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Roger Keith Barret

I 70 anni di Michel Platini

Post in rilievo

Oggi è il compleanno del più grande di tutti.

Riporto l'intervista che Tardelli gli ha fatto un paio di giorni fa e pubblicata su La Stampa

 

Quoto

 

Michel Platini: “L’Italia, l’Avvocato e la Juve: vi racconto i miei primi 70 anni”

Il fuoriclasse, alla vigilia del compleanno, si confida con l’amico Tardelli: «Il futuro? Mai immaginato: anche da giovane ho solo accettato il destino»

Marco Tardelli
Il mio amico Michel compie domani settant’anni. È stato un compagno di squadra forte e simpatico, un uomo di calcio completo. Lo incontrai per la prima volta nel 1978 a Buenos Aires, eravamo due ragazzi che scoprivano l’emozione del Mondiale, lui nella Francia e io nell’Italia che era la terra delle radici: il nonno Francesco Platini, senza accento, aveva lasciato Agrate Conturbia, un paesino del novarese, per cercare una vita migliore a Joeuf, in Lorena.

Michel, auguri. Lo ricordi quel primo incontro?
«Eravamo in ritiro nello stesso albergo, giocavamo a biliardo dopo gli allenamenti. Ricordo che nel programma del nostro ct Hidalgo c’erano lunghe camminate».

Hai imparato lì, non hai mai corso... (ci scherzavamo anche nello spogliatoio, ma ai suoi colpi di genio non serviva il podismo)
(sorride) «Qual è il problema? Nelle sfide tra nazionali ti ho fatto gol e nella Juve ti ho dato una bella mano a vincere».

 

Intanto in quel primo incrocio, in Argentina, perdesti…
«Ingenuità. Lacombe fece gol dopo pochi secondi e pensammo a difenderci: Paolo e Zaccarelli, che non segnava mai, ribaltarono tutto».

Paolo Rossi non c’è più: lui e Gaetano Scirea non hanno avuto la nostra fortuna di festeggiare settant’anni. Mi mancano, sai?
«Anche a me. Tantissimo. Li avrei voluti accanto per festeggiare anche con loro».

 

Michel, quando si soffia sulle candeline si esprimono desideri. Come vedi il tuo futuro a quest’età speciale che io, da pochi mesi, ho già scoperto?
«Non lo vedo: io non ho mai visto il futuro. Nemmeno da calciatore. Ho sempre accettato il destino».

Siamo stati avversari in Nazionale, poi abbiamo vestito la stessa maglia bianconera…
«Era il 1982, l’Italia aveva appena vinto il Mondiale e la passione per il calcio s’era moltiplicata. Bella, travolgente. A volte, l’altra faccia, inquietante».

Scommetto che ti viene in mente Firenze?
«Eravamo sdraiati in pullman con i vetri in frantumi. Tutto perché l’anno prima la Juventus aveva vinto uno scudetto sul filo, battendo i viola in volata. Volevo affacciarmi (ride) e spiegare ai tifosi che io a Catanzaro, dove si decise quel campionato, non c’ero».

Ti voleva anche l’Inter, per fortuna sei venuto a Torino Quanto ha influito l’Avvocato Gianni Agnelli sulla tua scelta?
«Zero, mi ha voluto con forza ma io non sapevo chi fosse. L’ho scoperto pian piano ed è stato un grande uomo davvero».

Gli hai regalato uno dei tuoi tre Palloni d’Oro. Perché?
«Intanto perché era una delle poche cose che non poteva avere. Scherzi a parte, per gratitudine e riconoscenza: la Juventus mi ha reso grande, mi ha fatto conoscere nel mondo, giusto che lo donassi al Capo».

Era una Juve di grandi figure. L’Avvocato, Boniperti… Cosa ti viene in mente di carino del presidente?
(altro sorriso) «Un calciatore non può ricordare nulla di carino perché era freddo come ogni bravo uomo azienda, tirava sui contratti. Oltre le battute, ricordo un dirigente illuminato e vincente: Boniperti era la Juventus, e con Trapattoni in panchina componevano un binomio straordinario, importantissimo per il nostro club e per tutto il calcio».

Il momento più bello della tua vita bianconera?
«Come faccio a scegliere? È impossibile. Sono stati cinque anni di grande bellezza. Più semplice, purtroppo, isolare il ricordo più brutto».

Quarant’anni fa…
«L’Heysel è stata una pagina tragica e per me, come per te, è complicatissimo parlarne. Mi fa stare malissimo pensare che alcuni tifosi venuti a vedermi non sono più tornati a casa».

Hai smesso presto di giocare…
«Avevo solo 32 anni, ma la benzina era finita. L’ho capito in una gara contro la Sampdoria: ero in vantaggio di cinque metri e mi trovai cinque dietro».

La mia foto simbolo è l’urlo azzurro nella finale del Mundial 82, la tua ti ritrae sdraiato sul prato di Tokyo durante la Coppa Intercontinentale tra Juventus e Argentinos Juniors…
«Fu una reazione all’ingiustizia. Mi hanno annullato un gol meraviglioso e ho capito che la vita di ingiustizie è piena. Ma è stato un attimo, sono subito ripartito perché bisognava vincere».

Dopo aver lasciato il calcio giocato, sei stato allenatore e dirigente: ct della Francia e presidente Uefa. Di recente sei stato assolto dalle accuse ricevute per la tua carica nel governo del calcio europeo.
«Sono uscito pulito, ma hanno vinto lo stesso i miei nemici. Comunque, mi hanno rubato dieci anni».

Hai detto, commentando l’assoluzione, d’essere ormai troppo vecchio per nuovi incarichi. Protesto: siamo ancora ragazzi…
«Lo ribadisco, Marco. È andata così, sto bene così».

I vecchietti come noi rimpiangono spesso i tempi andati. Ti piace il calcio di oggi?
«Ho sempre guardato il calciatore e il gioco, tutto il resto non mi è mai interessato. La legge Bosman, però, ha ucciso la filosofia del pallone: oggi per vincere devi avere soldi, basta vedere come sono cambiate le storie di City e Psg».

Mi indichi due persone fondamentali nei tuoi settant’anni?
«Per il calcio mio papà Aldo, mi ha trasmesso lui la passione: era professore di matematica, ma si divertiva a giocare con il Jovincenne e poi è stato tecnico del Nancy, allora in Terza divisione. Per la vita, mia moglie Christelle. Mi è sempre stata accanto, nel bene e nel male. L’ho conosciuta che era una studentessa di economia, come me figlia di italiani. Ci siamo sposati nel 1977».

E io (provoco) non sono stato importante?
«Tu (ultima risata) sei stato l’unico calciatore difficile sia come avversario sia come compagno».

 

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Per chi era bambino negli anni ‘80 e vedeva il mondo in bianco e nero, Platini era la Juve, era il calcio.

Emozioni, ricordi, vittorie.

Grazie Michel.

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Bellissima intervista, come sempre il Re è un fuoriclasse in campo e fuori.

Auguri a chi mi ha fatto innamorare del pallone.

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Grandissimo  Michel …….tantissimi auguri di buon compleanno, vederti giocare è stata una grandissima GODURIA

 

 

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6 minuti fa, Crotalo ha scritto:

Grandissimo  Michel …….tantissimi auguri di buon compleanno, vederti giocare è stata una grandissima GODURIA

 

 

Calciatore sensazionale, anch'io ho assistito a tutta la sua epopea bianconera. Sarà successo anche a te che.....palla a Platini e accadeva sempre qualcosa di eccezionale!

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Non era cattivo, senza particolare grinta, ecc.

Come riusciva a fare tutti quei gol.

Auguri..

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Il più grande di tutti che ho visto con la casacca della Juventus, come lui nessuno.

Tanti auguri Michel 😍😍😍😍

  • Grazie 1

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Grazie Michel per aver contribuito a rendere la mia adolescenza un tempo indimenticabile.

Buon Compleanno.

 

Per i più giovani:

 

Tratto da "storiedicalcio":

 

Dalle strade di Joeuf ai tre sandwich di Boniperti lungo la «vie en rose» di Nancy e Saint Etienne, i «coups francs», un cane più bravo di Zoff, il nonno piemontese, la cugina di Novara

 

SAINT ETIENNE.

In principio, nella vita di Michel Platini, «Le platine» come dicono i francesi, «il platino», c’è un cane. Poi c’è la saracinesca di un garage. E quindi, c’è un palo della linea telegrafica Nancy-Metz. «Il cane si chiamava Fufi ed era il cane di mia cugina Stefanina che sta in Italia», ricorda Michel. Passeggiamo sulla «pelouse» dello stadio «Geoffroy Guichard», che è il campo di calcio di Saint Etienne, tettoie in lamiera, seggiolini multicolori, la ciminiera fumante di una fabbrica di bottiglie da un lato. Vetri e bottiglie, e il carbone, sono la ricchezza di Saint Etienne. «Fufi è stato il mio primo portiere». Michel è di buon’umore. «E la saracinesca del garage vicino alla casa in cui abitavo, a Joeuf, è stata la mia prima porta di calcio». Ha buoni e simpatici ricordi, Michel, e la mattina a Saint Etienne è piena di sole. «Il palo del telegrafo, poi, mi serviva per prendere la mira. Naturalmente, sto parlando di tiri col pallone. E di quando avevo sette anni».

 

JOEUF E IL NONNO

Joeuf, cinquanta chilometri da Nancy, è un paese di minatori, case grigie, strade bitumate, e alla Rue Saint-Exupery, numero sette, un giorno di giugno nasce Michel, è l’anno 1955. «Mio nonno era italiano, piemontese di un posto di collina vicino Novara, faceva il muratore e venne a cercar fortuna in Francia. Vennero lui, due fratelli e due sorelle, e si sistemarono a Joeuf. Mio nonno si chiamava Francesco ed era veramente un grand’uomo. A Joeuf è nato mio padre e sono nato io, ed è nata mia sorella Martina. Questo è stato l’inizio». Michel racconta con un certo gusto. Dei Platini solo nonno Francesco ebbe la forza di restare a Joeuf. Gli altri suoi fratelli tornarono sotto il cielo più benevolo delle colline novaresi. Mettendo su mattoni, Francesco Platini (ancora senza accento sulla «i») fa un gruzzolo di vecchi, benedetti franchi e si compra un bar. E’ «le Café des Sports» di Joeuf. «Mio nonno era patito di calcio, non poteva comprare che quel caffè, il bar degli sportivi di Joeuf»

 

UN «GAMIN»

«Nella mia vita c’è stato subito il pallone. Mio padre è un vero intenditore di calcio. Sarebbe diventato un grande giocatore – dice il figlio. – Giocava a centrocampo, milieu de terrain, ma volle rimanere un amateur, un dilettante del calcio. Finì col fare l’allenatore nel tempo libero. Quando smisi di centrare il palo del telegrafo ed ebbi undici anni e firmai il primo cartellino per il Jovicienne di Joeuf, lui è stato il mio maestro. Se sbagliavo uno stop, mi faceva fare venti giri di campo. Era meglio tirare il pallone a Fufi il cane». A proposito di Fufi, un giornale parigino ha scritto che «il grande portiere italiano Dino Zoff avrebbe fatto bene a conoscere Fufi, il cane dei Platini, perchè Fufi era capace di prendere quei palloni che Zoff non è riuscito a prendere». Dunque, Platini. Nato col pallone, un disastro a scuola. È un vero «gamin», un monello. C’è un abate Pieron di un collegio di Briey che se lo ricorda ancora. E un monsieur Deremble, direttore del collegio, ha dichiarato a un giornale di Nancy, nel coro dei commenti alla partenza di Michel Platini «pour l’Italia», che star dietro allo scolaro Platini «era una faccenda scioccante». «Beh, insomma, non stavo fermo un minuto», dice Michel.

 

INSUFFICIENZA CARDIACA

La verità è che Michel Platini era un discolo. La sua giovane insegnante di inglese e l’autista dell’autobus sul quale Michele saliva per andare a scuola, un certo Parachini, ne sapevano qualcosa. Parachini però era un duro. E se Michel sull’autobus esagerava, Parachini frenava brusco e diceva a Michel di scendere. Più volte il «petit Platini» si fece a piedi da casa a scuola, sei chilometri. Quasi Gian Burrasca. Agli insegnanti che lo rimproveravano, lui replicava: «Vous verrez quand je serai champion». È stato di parola.
«A quattordici anni – mi racconta Michel – vado a Parigi, finale del concorso per i migliori giovani calciatori di Francia. Allo stadio di Colombes c’era un vento cane. Non riuscii a toccare e a giocare un solo pallone buono. Mi offrirono un biglietto per andare sulla Senna in battello e uno per andare a vedere la Torre Eiffel. Gli altri ragazzi rimasero allo stadio a giocare al calcio, a me consigliarono di fare il turista».
Era il maggio del 1969. Non andò meglio a Metz. «Diciassette anni, andai a fare un provino. Visite mediche. Mi misero davanti ad uno spirometro. Un tipo mi dà un tubo e mi dice: soffiaci dentro. Soffiai, ma cautamente. Il tipo mi dice: soffia più forte. Io riprovo. Quello fa: ancora più forte. Non so come, forse l’emozione, io soffiai forte e persi i sensi. Mi dissero che l’ago rivelatore aveva segnato tre litri d’aria, che era una capacità polmonare fiacca e mi liquidarono con una bella sentenza: insuffisance cardiaque».

 

NANCY, LA SUA CITTÀ

E, poi, Nancy. Comincia la «vie en rose» per Michel Platini. Egli è un giovane promettente calciatore che ha soltanto una palese incomprensione con gli spirometri. Bocciato a Metz, lo richiedono il Sochaux e il Sedan, persino il Charleroi dal Belgio. Ma Aldo Platini ha amici a Nancy, per esempio Hervé Collot, ex «capitano» della squadra lorenese. È un buon passepartout. Michel è del Nancy. Metz, la squadra di Nestor Combin, non è più una nostalgia. «E a Nancy conosco Claude Cuny». Sembra uno qualunque. Invece, Cuny è il presidente del Nancy e, quel che più conta, è l’uomo che inventa per Michel le famose quattro sagome azzurre di plastica con le quali il figlio del professore di matematica e intenditore di calcio Aldo Platini perfeziona il suo «coup frane», il suo calcio di punizione, quello che il cane Fufi riusciva a parare e che risulta essere una «chance» di famiglia perché già il calcio di punizione di Aldo Platini, il padre, era una grossa cosa. Quando parla dei suoi anni a Nancy, Michel Platini fa gli occhi dolci e la voce sentimentale. «Nancy est ma ville et elle le resterà encore après le football. I’y reviendrai, c’est sur». La neve a Nancy, le inferriate rosse di Nancy, la Place Stanislas di Nancy, il pubblico dello stadio «Marcel Picot» di Nancy, gli amici, Olivier Rouyer «la freccia del Nancy» e Francisco «Paco» Rubio, e la pizzeria «Capri». Che tempi, a Nancy!

 

UN NANO

Una delle cose più buffe che mi ha raccontato Platini è quando per guardare nonno Francesco e i suoi fratelli doveva «alzare gli occhi parecchio». «Loro erano dei giganti ed erano buoni per giocare a basket-ball, ma io proprio non crescevo mai, e in casa mi chiamavano “le nain”. Je devais toujours lever la tire pour les regarder. Ma per fortuna, un anno, venni su di colpo di dieci centimetri». Indubbiamente, deve essere stato uno dei migliori anni di Platini. Ma, poi, questo Platini «nanin» (oggi un metro e 78) era ugualmente un fenomeno sportivo. Dai ricordi del padre: «A dodici anni lo metto in un kavak sulle onde lunghe dell’Atlantico in Bretagna, a Perros Guirec, bella stagione balneare. Comme par enchantement, il trouve immédiatement le style du spécialiste». Alla pallavolo, alla pallamano, al basket, al tennis Michel Platini di primo acchito ha sempre lo stile dello specialista. Diciamo che, in ogni sport dove c’è una palla, Michel non è mai in difficoltà. E sulle piste ghiacciate del pattinaggio? Anche là, un fenomeno. Aldo Platini non si entusiasma facilmente per il figlio: dice le cose come stanno. E quando dalla barca lo buttò per la prima volta in mare? «Un poisson dans l’eau!», un pesce. Ecco che cos’è Platini. Sulla spiaggia di Perros Guirec, nella dolce Bretagna, Michel palleggia a piedi nudi come i brasiliani. E’ uno degli esercizi in cui lo allenava particolarmente il padre. Non hanno prodotto caviglie infrangibili: quella sinistra di Michel ha fatto due volte trac (è scritto nella «sèrie noir» degli infortuni, sei, di Platini).

 

TREMARELLA

Da giocatore professionista il nostro Michel debutta a Nancy un giorno di maggio, contro il Nimes. Gli danno la maglia numero undici, Kuzowski il titolare è infortunato, e gli dicono di stare avanti. Stagione 1972, Michel ha 17 anni. «Quel trac!», dice. Che tremarella! Per venti minuti non tocca palla. «Non vedevo niente, mi si era appannata la vista. Per me fu un giorno di nebbia. Eppure c’era un gran sole». Passata l’emozione del debutto (Platini si diventa dopo), Michel fa due gol nelle successive due partite, contro il Sedan e contro il Lyon. Le cose si mettono bene, la tremarella non ci sarà più. Comincia «la leggenda». Devono però saperne poco a Bastia, dove notoriamente vive gente cattiva, perché, là, la leggenda-Platini viene presa a sputi e a insulti. Qualche fischio ci sarà a Saint Etienne anche dopo che Platini è diventato un idolo da queste parti, ma – si sa – anche gli idoli vengono fischiati qualche volta. Mentre con la maglia verde – «Les verts» – del Saint Etienne vola verso una finale europea, sfonda anche in nazionale, chiamatovi da Hidalgo, e «France Football» lo definisce «la locomotiva che conduce i francesi ai mondiali». Con Hidalgo ha un piccolo scontro di opinioni: quello vuole farlo giocare centravanti, Michel si sente un «milieu de terrain», un centrocampista. Vince Michel, il match è chiuso. «Sono pazzo di gol – mi dice Platini – ma non sono un centravanti. Io parto da lontano, mi inserisco. Ho sempre ammirato i registi. Da ragazzino, i miei idoli erano Rivera e Mazzola. Poi, ho ammirato Guillou. E ci ho giocato insieme, con soddisfazione».

 

NAPOLI

Il giorno che gioca a Fuorigrotta con la nazionale, prima dei «mondiali» in Argentina, Michel Platini aggira Zoff con due dei suoi «coups francs», punizioni, e scopre nel tiepido pomeriggio napoletano di febbraio che cos’è il tifo in Italia. Egli però ha modo di dichiarare: «Sono francese e mi sento tale. Stimo l’Italia, ma io non sono italiano». Ora, dopo aver firmato per la Juventus, rifiutando una eccitante contemporanea offerta del Paris Saint Germain, Michele Platini corregge il tiro e declama: «Parigi è Parigi, ma la Juve è la Juve». D’altra parte, suo nonno non era piemontese? E la cugina Stefanina non vive ad Agrate Conturbia, su una collina a trenta chilometri da Novara, e non lo chiama forse «Michelino», «il mio cugino Michelino, francese sì, ma il nonno era di qua»? Lascia la Francia perché il calcio francese non gli dice più nulla. L’ho visto intervenire molto regalmente la sera dell’ultima giornata di campionato qui, a Saint Etienne, quando tutti «les verts» correvano come matti e segnavano gol a gettoni nel vago-sognato-impossibile-inutile tentativo di sorpasso al Monaco per il titolo e lui, Michel Platini, toccava di grazia ma senza scomporsi essendo proprio di un altro pianeta, non un postino del pallone, ma un artista. Nel dramma della serata per un titolo già perduto, segna due gol da re e un terzo pallone mette dentro la gruviera del portiere di Metz Ettori (mai nome glorioso è stato tanto mortificato: nove gol nella sera di Saint Etienne) con un delicato colpettino di mano, annullato, da gran giocoliere del Circo di Mosca.

 

MICHELINO E PABLITO

Certo, sarà una bella coppia quella di «Michelino» e «Pablito» per una Juve di tutte stelle. Saint Etienne non ha fatto cose folli per l’ultima partita di Platini con la maglia biancoverde, e c’erano solo 17 mila spettatori sotto le tettoie in lamiera del «Geoffry Guichard» la sera degli ultimi due gol di Michel. Mi ha spiegato Gerard Simonian, chef du sport de «La Tribune» mangiando una pizza napoletana al ristorante di Mario D’Angelo, siciliano trapiantato qui da venticinque anni, amico di tutti i giocatori del Saint Etienne: «Il fatto è che nel Saint Etienne ci sono, oggi, un sacco di casini e nessuno ha voglia di organizzare feste, neanche per uno che si chiama Platini». Però Mario D’Angelo, «chez Mario», che ne sa una più del diavolo, mi confida: «Non c’è più grande entusiasmo per il Saint Etienne. Questa non è una grande squadra. Io mi ricordo quella di Larqué, di Bathenay, di Synaeghel. E, qui, una sola festa si è fatta: per Piazza l’argentino. Una favola era quell’uomo, veniva a giocare a bocce sul marciapiede del ristorante, e tiravamo le tre di notte, giocandoci la birra. Poi, era sempre il migliore in campo». La festa a Platini si farà in settembre: la Juve verrà a giocare in amichevole e mostrerà Michel in maglia bianconera per i rimpianti e i sospiri dei «platinois» di questo delizioso posto della Lorena neanche sporcato dal gran carbone che produce.

 

TESTA A TESTA

C’è un infortunio nel vostro futuro. Sembrò lo slogan di Platini fra gli anni ’72 e ’76. Due volte gli saltò la caviglia sinistra; una volta si ruppe una mano e una volta un braccio; gli hanno tirato fuori, inutile e fastidioso, un menisco. Ma storica è rimasta la grande capocciata con Tresor, un kappaò spettacolare, lo stadio ammutolito. «Mi hanno chiesto spesso dei miei infortuni – mi dice Platini – Ma non preoccupatevi, in Italia. Sono solido. Dopo l’operazione al menisco, guarii in diciannove giorni. Le mie ossa non si sbriciolano». Pessimista, invece, è Johnny Rep, l’olandese che gioca nel Saint Etienne e che mi chiede di Krol, e poi fa: «Non sarà facile per Platini da voi, con i difensori che avete». Ho chiesto a Platini, che nell’ultimo campionato francese ha segnato ventidue gol in trentotto partite, quante ne segnerà in Italia in trenta. Mi ha detto: «Dieci gol sicuri. E vengo a rendere un po’ più offensivo il gioco italiano».

 

IL PASTORE TEDESCO

Viene in Italia, e alla Juventus, convinto che non c’è posto migliore per giocare al calcio. «Siete unici, nel football create un ambiente pazzesco», ha dichiarato a un giornalista torinese. Lascia una villa con giardino e altalene per le sue bambine, Laurent di tre anni e Marina di 16 mesi, nel quartiere residenziale che è L’Etrat di Saint Etienne, ma la Juve gliene ha trovata una altrettanto confortevole sulla collina di Torino, press’a poco dove abita Tardelli. A Torino verrà con la bellissima moglie Christele, capelli biondi, bocca irresistibile e origini bergamasche, il padre (monsieur Bigoni, costruttore edile) ha grossi affari e una gran villa bianca a Plombières-les-Bains, piscina e campo da tennis. Verrà con le due figlie e con Mitty, il pastore tedesco che dovrà tenere lontano i fotografi («ne ho orrore») dalla sua privacy. Verrà per concedere interviste a pagamento e per conservare gli sponsor da mezzo miliardo l’anno: un succo di frutta, scarpe per bambini, calze sportive, maglie da gioco. Con la Juve ha un contratto per due anni. Potranno diventare tre, poi Michel potrebbe finire negli Stati Uniti («ci vanno tutti, si vedono bei posti, si guadagnano dollari»).

 

GLI HOBBY

Non ne ha uno, non va neanche al cinema, preferisce la televisione. Ama la poesia? Lamartine? Ha risposto sinceramente: «Lamartine e io siamo due cose diverse». E Jacques Laffite? «Non mi interesso molto di automobilismo. Mi piace il rugby». I giocatori che ammira di più sono due. «Beckenbauer e Cruijff». Poi aggiunge: «E Gerd Muller, perché sapeva fare dei gran gol». È a favore della pena di morte ed è per la parità fra uomo e donna. I giornalisti? «Bons. Ma sono troppo appiccicosi». Paragonato spesso a Raymond Kopa, ecco quello che ne pensa Albert Batteux uno dei più prestigiosi allenatori di Francia: «Platini fa più gol, è altruista, Kopa non mollava una palla che era una, ma Platini è meno rapido ed ha meno temperamento». Pare che Michel sia un solitario. «Solo all’apparenza», corregge. Trentaquattro partite in nazionale, venti gol. «In Italia si gioca solo alla domenica, avrò più tempo per la mia famiglia. E avrò sempre tempo per la nazionale francese. Je suis fier de la servir». Le vacanze che preferisce: Brasile, Martinica, Thailandia. Il giocatore che gli è più antipatico? Il nizzardo Huck che gli disse una volta «ma chi ti credi di essere», Michel disse di essere Platini, poi lo giocò sei volte facendo quattro reti e due passaggi-gol. Gli avversari coi quali non l’ha mai spuntata facilmente? Laposte del Paris Saint Germain e Kabyle del Nimes.

 

LA CUGINA DI NOVARA

Bernard Persia di «Foot 2» è partito alla scoperta dei parenti italiani di Platini e ha trovato una cugina ad Agrate Conturbia, in Piemonte: Stefanina, con suo marito Piero Santi. Sono loro che hanno tirato fuori la storia del cane Fufi. Quand’era piccolo, Michel Platini partiva dalla Francia con la famiglia e andava a far le vacanze da Stefanina. La cugina ricorda: «Aveva un caratterino. Non gli andava mai di perdere. Giocavamo a carte e, se era lui a perdere, non voleva proprio starci». La cugina, che non aveva più notizie di Michel, un giorno lo vide in una trasmissione di una tv privata. Fu un gran colpo. Era diventato il miglior calciatore di Francia. Ha detto Stefanina, tanto per stabilire che quella di Michel è una faccia italiana: «Ha le stesse fossette, la stessa fronte, lo stesso sorriso, lo stesso naso dei Platini». E, giustamente, non ha accettato l’ultima «i». Un poster di Michel fa bella mostra nella casa della cugina a Conturbia. Ma il paese, ora, pretende che Michel vada sulla collina in carne e ossa. Loro, poi, andranno a vederlo giocare nella Juve.

 

IL VIAGGIO IN ITALIA

Quando è partito per firmare per la Juventus, Platini ha preso in contropiede tutti i giornalisti. Non se ne sarebbe saputo niente se non avesse funzionato il «telefono rosso» di Europe 1, la più popolare emittente radiofonica francese. I particolari me li racconta Eugène Saccomano, amico di Platini e voce notissima di Europe 1. «Il telefono rosso è un numero particolare della nostra emittente che tutti possono chiamare per darci la migliore informazione della settimana. Quella che poi utilizziamo viene premiata con cinquecento franchi. Bene, venerdì squilla il telefono rosso e una voce ci dice: Platini sta partendo per l’Italia, chiamo dall’aeroporto di Lyon. L’informatore, per il quale sono pronti i cinquecento franchi, è ancora anonimo. Ma solo un tecnico dell’aeroporto di Lyon poteva darci una soffiata del genere, uno cioè al corrente dei piani di volo predisposti dallo scalo di Lyon. Così noi di Europe 1 siamo stati gli unici a sapere del viaggio di Platini a Torino a bordo di un petit Cessna quattro posti. Quando abbiamo rilanciato la notizia in Italia, nessuno voleva crederci. Per convincere un giornale di Milano, poiché nel frattempo avevamo raggiunto telefonicamente Platini a Torino nello studio di Boniperti, abbiamo dovuto fare ascoltare la registrazione delle voci di Platini e di Boniperti. Il giornalista milanese che non voleva crederci mi è sembrato addirittura addolorato perché continuava a dire: impossibile, impossibile, Platini è dell’Inter». Sul viaggio segreto di Michel a Torino e sul suo ingaggio da parte della Juve la Francia conosce ormai tutti i dettagli che sono stati rivelati in esclusiva da «Paris Match» in un servizio di 318 righe, con una foto di Platini nella rilassante vasca da bagnomassaggi dello stadio di Saint Etienne, e il titolo «Le sette ore che hanno cambiato la mia vita». Di queste sette ore, tre sono state durissime. «Sono state le tre ore di discussione con Boniperti», mi ha confermato Platini ammirato dallo stile del presidente juventino ma anche scosso dalla sua abile fermezza.

 

UNA PARKER TUTTA D’ORO

I dettagli che più hanno impressionato i lettori di «Paris Match» sono i seguenti: 1) appena il giorno prima del «voyage en Italie» di Platini, quattro molto simpatici dirigenti dell’Arsenal, incontratisi col campione francese in un albergo di Saint Etienne, erano rimasti con la convinzione di avere le stesse chances della Juve, fifty-fifty; 2) il Paris Saint Germain non ha ancora capito, avendo offerto quasi il doppio della Juve (ma annunciava una colletta tra i suoi tifosi), perché Platini abbia preferito l’Italia; 3) Michel Platini è volato in Italia con Bernard Genestar, suo consigliere di affari, che sedeva accanto a lui sul Cessna a quattro posti, e con Philippe Piat, consigliere dei giocatori professionisti francesi, che invece sedeva dietro; 4) mentre l’aereo atterrava all’aeroporto di Caselle, la testa di Platini era vuota, egli non aveva preso alcuna decisione però pensava a nonno Francesco e guardando il cielo azzurro di Torino prometteva al nonno di «diventare una vedette nel suo paese»; 5) all’aeroporto di Caselle c’era la limousine grigia di monsieur Agnelli, la limousine era blindata, Boniperti era alla guida e lo chaffeur sedeva dietro; 6) lo chaffeur era armato; 7) alla fine di una discussione a sei – Michel Platini, Genestar, Piat, Boniperti, Giuliano d.s. della Juve e un avvocato italiano amico di Genestar – Michel si aspettava una colazione con vitello tonnato, o una scaloppe all’albese, e una bottiglia di barolo, gli venivano offerti invece due sandwichs (e un terzo riusciva a soffiarlo a Boniperti); 😎 al colmo del deludente spuntino, Michel Platini si è sentito chiedere da Boniperti se preferiva un succo di frutta al naturale o un succo di frutta con la soda; 9) Michel Platini ha replicato con trasporto: «Non, président, champagne!», ed è giunta una bottiglia di Asti; 10) Boniperti gli ha detto: Adesso che siete dei nostri, dovete tagliarvi i capelli» e Michel Platini.con un «coup frane» di lingua ha chiesto: «Avete forse paura che mi possano cadere?» ; 11 ) Michel Platini ha sottoscritto il contratto che lo lega alla Juve per due anni con una «Parker» d’oro prestatagli da Bernard Genestar; 12) il ritorno è stato tranquillo, mentre all’andata Michel, attardandosi a bere un caffè, aveva costretto il pilota del Cessna a cambiare il piano di volo.

 

UNA COCA

Il viaggio-lampo di Michel Platini si è concluso con una Coca Cola offertagli dalla moglie Christèle al suo ritorno a casa. Lui ha detto: «On a gagné!». Lei si è compiaciuta e poi ha azionato il videoregistratore assistendo con Michel al film «La guerra dei bottoni». Anche questo ha scritto «Paris Match». Alla Juve, in tanti anni, è arrivata tanta gente: Luisito Monti con i suoi 92 chili, Mumo Orsi con la più bella brillantina nei capelli, Renato Cesarini col violino e la sua celebre «zona», Felice Borel col soprannome di Farfallino, Omar Sivori col suo fantastico piede mancino. Ora c’è Michel Platini con l’accento sulla «i» ma proprio con le fossette, la fronte, il sorriso e il naso dei Platini che non hanno mai avuto la «i» accentata, sono nati sulle colline novaresi e gli piaceva il calcio. Ma questo, a Saint Etienne e nella Lorena, non risulta. Qui, Michel ha una tipica faccia francese che andrebbe benissimo sull’etichetta di uno champagne «très brut».

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Le roi Michel.. Che poesia. 

Da bambino letteralmente innamorato di lui. Per me è la Juve

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MITO per me il più grande giocatore di sempre chi lo ha visto giocare può capire… tecnica e classe pura

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Quanto manca Michel a questo calcio pieno di soldi, di aruffoni,  di prescritti.....

Potrebbe fare benissimo il presidente della Juve,  se insistessero magari accetterebbe.

Ma temo che la Juve di oggi non voglia mettersi in casa uno come lui. Io invece lo chiamerei eccome.

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Sei, sette anni … si giocava in cortile dalla mattina alla sera … la quasi totalità in maglia bianconera … tutti volevamo essere “Michel Platini”.

  • Grazie 1

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Non no vissuto la sua era da calciatore ma mi sono goduto il dopo, ovvero la persona, l'uomo che quando parla non dice mai cose banali. Mi sarebbe piaciuto vedergli consegnare la coppa maledetta nelle mani di uno dei nostri. Felice anche che ne sia uscito pulito dalle accuse infami che gli erano state rivolte. La Uefa sta molto peggio adesso. 

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Quoto

Tu (ultima risata) sei stato l’unico calciatore difficile sia come avversario sia come compagno

Tardelli deve sempre essere stato un gran rompiballe

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Il migliore di tutti i tempi. Chi non lo ha vissuto non può capire. Baggio e del Piero sono stati grandissimi ma le roi è stato ancora più grande 

  • Grazie 2

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