai:

-se digito ADAMO BOVE su youtube mi compaiono meno di dieci risultati,tra cui due di filmati in inglese e due di Beppe Grillo??

-come mai se digito ADAMO BOVE su google,a parte repubblica,nelle prime 5 pagine di risultati trovo UN link per ogni testata giornalistica??

-come mai digitando ADAMO BOVE su google trovo più link dal sito di un "comico",beppe grillo e da siti di calcio che da siti di cronaca?

-infine,come mai se dico ADAMO BOVE in giro quasi tutti mi rispondono E CHI E'??

 

che dici,si è parlato di più di adamo bove o delle tette di cristina dal basso??di più di adamo bove o di cosa cucinare oggi??di più di adamo bove o dell'ultimo film di de sica??io dico che di bove quasi nessuno sa niente.

Domani chiedo a mio padre se sà chi è.

 

Io l'ho scoperto solo ora, e me ne vergogno tantissimo :(

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Qto è una sorta di caso Calvi 2. Il che vi fa capire cosa si muove dietro farsopoli.

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