Ragazzi, che botta al cuore leggere queste parole di Tacconi.
Per uno come me, classe ’70, che quella Juve l’ha vissuta con gli occhi spalancati di un adolescente innamorato, è come riaprire un vecchio album di ricordi che profumano di fango, sudore e verità.
Tacconi rimane uno degli ultimi uomini prima ancora che calciatori: diretto, istintivo, imperfetto e per questo gigantesco. Quando parla di fame, di umanità, di compagni che erano dentro la vita e non chiusi in una bolla, mi viene la nostalgia di un calcio che non tornerà più.
Oggi è tutto lucido, filtrato, patinato e sterilizzato. Allora era ruvido, duro, sporco… era bellissimo.
E poi Tokyo ’85; ragazzi, chi c’era lo sa: la notte in cui siamo diventati campioni del mondo, quando la Juve era un blocco di granito, una squadra da miniera, non da salotto, ma con dei fuoriclasse pronti a dare tutto in campo. Tacconi che para i rigori dopo aver studiato le cassette, Platini che segna "il gol più bello che sia mai stato annullato", Bonini che vola addosso a tutti.
Ai miei occhi erano eroi veri, non influencer in pantaloncini.
Mi piace anche come racconta il suo “ritorno” dopo la malattia: alla fine Tacconi è sempre Tacconi, uno tosto, uno di carattere. E quando uno così dice che la Juve tornerà, io ci credo. Perché lui ha visto il calcio vero, ha visto cosa serve per vincere, e quei valori là non invecchiano mai.
Mi manca quella Juve, lo ammetto. Mi manca l’adrenalina, mi mancano i blocchi allo stomaco, la tensione prima e durante la partita, mi manca vedere undici uomini che lottano fino all’ultima goccia. Ma sentire Capitan Fracassa parlare così… beh, è come se per un attimo fossimo di nuovo lì, davanti al televisore, a sognare con la Juventus più “umana” e più forte che io ricordi (quella di quei 3 favolosi anni post mondiale 82).
Fino alla fine, ragazzi. Ma con un pizzico di nostalgia in più.