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Visualizzazione di contenuti con la più alta reputazione 17/09/2018 in tutte le aree

  1. 1 punto
  2. 1 punto
    Un affare di famiglia, di K. Hirokazu, 2018. Premetto che non guardo praticamente mai film asiatici. Il film ha come protagonista una famiglia composta da nonna, figlia con marito, figlia nubile, bambino e bambina raccattata per strada nella prima scena. Nulla di troppo particolare, ma pian piano si scoprirà qual è il vero legame tra i sei. E uno dei pregi della sceneggiatura starà proprio nel farci comprendere i vari pezzi della situazione senza che mai si alzi il tono, senza che mai ci sia il uhau del colpo di scena. Questa famiglia, lo si vede fin da subito, vive al limite dell'indigenza sopravvivendo con mezzi sempre al limite, ma anche oltre, la legalità; in una città che è asiatica ma potrebbe essere una città qualsiasi. Hirokazu, che mi dicono abbia già trattato temi simili in altri film, sul piano dell'immagine attinge alla grande tradizione del cinema giapponese. Costruisce immagini e scene dove l'azione o comunque il focus narrativo si sviluppa non in primo piano ma in secondo o in terzo. Spesso ci sono elementi, mobili, spigoli o altri personaggi che si frappongo tra l'occhio della cinepresa il centro del suo interesse. Così sia nelle scene a camera fissa sia nelle bellissime carrellate. Ma è proprio quando narrativamente si rompe il legame che regge la famiglia, dando una svolta alla trama, ecco che si rompe anche lo stile visivo appena detto. Nessun elemento tra il protagonista e noi che guardiamo, bensì un primo piano che, banale dirlo, si direbbe a dir poco bergmaniano con il lunghissimo piano sequenza statico su quel volto per farci misurare ogni parola e lineamento del viso. Scena straordinaria per semplicità, intensità, ed efficacia. Il film lascia sospeso non solo il giudizio sui fatti, e noi che siamo chiamati a darcelo come se si trattasse di un'operetta morale, ma anche i risvolti ultimi della trama; anche se, a meno di non volersi illudere, c'è ben poco da sperare per la sorte dei nostri familiari. Palma d'oro all'ultimo Cannes. At Berkeley, F. Wiseman, 2013. Documentario in tipico stile Wiseman, visto in più momenti data la lunghezza non troppo agevole. Siamo come mosche nel prestigioso, ma pubblico, campus californiano dove nacque il movimento del free speech. E la cosa che forse più mostra il documentario non è tanto il funzionamento dell'università, ma l'evoluzione che hanno avuto i movimenti di protesta dagli anni '60-70 ad oggi.
  3. 1 punto
    Io sono un fan di ritorno al futuro, anche se non sarebbe stato ai livelli del film, sarebbe stato veramente interessante da leggere....peccato!
  4. 1 punto
    Ma perche noi, J1897 residenti all'estero, non possiamo comprare biglietti (in fase di prelazione) via Listicket comme l'anno scorso ?
  5. 1 punto
    Salve a tutti ragazzi. Quando ero a mare scrissi che tempo una settimana e sarei tornata a scrivere sul topic, e invece, come al solito, mi sono presa una vacanza più sostanziosa Devo dire che non ho visto tantissimo questa estate, né avevo particolarmente voglia di scrivere, ma vi ho abbastanza leggiucchiato. Comunque, nonostante la mia non sia stata un'estate molto all'insegna delle cinefilia, ho comunque parecchie visioni in arretrato di cui parlare e quindi non mi perdo in chiacchiere. Cominciamo da qualche film a caso. Allora, 7 psicopatici. Ricorderete forse che io ero tra i meno entusiasti su questo topic riguardo a "tre manifesti". Non che non mi fosse piaciuto, ma non mi sono lanciata in lodi sperticate come molti qui dentro e fuori. Che volete, datemi pure della becera, ma a me questo film è piaciuto non 1, ma dieci volte in più dell'ultimo lavoro di McDonagh. Questo sì che è un film cazzuto, divertente, metacinematografico, pulp, enormemente stupido eppure riflessivo in alcuni momenti. Film davvero riuscitissimo a mio parere. Narra la storia di uno sceneggiatore, interpretato da Colin Farrel, in crisi creativa (uno dei tanti omaggi a (8 1/2 di Fellini), il quale si è prefissato di dover scrivere una sceneggiatura dal titolo "7 psicopatici", ma il problema è che lui non ha nessuna voglia di scrivere di gente psicopatica, di violenza e di vendetta. Vorrebbe scrivere di pace, di personaggi positivi e blablabla. Ma allora perché ha intitolato la sua sceneggiatura "7 psicopatici"? Vabbè, fatto sta che a dargli una mano sarà il suo migliore amico (Sam Rockwell), il quale insieme ad un suo socio più anziano (un magnifico, MAGNIFICO Christopher Walken) ha messo su un sistema di truffe incentrato su rapimenti di cani per poi riscuotere le ricompense. Le cose precipiteranno quando Rocwell e Walken rapiranno il cagnolino di un boss mafioso, interpretato, anche qui magnificamente, da Woody Harrelson. Casini a non finire, metacinema a gogò, e finirà che tutto questo materiale e questi pazzi psicopatici che scateneranno una vera e propria guerra per un cagnolino rapito, sarà ovviamente di aiuto a Farrell per scrivere la sua sceneggiatura. Film veramente delizioso, adrenalinico, divertentissimo, non stupido come potrebbe sembrare. Uno dei pochi film chiaramente di impronta tarantiniana (nella ricerca di personaggi totalmente sopra le righe, di situazioni al limite, di dialoghi no-sense, di quel tipo di violenza stilizzata) che non mi hanno irritato, ma anzi, mi hanno fatto ridere come una scema. Sceneggiatura perfetta, regia brillante, attori tutti in parte, con una nota di merito davvero all'eterno Walken, e anche a Tom Waits in una particina memorabile. Da vedere. Film che non si prende sul serio e per questo l'ho apprezzato moltissimo a differenza di "Tre, manifesti". O meglio, questo "7 psicopatici" in alcuni frangenti si prende anche sul serio, ma proprio in quelle situazioni fa ridere ancora di più. Assolutamente da vedere. Piccolo grande uomo e Il Laureato. Questi film li ho visti una vita fa, credo almeno un paio di mesetti, perché se ricordate ne avevamo parlato qui sul topic, e "piccolo grande uomo" in particolar modo lo aveva consigliato Rhyme. Aveva consigliato anche "Il laureato", ma vabbè, quello era già nella mia lista. Partiamo da Piccolo grande uomo. Questo film l'ho letteralmente adorato. E ringrazio veramente Rhyme per averlo citato e averne parlato bene, perché altrimenti non so quando lo avrei recuperato. Ora non ho la memoria freschissima, perché come ho detto l'ho visto diverso tempo fa, ma posso dire con tranquillità che questo film ha conquistato di diritto un posticino nei miei film preferiti di tutti i tempi. E' un lungo racconto, dai toni picareschi, in cui si narra la storia di Jack Grabb, allevato fin da bambino dagli indiani, dopo che tutta la sua famiglia (ad eccezione di una sorella) era stata sterminata dai Pawnees, un'altra tribù indiana, meno amichevole di quella che si prenderà cura del piccolo Jack. Da qui partiranno una serie di avventure, che vedranno Jack abbandonare la tribù che lo ha salvato e cresciuto, per avviarsi nel mondo dei bianchi, salvo ritornare ogni volta, ciclicamente, proprio alla tribù, dove ad ogni suo ritorno, il suo "nonno adottivo", Cotenna di Bisonte (Chief Dan George, bravissimo), sarà li ad aspettarlo, accogliendolo sempre con la stessa, bellissima frase, "il mio cuore vola in alto come un falco". Che dire di questo film? Che è stato un puro godimento per gli occhi e per il cuore guardarlo, in realtà mi aspettavo un film di tutt'altro tipo, molto più drammatico e serio nei toni. E invece gran parte del film è una splendida commedia come ho detto dai toni picareschi, in cui un "piccolo grande uomo" si avventura da solo in un mondo enorme, sconfinato, dove fa la conoscenza di personaggi tra i più strani che si possano trovare, e si imbatte praticamente in tutte le figure "simbolo" del west: dal venditore truffaldino, al pastore che cerca di conventirlo ma che ha una moglie erotomane (grandissima Faye Dunaway in una parte piccola ma memorabile), a Wild Bill Hicock, fino ad arrivare al generale Custer. I momenti spassosi, che sono la maggioranza (fantastiche tantissime scene, ma mi viene da citare su tutte quella di Hoffman nella tenda con le sorelle della moglie, vergognosamente censurata nella versione italiana) si alternano a momenti di alta drammaticità, che riportano alla storia vera della tragedia del popolo indiano. Il finale è uno dei più commoventi e poetici che abbia mai visto. Un Hoffman mostruoso, e proprio a Hoffman mi riallaccio per parlare de Il laureato. Anche "Il laureato" mi ha sorpreso, perché anche qui mi aspettavo un film diverso nei toni, e invece ancora una volta mi son ritrovato di fronte quella che è quasi una commedia, seppure atipica. Il personaggio di Ben, in un certo senso, è anch'esso un piccolo uomo alle prese con un affare, seppur di dimensioni ridotte, più grande di lui. Un uomo allo sbando, insicuro, fragile, insoddisfatto della sua vita, alle prese con tutti i problemi che affliggono noi ragazzi di quella età, la paura del futuro incombente, di una strada che non è stata ancora tracciata, le pressioni dei genitori, della società, del mondo. In questo senso possiamo definire Jack Grabb, secondo me, un vero anti-eroe. Un uomo privo di eroismo, la cui unica azione eroica che compie, quando nel finale, è così comica da sfociare nel ridicolo, stemperando tutto l'eroismo appunto, e la sacralità del gesto. Quando l'ho visto ho avuto l'impressione di ritrovarmi di fronte a un film molto meno di facile lettura di quello che potrebbe sembrare. Un film in cui i caratteri non sono così netti e definiti come molti ritengono. Non ci ho visto, almeno non totalmente, la vittoria dei buoni (i giovani puri) che sconfiggono finalmente i cattivi (gli adulti corrotti) e si avviano verso un futuro felice e libero. Non ci ho visto questo, perché in questo film i giovani non sono già più puri, e se gli adulti sono corrotti, la colpa non è tutta loro. Quindi sì un film generazionale, ma io non l'ho trovato un inno cieco alla nuova generazione che stava nascendo, e che veniva dipinta senza macchie, a differenza di quella precedente. Molti vedono in ciò il messaggio del film, ma secondo me il film è molto ma molto più profondo e sfaccettato. Alcuni mettono Mrs Robinson addirittura nelle liste dei cattivi migliori della storia del cinema. Mi viene da ridere, il suo personaggio non è certo peggiore di quello di Ben. Film molto ma molto interessante, e con sequenza che da sole valgono la visione. Ci sono davvero delle scene splendide in questo film, come quella magnifica della piscina, anzi LE scene della piscina (sia quella famosa in cui Ben è sul materassino e si sente "the sound of silence", sia quella dell'immersione, stupenda e simbolica), o quella in cui Ben porta Elaine al night, il finale ovviamente, ma più di tutte probabilmente la lunga scena della seduzione, ossia i primi 15 minuti del film. Roba da manuale del cinema. Inutile parlare degli attori, Hoffman, anche qui, è mostruoso. Ovviamente conoscevo Hoffman, e lo apprezzavo molto, ma dopo aver visto queste due interpretazioni è inutile dire che il mio giudizio su di lui è salito tantissimo. Perfetto per questo tipo di ruoli, ha quella bravura tale da riuscire ad apparire persino bello in alcuni frangenti, lui che certo un adone non è Non so cosa avete capito cosa intendo. Veramente splendida anche Anne Bancroft, che crea, a mio parere, e lo dico da donna, uno dei personaggi femminili più seducenti, oltre che iconici, che si siano mai visti su schermo. Curioso come lei e Dustin Hoffman avessero solo 6 anni di differenza. E infatti si vede che lei è ancora giovane (non aveva neanche 40 anni), ma nonostante questo Dustin sembra proprio un ragazzetto alle prime armi di fronte a lei. E questo è merito proprio nella straordinaria bravura degli attori nell'entrare nei rispettivi ruoli. Ah, ho letto che l'anno scorso l'autore de "Il laureato" (perché il film è tratto da un romanzo di successo) ha fatto uscire, dopo più di 50 anni, il seguito della storia, che si intitola "Bentornata, Mrs Robinson". Quasi quasi ci faccio un pensierino, perché da un lato mi sa molto di commercialata, dall'altro mi intriga. Credo che se avesse voluto farci i soldoni veri avrebbe scritto questo seguito qualche decennio fa Comunque, grazie ancora Rhyme per i consigli di questi due capolavori, e finalmente è tornata questa cavolo di stagione autunnale in cui posso rompere le palle con le mie recensioni chilometriche
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